“La scuola lo sa da che parte stare”: camminata per Gaza

La camminata per Gaza nasce dentro il mondo della scuola, da una lettera del Liceo scientifico torinese “Galileo Ferraris” sottoscritta da molti istituti, e, soprattutto, da una proposta dell’Istituto comprensivo “Gino Strada”
Un lungo corteo, alcune migliaia di partecipanti, sfila nel pomeriggio lungo le vie di Torino, partito dalla centrale piazza Castello e, poi, in via Po, nell’ampia piazza Vittorio Veneto, sino a raggiungere il parco del Valentino. Insegnanti, studenti, qualche dirigente scolastico, famiglie, ma anche cittadini sollecitati a camminare per Gaza, a dare voce a un disagio profondo dinanzi al massacro, reiterato e largamente ignorato, dei gazawi. Giovedì 5 giugno, tra bandiere della pace e della Palestina, slogan – «la scuola lo sa da che parte stare», «basta genocidio», tra gli altri – e canti, una parte del mondo della scuola e della società civile torinesi ha manifestato la propria indignazione davanti al genocidio, la propria contrarietà dinanzi al lungo silenzio attorno a quella che ancora ci si ostina a chiamare guerra e che guerra non è: è un massacro di civili dietro il paravento comodo dell’estirpazione di Hamas.
La camminata per Gaza nasce dentro il mondo della scuola, da una lettera del Liceo scientifico torinese “Galileo Ferraris” sottoscritta da molti istituti, e, soprattutto, da una proposta dell’Istituto comprensivo “Gino Strada”, che, dopo aver approvato nel collegio docenti la lettera dei colleghi del Galfer, ha ipotizzato una passeggiata dei bambini dalle scuole di Vanchiglia sino al parco del Valentino. E questa proposta è stata accolta dai molti insegnanti che afferiscono alla Rete della “Scuola per la pace” nell’assemblea del 28 maggio. Una rete scolastica orizzontale e informale, nata a ridosso della guerra russo-ucraina, come suggerisce il prof. Giorgio Monestarolo, tra i primi organizzatori del movimento: «siamo nati quando è scoppiata la guerra in Ucraina e, per tre anni, abbiamo cercato di smascherare la narrativa aggressore e aggredito e mettere in luce quelli che sono i veri problemi che abbiamo di fronte, ossia una grave crisi economica internazionale che si vuole risolvere con la guerra».
L’iniziativa del 5 giugno guarda all’altro scenario di crisi, il Medio Oriente, ed è mossa dalla volontà di uscire dal silenzio, di dare voce alla crescente indignazione di una parte della società civile, «perché quello che succede a Gaza è una macchia di tutta l’umanità ed è una macchia per noi italiani ancora più grande, perché la nostra Costituzione si impegna a risolvere i conflitti internazionali attraverso la diplomazia, mentre noi siamo schierati dalla parte di un esercito e di un governo genocida». È ancora il prof. Monestarolo a parlare e gli fa eco la voce di un’altra promotrice della “Scuola per la pace”, la prof.ssa Terry Silvestrini, che guarda dall’interno della realtà scolastica: «nelle nostre scuole c’è stato silenzio e io penso che, a differenza dell’Ucraina per cui si sono organizzate raccolte fondi, accoglienza di studenti ed espresse varie forme di solidarietà, per i palestinesi nelle scuole non si sia fatto per una questione di razzismo, e ritengo che sia un’aberrazione pensare che un genocidio possa essere considerato divisivo».
Ma la camminata per Gaza non è solo una manifestazione di solidarietà verso il popolo palestinese. Ci tiene Terry Silvestrini a sottolineare che l’iniziativa ha anche dei contenuti politici: la richiesta non solo della fine del genocidio, ma anche la riapertura dei corridoi umanitari, l’interruzione di ogni rapporto politico, diplomatico ed economico con Israele, la necessità di non rinnovare il memorandum di cooperazione con lo Stato ebraico, la richiesta di ritirare l’ambasciatore italiano a Tel Aviv.
