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La schedina tra le dita di David

Girodivite è stata in visita all’Università di Malmo per incontrare uno dei fondatori del progetto Arduino e scopre che produrre in Italia è più economico che farlo in Cina.

di Shining - mercoledì 25 febbraio 2009 - 7339 letture

David Cuartielles ci accoglie nello stesso posto dove ha insegnato per anni: tra i tavolini del bar della facoltà di Arte e comunicazione a Malmo, in Svezia.

«Vedete quei banchi e quelle panche laggiù? Ci portavo i miei studenti con un saldatore, i componenti e le basette di rame. Erano incontri animati e festosi. La gente si incuriosiva e ci chiedeva spesso su cosa stavamo armeggiando».

E voi su cosa stavate armeggiando?

«Si trattava di un dispositivo che muggiva non appena rilevava una scoreggia. Sapete come sono i progetti degli studenti...».

Inventate tante di queste di queste cose fondamentali per il progresso umano?

«Certo, perché è con cose come quelle che è nato il progetto Arduino: la possibilità di dare a tutti con venti euro una scheda programmabile con il proprio computer capace di relazionarsi al mondo esterno sia in analogico che in digitale».

Sì, ma a che serve una cosa come quella che hai detto?

«E che ne so? La gente trova i più svariati impieghi. La usano gli artisti nelle opere interattive, per esempio. Oppure con qualche componente in più diventa un gps che si ricorda dove sei stato».

Roba da specialisti...

«No, ecco, per lo meno non più: sul sito ci sono gli schemi per costruirti la scheda, ma è molto più semplice ordinarla già pronta e avete visto a che prezzo. E poi sul sito c’è il software per tutto e gira su Windows, Mac e Linux: il successo del progetto sta nel fatto che non costringo nessuno ad adottare i miei standard».

A proposito di prezzo: così economiche, eppure le schede sono fatte in Italia...

«Già, sono molto economiche è vero...».

Appunto: com’è che non sono fatte in Asia? Oggi tutto viene da lì con la manodopera a due soldi...

«Sì, ma solo se avveleni gli operai! Ci siamo informati in Corea e abbiamo scoperto che non ci sono fabbriche che rispettino le giuste misure di sicurezza richieste per queste lavorazioni. Abbiamo avuto un preventivo dalla Cina, da una fabbrica che può applicare gli standard di sicurezza europea: ci hanno fatto lo stesso prezzo che già ci avevano offerto in Italia: a questo punto che senso aveva pagare il trasporto per farcele spedire in Europa?».

Torniamo a te: com’è che uno spagnolo finisce in questa ghiacciaia?

«Dieci anni fa sono arrivato per insegnare Java. Allora la gente era convinta che Java sarebbe stato il futuro grazie al fatto che un programma scritto in questo linguaggio può girare su qualsiasi sistema operativo. Confesso che da ingegnere elettronico mi annoiavo un po’ a spiegare la programmazione. Poi la cattedra di elettronica è rimasta vacante e mi sono fatto avanti. Me l’hanno data e in qualche modo il Java me lo sono portato dietro».

E la cattedra era al bar?

«C’era la cattedra ma non il laboratorio. Quello che serviva era uno spazio dove coinvolgere ed entusiasmare gli studenti. Ha funzionato: abbiamo fatto molto tardi delle volte tra quei tavoli e dopo c’era da smontare tutto perché lo spazio non era solo nostro. Adesso abbiamo un laboratorio ufficiale anche se è vero che lo usiamo un po’ come una discarica».

Quindi adesso è vostro e non ve lo tocca più nessuno...

«Non è così. Io e altri quattro, che oggi sono il motore del laboratorio, vogliamo fare una società di computer miniaturizzati per uso industriale e dovremo trovare un nostro posto. Ma poi quest’edificio è arrivato alla fine...».

Che vuoi dire? Non mi sembra in cattive condizioni. Anzi!..

«Questa era una cartiera: è stata restaurata dieci anni fa, proprio quando io ho cominciato qui. Ne sono successe di cose in questi dieci anni, tra le quali ho avuto un figlio. Ma soprattutto siamo stati circondati: questo capannone si ergeva solitario nella zona, ora è affossato da tanti palazzi alti. L’Università, che qui in Svezia non possiede edifici, non può permettersi un affitto arrivato a un milione di euro all’anno. Così ci manderanno più in là, vicino alla darsena».

David Cuartielles (a destra) incontra Girodivite nel suo primo laboratorio

L’affare Arduino

Arduino è il marchio di fabbrica di una serie di schede basate su microcontrollori ma programmabili col computer. Il software per programmare le schede è scritto in Java e quindi è in grado di girare su GNU/Linux, su Mac e perfino su Windows.

Chiunque può costruirsi in casa una scheda Arduino (avendo l’attrezzatura, le competenze a la pazienza per farlo) perché sul sito sono disponibili tutti gli schemi elettrici e i disegni a dimensione reale dei circuiti stampati. Probabilmente è più comodo anche per gli esperti acquistare una scheda giù pronta da uno dei produttori. Già perché chiunque può produrre schede con il marchio “Arduino”: basta restituire al progetto il dieci per cento del ricavato delle vendite.

Copiare e commercializzare una scheda “Arduino” non viola alcun diritto di autore: l’importante per i fondatori del “vero” Arduino (cioè David Cuartielles, Massimo Banzi, Tom Igoe, Gianluca Martino e David Mellis) è che lo si faccia con un altro nome. Infatti sono nate versioni non ufficiali in libera vendita come Freeduino e Boarduino.

Il successo di queste schede, a parte il basso costo, sta nella semplicità con cui si usano: non serve essere un ingegnere elettronico, tanto che molto spesso esponenti della net-art ne fanno uso nelle loro opere.


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La schedina tra le dita di David
25 febbraio 2009 |||||| Sito Web: Hai un’idea geniale? Fai come Mr Arduino

Se qualcuno voglia approfondire ancora su Arduino consiglio la lettura di http://www.wired.it/magazine/archiv...