Lampedusa
Tra incanti paesaggistici e una realtà sapientemente occultata.
Tornare a Lampedusa, per chi ci è già stato, andare per la prima volta, per chi è stato catturato dal fascino descrittivo di chi lo ha preceduto, lascia sempre un vuoto emotivo che gli sfondi cristallini del suo mare e i pesci a nuotare tra i piedi, come se si fosse dentro un acquario, non riescono a mitigare del tutto.
A Lampedusa non ci si va per un motivo di ricerca culturale, legata ai resti archeologici o castelli secolari da visitare. È il mare la principale attrazione, forse l’unica. Perché qui si scopre in pochi giorni di essere andati tante volte fuori confine, in località patinate e super gettonate, alla ricerca dello sfondo marino tropicale, tra snorkeling e un giro in barca, ignorando e sottovalutando che a qualche ora di aereo, il paradiso era sempre lì ad aspettare, pronto ad offrire al visitatore quanto di meglio una variegata natura subacquea possa offrire nel Mediterraneo.
Basterebbe questo, tra un’immersione a Cala Pisana ad ammirare uno sciame di castagnole nere o branchi di occhiate e salpe o alla Tabaccara, storditi dalle imbarcazioni volanti su quel mare cristallino che, nonostante diversi metri di profondità, ci mostra il fondo come se ci si trovasse dentro una piscina. Già, basterebbe questo per giustificare il viaggio, più spesso in aereo che sorbirsi dieci ore di traghetto da Porto Empedocle. Immagini da immortalare con qualsiasi mezzo da portare a casa e sfogliare con la memoria durante l’inverno, in attesa di organizzare il ritorno all’isola.
Lampedusa è sotto la provincia di Agrigento, ma della sicilianità della città di Pirandello, ha raccolto e conservato poco. Non ci si riferisce alla popolazione, il cui dialetto è davvero ostico anche per i siciliani doc. Questo confronto lo si può fare per quanto riguarda le tradizioni e le ricette culinarie che, come è risaputo, qualsiasi città, ma anche paese della Sicilia, può vantare come le migliori di un’intera isola ma non riuscirà mai a convincere il turista di fare una scelta unica in merito.
Accomodarsi in qualsiasi ristorante o trattoria lampedusana, si ha la sensazione di gustare piatti "rubati" dalla tradizione culinaria della sorella maggiore. I sapori hanno un qualcosa di semplicistico, rispetto all’elaborazione, a volte anche eccessiva, dei piatti tipici che potremmo assaggiare nel trapanese, nel palermitano, nel catanese o nel messinese, senza escludere le altre realtà della Sicilia, ovviamente.
A una simpatica monaca, di ritorno a Lampedusa per la festa della Madonna di Porto Salvo, che si celebra ogni anno il 22 settembre, le è stato chiesto quale fosse secondo lei il piatto tipico lampedusano. Dopo avere riflettuto un po’, la sorella ha riassunto la sua risposta con un semplice "il pesce", confermando l’idea che ci si può fare, assaggiando la cucina nei vari locali. Il pesce sicuramente è il principe delle tavole e, passeggiando su Porto Vecchio, dopo avere sceso obbligatoriamente la Scalinata Colorata che parte dall’affollatissima Via Roma, aver percorso Via Enna, slalomando tra auto in transito e scooter sempre in abbondanza, si può riempire gli occhi tra le tante locande che lo espongono.
Pescespada, tanti dentici, lampughe, pauri e tutta la specie di pesce del Mediterraneo che possa venire in mente, lo si trova qui. C’è solo l’imbarazzo della scelta, ma come si diceva, le ricette utilizzate per cucinarlo sono delle imitazioni, più o meno riuscite, della cucina siciliana vera e propria. Una delle tante offerte dai locali è il pesce cucinato alla fanese, di solito fette di cernia o pescespada, impanate con grattugiato speziato e poi infornate, una ricetta molto simile alla tipologia di cottura usata nel palermitano, anche per fare le cotolette di carne.
Lasciando da parte questi paragoni mangerecci, si può aggiungere che Lampedusa offre la visita, da non perdere, al Museo delle Pelagie dove, tra le tante attrazioni, si possono ammirare una notevole quantità di materiale ceramico, quali anfore, vasellame da mensa in terra sigillata africana, lucerne, inquadrabile tra il IV ed il VII sec. d. C.
Altra tappa culturale obbligata è il Museo Storico, praticamente di fronte a quello delle Pelagie, entrambi sulla Via Roma. Fondato da Nino Taranto, si è posto lo scopo di salvaguardare l’identità storica e territoriale, attraverso la raccolta di immagini fotografiche, documenti storici le cui riproduzioni è possibile acquistare per sostenere questo progetto, visitabile gratuitamente.
