La questione italiana

Un divario Nord-Sud messo già in evidenza dopo il 1848 da politici ed intellettuali meridionali esuli da Napoli e dalla Sicilia.
E’ da poco uscito da Laterza (pagg. 238) un nuovo tassello di analisi storica sul Mezzogiorno e non solo: “La questione italiana. Il Nord e il Sud dal 1860 a oggi”. L’autore è Francesco Barbagallo, attento osservatore del nostro tempo, partendo dalle radici del divario e da quelle che sono risultate le emergenze mai del tutto risolte.
Un divario Nord-Sud messo già in evidenza dopo il 1848 da politici ed intellettuali meridionali esuli da Napoli e dalla Sicilia. Nel suo excursus storico, l’autore evidenzia un primo dislivello che proviene dalle infrastrutture (rete ferroviaria e strade) che al Nord iniziavano a riprodursi anche in iniziali processi capitalistici, dal tessile ad un’agricoltura intensiva, in amministrazione e rete scolastica, mentre di contro al Sud l’agricoltura versava in condizioni arretrate con vincoli semifeudali, con uno scarso spirito pubblico. Dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, il dispotico regime borbonico, non avendo realizzato riforme né sul piano politico né su quello economico, si dissolse in poche settimane, consentendo campo aperto ad una unificazione nazionale partita da sud, non senza aver lasciato diseguaglianze e problemi sociali del tutto irrisolti.
E via via nei decenni successivi, verso la fine dell’800 e i primi del secolo scorso, quando il Sud si trovò a fare le spese più pesanti nella “guerra commerciale” con la Francia, dopo aver avuto un significativo impulso in agricoltura grazie a politiche liberiste di stampo europeo, che avevano favorito l’esportazione di alcuni prodotti pregiati. Occorreva sanare quella frattura, questo l’impegno del governo Giolitti che, sposando la causa sostenuta da Francesco Saverio Nitti, inaugurò una legislazione speciale per il Mezzogiorno, con un incremento di infrastrutture e la industrializzazione del distretto partenopeo. La questione meridionale diventerà dunque, su perseverante azione di Giustino Fortunato, la “Questione” basilare di una nazione che si confrontava con i continui cambiamenti, e nonostante per Mussolini si tratterà soltanto di una “invenzione”. Fino ai giorni nostri, quando dall’agenda pubblica risulta pressoché assente, perché ritenuta “irrisolvibile”.
Eppure nel quindicennio fra gli anni ‘60 e i primi ‘70 proprio il Sud ha conosciuto una fase di interessante incremento economico e produttivo in campo manifatturiero, ponendolo al pari di regioni del nord-est e del centro Italia. Ma fenomeni di stagflazione (di inflazione recessiva) e di politiche clientelari ed assistenziali hanno distorto quel percorso che poteva davvero contribuire ad una crescita collettiva fino ad allora senza precedenti. Le nascenti Regioni puntarono quindi più a dilatare un certo capitalismo “municipal-politico” che a incoraggiare l’affermazione di piccole e medie imprese radicate sul territorio.
In conclusione, l’analisi storica di Barbagallo ci porta a riconsiderare l’attualità nella direzione di uno sviluppo nazionale che ricollochi il Sud quale protagonista in un nuovo profilo geopolitico, che lo inquadri in un naturale crocevia fra Europa e Mediterraneo, Africa e Medioriente. Questione meridionale, dunque, ma anche Questione italiana.
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