La rivoluzione dei caproni
È la logica del caprone: se uno nasce caprone, non diventa giraffa.
Nella puntata precedente abbiamo visto come si è tentata una riforma del sistema decrepito e lacunoso italiano, affidandosi ai “tecnici”. Con mediazione della figura istituzionale posta all’apice del sistema politico (il presidente della Repubblica), proprio per la sua posizione uno dei pochi a avere sentore più immediato di quanto si muove a livello internazionale (in questo caso: Stati Uniti, Germania e Francia), si giocò la carta della riforma dall’alto. Un blitz più che un golpe. Complice la sconfitta libica e le risate che accompagnavano ogni uscita oltreconfine del presidente del Consiglio dell’epoca, che avevano abbassato il prestigio dell’Italia al rango del Burundi (con rispetto parlando del Burundi). Giorgio Napolitano mise a capo dell’operazione Mario Monti, bocconiano che dalle pagine del Corriere della Sera tuonava efficientismo e modernizzazione neoliberista. Con un Paese con l’acqua alla gola i “professori” (come spregiativamente vennero chiamati) provarono a escludere i “politici” (come spregiativamente vengono chiamati) per fare la Grande Riforma. Solo che, loro stessi figli di questo sistema, e per di più anche in età avanzata e dunque portatori di una modernizzazione già vecchia di diversi decenni, si trovarono davanti a un giocattolo che nella realtà è molto più complesso di quello che appare quando sei dietro a una scrivania a comporre un bel temìno da consegnare come articolo su un giornale compiacente. Una macchina che si è cristallizzata su consuetudini e su equilibri interni di potere, in cui le “dirigenze” contano fino a un certo punto; molto di più le reti di potere dei “dirigenti” - quella che è la realtà della “macchina dello Stato”. E in cui c’entrano massoneria, partiti, cattolici con le loro diverse organizzazioni e raggruppamenti di potere ecc_. Insomma, il carrozzone dello Stato, quello che fa sì che nulla cambi - ma anche quello che prova a supplire alla mancanza dello sviluppo con la resistenza alla dissipazione.
Esperimento fallito. Tranne che per qualche belletto sui conti pubblici, e qualche vistoso errore (il caso dei pensionati “sospesi” sia di stipendio che di pensione, e qualche aggravio sparso) la cosa si è risolta con un nulla di fatto - come del resto tutta la vicenda “riformista” di cui Napolitano è stato uno dei rappresentanti in Italia.
E ora è il nuovo round. Stavolta è Sergio Mattarella che ci prova, a fronte della sconfitta sociale e culturale che abbiamo dimostrato davanti alla pandemia e alla covid-19 (i morti sono lì a testimoniarlo). L’Europa ora si gioca tutto, dopo la perdita dell’Inghilterra (un terzo delle risorse dell’Unione) e manda Draghi. Qui si tenta una cosa più complicata. Da una parte ci sono soldi veri, cosa che non c’erano nel primo tentativo. Cioè debiti veri: soldi che dovranno essere restituiti, e il creditore vigila perché siano spesi bene questi soldi. L’Europa si gioca tutto non perché debba farsi perdonare dei morti, cosa a cui nessuno interessa; quanto il fatto che gli altri Stati continentali stanno ripartendo (Stati Uniti, Cina, e persino la perfida albione) e quel che resta dell’Europa rischia di fare da fanalino di coda. O l’Europa si rimette in sella o non ha più ragione d’essere. Il problema è che questa Europa è ancora l’Europa ultra-liberista del passato recente, quella stessa che ha mostrato di non avere idea di cosa sia uno Stato sociale o uno Stato che rappresenti dei cittadini; bravi a fare gli interessi di alcuni imprenditori (specie se trasferiscono la ragione sociale in Olanda o nel Benelux). Per il resto annaspano: e all’estero non sono nient’altro che una associazione di Stati senza neppure un seggio all’ONU o un rappresentante comune d’ambasciata (non esistono “ambasciatori” accreditati negli Stati Uniti ecc_). È l’Unione senz’anima uscita dai protocolli firmati da Giuliano Amato e amichetti. Oggi in mano alla CDU, ovvero i democristiani d’Europa.
Dicevamo, ora c’è da direzionare i flussi di denaro. Un problema di intermediazione. E per questo oltre ai “tecnici” che ritornano, stavolta ci sono anche i “politici”, ovvero quelli stessi che hanno degenerato il sistema italiano negli ultimi 40 anni. Di fronte ai tentativi di modernizzazione in ritardo che la crisi pandemica ha mostrato, come l’uso dell’homeoffice (che solo in Italia chiamano smart working), l’uso esteso al di fuori dell’ambito lavorativo della formazione tramite la telematica (la chiamano DaD, Didattica a distanza), il maggiore impulso ai pagamenti con carta elettronica e all’acquisto online; questo personale “politico” non può che tentare una controriforma. Affidare ai responsabili della degenerazione del sistema la riforma del sistema stesso non sembrerebbe proprio una buona idea. Si prova a fare questo ragionamento: il vecchio non lo puoi eliminare, la vita lunga delle popolazioni rende impensabile affidarci ai benefici della morte naturale (e del resto la pandemia non sembra ne abbia ammazzati a sufficienza); proviamo a usare il vecchio per immettere elementi nuovi: se son rose fioriranno. Si tengono allora buoni alcuni settori su cui si vuol puntare davvero per l’innovazione all’interno del sistema; si inseriscono alcuni “contentini” giusto per indorare la pillola (tipo il settore ambientale ed ecologico, tanto lì non si andrà oltre le dichiarazioni di buone intenzioni di facciata); e si ridà ai “politici” le chiavi dei settori tradizionali, in modo che stavolta il tentativo di modernizzazione non sia sentito come nemico, e dunque da sabotare, ma magari con si mettano di traverso - comprenderlo no, perché in ogni caso si tratta di cose su cui loro, i “politici” non capiscono proprio nulla.
Ovviamente i “politici” sono solo la punta di un iceberg, front-end dietro cui stanno il sistema della famiglie del capitalismo nostrano; i dirigenti della Pubblica Amministrazione; gli amministratori delegati delle aziende Pubbliche e delle consociate ecc_
In questo nuovo round non c’è nulla che faccia presagire qualcosa di buono. Gran parte dei settori della vita economica e sociale del Paese sono tornate nelle mani della vecchia classe dirigente. Le piccole timide innovazioni immesse obtorto collo con la pandemia saranno eliminate: a cominciare dall’homeoffice. Non, non stiamo parlando della riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio com’è nella realtà degli altri Paesi Europei, né dell’aumento dei salari per portarli a livello di quelli europei.
Si introdurranno timide e parziali “riforme” per tacitare l’Europa, riforme che saranno mal applicate e neppure comprese. Ma solo in alcuni settori, e fintanto non sottraggono o cambino i poteri all’interno dei ceti dirigenti (quelli che con linguaggio forcaiolo vengono definite “caste”).
Quando si vuol fare delle riforme senza popolo, deideologizzate (in apparenza) per timore di sporcare troppo il tappeto dalla presenza incomoda di pezzenti, si finisce per fare il classico buco nell’acqua. È la logica del caprone: se uno nasce caprone, non diventa giraffa. Che riforme ci si può attendere da un banchiere e dagli spergiuri (“l’han giurato!”, come in una vecchia lirica) della nipote di Mubarak?
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