Come si accennava a inizio articolo, però, Lampedusa che, è doveroso ricordare, ha acceso la luce sulla disattenzione geografica del resto del mondo solo quando il colonnello Gheddafi provò a bombardarla con due missili nel 1986 fallendo il suo scopo. Da questo episodio, ci si accorge un po’ ovunque dell’esistenza di questa isola siciliana, più vicina all’Africa che alla Sicilia che, grazie alle sue bellezze naturalistiche accennate, aveva un potenziale di sfruttamento turistico da non sottovalutare.
Eppure l’isola ha una storia che risale al Neolitico, che ha visto passare Fenici e Normanni, che è stata d’ispirazione a Ludovico Ariosto per ambientarci una scena del suo Orlando Furioso, per non dimenticare la folle idea di Diderot che qui pensò di insediare un gruppo di attori liberi di esprimere la loro arte, anche questo intento fallito sul nascere. Sulla proprietà dell’isola nelle mani della famiglia di Tomasi di Lampedusa non occorre aggiungere altro.
In tempi più recenti, come non citare l’arrivo dell’elettricità, modernità riconosciuta ai lampedusani solo nel 1951. Sicuramente un esempio di grande rivoluzione sociale fu rappresentato dalla protesta degli abitanti che, per attirare l’attenzione del governo centrale sull’arretratezza dei servizi con la quale dovevano convivere ogni giorno, in occasione delle elezioni del 21 novembre 1964, nessuno degli aventi diritto andò a votare. Ne seguì un decennio di migliorie quali la costruzione di strade, fogne, scuole e, non meno importante dell’arrivo anche delle comunicazioni telefoniche, la costruzione dell’aeroporto.
La storia dei giorni nostri ci parla di turismo, di serate ad ammirare il tramonto tra uno spritz e una foto al sole che va a dormire nel mare, di complessini che suonano fino alle prime ore dell’alba sulla già citata Via Roma. Accanto, ben occultata, la triste realtà degli sbarchi di migliaia di disperati provenienti dal "quarto" mondo. Sembra una follia la presenza parallela di queste due realtà così distanti e così vicine. La fuga dal caos cittadino di migliaia di turisti italiani e di tutto il mondo verso questo piccolo paradiso di appena 20 kmq che, da poco più di 6.000 abitanti stanziali diventano oltre 70.000 nella stagione estiva.
Dall’altra parte, un’altra forma di fuga. Guerra, soprusi, campi di concentramento libici, futuri negati e risorse rubate al proprio territorio da parte della parte ricca del mondo. La speranza che fa rima con la mancanza che si riversa nel mare dove la prima e più vicina tappa di un’idea di salvezza e di sogni da realizzare è proprio questa piccola isola, distante 210 km dalla Sicilia e 152 dalle coste africane.
Si possono ignorare, qualcuno ha pensato bene di far piazza pulita dei resti delle imbarcazioni accatastate dopo i tanti naufragi, ma la realtà rimane intatta, nella sua drammaticità e crudezza. Nella sua indifferenza generale e tantissimi speculatori delle disgrazie e delle disperazioni che, nel mondo di oggi, hanno creato una nuova forma di schiavitù ambulante. In comune col passato, il colore della pelle. Sempre lo stesso, come un marchio di fabbrica e di destino crudele.
Meno di una settimana fa veniva documentato un salvataggio di 49 migranti bloccati sugli scogli di Capo Ponente, ma un periodo così breve è già anacronistico. Il fine settimana appena trascorso, i giorni subito seguenti, tutto è già presente e passato. Li abbiamo visti, domenica sera, al molo di Porto Vecchio. In fila in attesa di salire su una nave di trasferimento, tanti giovani, minorenni non accompagnati, come è consuetudine definirli adesso. Qualcuno con la mascherina, silenziosi raccoglievano le bottigliette d’acqua che venivano offerte dalle forze dell’ordine. Forse anche speranzosi, ci piace immaginarli così.
Sì, non ci si può rendere conto di tutto questo. Le occasioni per distrarsi sono offerte ogni momento da questa splendida isola. Una spiaggia, un anfratto, un tramonto o tutto quanto possa fare illudere che il mondo sia meno crudele di quanto riusciamo a percepire. Durante l’attesa per imbarcarci sull’aereo che ci avrebbe riportato alle nostre case, abbiamo catturato alcuni racconti di giovani poco più che maggiorenni. Racconti e nostalgie di bevute e sballo. Scolate di bottiglie di gin e birra. E tanti, troppi spritz a cavalcare le mode. In poche parole, fughe dalla realtà. Una realtà sicuramente migliore di quella vissuta da migliaia di rassegnati a un destino inumano. Senza nessuna alternativa di fuga...
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