Che alla camminata abbia aderito un numero rilevante di persone – non solo del mondo della scuola – è significativo, anche in relazione ai brevi tempi organizzativi della manifestazione. Dà la misura di uno scollamento tra una parte del ceto politico, ancora esitante nella netta presa di distanza dalla guerra o, peggio, votato ad accogliere le istanze europeiste di riarmo, e una parte della società civile che quelle esitazioni e quelle istanze rifiuta. Che rifiuta i compressi e i silenzi, che non vuole scendere sotto la soglia dell’umanità: «sono qua, perché non posso non esserci. Devo esserci per forza, perché se mi resta anche un minimo di umanità, io devo essere qui». Lo dice Anna Kratter, docente in pensione, a cui dà speranza la forza vitale degli studenti che colorano il corteo. Quegli stessi studenti ai quali guarda con attenzione un’altra insegnante, Elena Aleci, docente di storia dell’arte al Liceo artistico “Alciati” di Vercelli: «non è vero che i ragazzi vivono nel virtuale, si rendono conto dell’orrore e a noi insegnanti spetta il compito di portarli a una sensibilità vera, fatta di cose autentiche. Studenti che, durante la visione del film “La corazzata Potëmkin”, si sono commossi davanti al dettaglio dello stivale del cosacco che pesta la mano del bimbo morto. Cento anni dopo, noi che viviamo nell’agio e nel privilegio, guardiamo in televisione il nuovo orrore e abbiamo dimenticato la mano di quel bimbo morto». E tu, Sofia, perché sei qui? «Perché credo nell’idea dei piccoli gruppi che possono cambiare certe cose del mondo, volevo aggiungere la mia voce al coro».
Sofia, giovane studentessa del Liceo artistico torinese “Renato Cottini” si unisce al coro. Perché, dallo spiazzo erboso nel parco del Valentino, accanto a un gazebo in cui campeggiano i disegni dei bimbi palestinesi prodotti nei rari momenti di tregua, diversi interlocutori si succedono al microfono per interloquire con i manifestanti. È il caso, tra gli altri, di alcuni studenti della “Scuola Holden”, accampati in modo itinerante nelle piazze torinesi, che invitano ad agire, a ricordare che dobbiamo uscire dal circuito depressivo dell’ineluttabilità delle cose, è il caso di un altro attivista che rammenta la forza d’urto dell’opinione pubblica contro la guerra in Vietnam, è il caso di Sara, del coordinamento di “Torino per Gaza” – una realtà che intende aggregare chi vuole attivarsi per la causa palestinese –, che preannuncia un corteo popolare, sabato 14 giugno in piazza Castello a Torino, per chiedere lo stop all’invio di armi in Israele e la cessazione dei rapporti politico-diplomatici con Tel Aviv, «considerando che adesso anche tanti pezzi della politica istituzionale si stanno schierando, sostenendo che a Gaza è in atto un genocidio».
Sofia ha ragione, è stato un coro ed è fondamentale che le scuole riflettano su ciò che le circonda e della realtà di cui fanno parte. I venti di guerra attraversano, infatti, gli istituti scolastici, spesso in modo silente e mascherato, con quella gradualità centellinata di iniziative singole che denunciano, se lette unitariamente, un progetto politico-culturale tutt’altro che casuale. Non a caso, nel maggio 2023, la “Scuola per la pace” ha aderito all’ “Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole”, nato in quell’anno con l’intento di monitorare tutte le iniziative interne agli istituti scolastici volte a ripristinare il linguaggio della guerra, a ripresentare il bellicismo come uno scenario mentale possibile, dopo che era stato allontanato per decenni dai costumi culturali europei. Basterebbe accennare a quanto riportato da “Il Fatto Quotidiano” lo scorso 1° giugno, per comprendere il rischio che la scuola venga riplasmata quale luogo di pedagogia bellicistica: all’IIS “Masotto” di Noventa Vicentina, parte dei fondi del PNRR dedicati alla dispersione scolastica sono stati affidati a una ditta paramilitare che istruisce alla guerra.
Dunque, la camminata per Gaza, nelle intenzioni della “Scuola per la pace”, vale di per sé, vale come richiamo a una tragedia di cui dovremo rendere conto, specifica, storicamente e geograficamente determinata. Ma è anche il segmento altamente significativo di una riflessione più ampia e globale, relativa a uno scenario che, evocando la minaccia di future aggressioni, intende prepararci al vocabolario del conflitto armato, ad abituarci, poco per volta, a considerare la guerra come l’unica alternativa. Fu lo slogan neo-liberista della Lady di ferro, quello del “there is no alternative”; è questa la logica che la “Scuola per la pace” intende arginare e contrastare. Il corteo di giovedì pomeriggio è il frutto ancora parziale, ma tutt’altro che insignificante di questo lavoro di sensibilizzazione.
Questo articolo è stato diffuso da Pressenza.
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