La politica delle targhette d’ottone
Conta sempre più un titolo rivendicato rispetto ad una reale competenza.
Eppure basta voltare lo sguardo verso i muri di paese, proprio in direzione dei necrologi che vengono incollati giornalmente da misteriosi personaggi che spesso sfuggono dall’attenzione dei cittadini, pur essendo conosciuti a tutti nel proprio centro abitativo. La gente però è distratta, come più volte abbiamo sottolineato sulle nostre pagine. Troppo impegnata a fare altro o a commentare notizie sommarie senza riscontro, come uno dei tanti esperti che dominano il presente, spuntati dal nulla e chissà se un giorno di ritorno nell’oblio come i presupposti farebbero pensare.
Se lo facessimo realmente, prestare più attenzione al mondo seppur piccolo che ci circonda nei nostri paeselli, difficili da trovare anche nelle carte geografiche e osservassimo i volti, le età e le vite abbandonate e statisticate su quel rettangolo di carta che, in tempi di consultazioni virtuali, dominano le curiosità tanto da azzardare l’ipotesi che "tutti sanno quando saremo morti, anche prima di noi". Ebbene se il legittimo occhio critico di chi ha solo voglia di farsi le domande si occupasse di argomenti più tangibili, ci accorgeremmo di quelle morti giovani, giovanissime, a volte anche infantili che con troppa sufficienza rientrano in una normalità di una giustificazione pandemica.
Chi vive nei luoghi di queste persone che ci hanno lasciati pramaturamente, chi vi è entrato in contatto negli anni della loro vita, chi ha toccato con mano le loro abitudini, i loro pregi e difetti, e i loro vizi, è in grado di tradurre la morte in qualcosa di più sofisticato e reale, rispetto a un mero tassello informativo che sarà oggetto di discussione per il breve tempo che intervalla la notizia del presente a quella di un immediato futuro.
Ci saprebbe svelare i retroscena di storie che spesso si preferisce camuffare da dipartite violente, dove la violenza è solo un modo diverso per identificare la giovane età. 51, 46, 27 o qualsiasi numero possa venire in mente da accostare all’attributo "prematura" diventano solo cifre sulle quali soffermarsi a riflettere inutilmente, senza il giusto coraggio di chiamare le cause con il loro nome. Eppure, tutti conoscono quel lato della vita privata di dominio pubblico in questi piccoli centri. Li hanno visti annaspare per anni nelle loro divagazioni alla normalità, tra vicende di alcolismo, droga e sempre più spesso, entrambe combinate insieme senza regole precise.
Una comunità dovrebbe farsi più domande quando un evento di eccezione rischia di diventare la regola, quando la notizia di una piazza di spaccio diventa soltanto un commento da bar da dimenticare presto. Quando angoli di paese vengono invasi da bottiglie vuote di alcolici di ogni genere, abbandonate quotidianamente e ci si limita a trasformarla in una questione di coscienza legata ad un improvviso ed ipocrita senso civico di rispetto per l’ambiente e di smaltimento rifiuti riciclabili.
Una comunità non dovrebbe accontentarsi dei discorsi di commiato durante i funerali, pomposi ed eccessivamente banali decantati dai politici locali, come un atto dovuto, anch’esso da dimenticare il prima possibile. Le domande sono lì, davanti agli occhi di tutti. Le stesse che dovrebbero porsi i detentori di ruoli istituzionali, occupati da decenni per "grazie ricevute", con i vari titoli a far bella mostra mai comprovati da un’effettiva competenza e dedizione al compito assegnato.
Ed ecco, improvvisati assistenti sociali, devoti al nepotismo, a vivere negli stessi luoghi, ad ignorare gli stessi problemi, a mantenere incarichi vita natural durante, senza alcuno scrupolo di abbandonare il posto occupato impunemente e tornare a "guardare" con occhi diversi una società che si brucia il cervello con chimica stupefacente e alcol monopolizzato dallo stato. Perché qualcuno continua a fingere di non essersi accorto che, tra le tante chiusure dell’ultimo anno, i tabaccai e le rivendite di alcolici, gli spacciatori e gli elargitori di sballo a buon mercato non hanno mai chiuso.
Perchè si può avere diritto a offrirsi ad ogni genere di tumore e di varie forme di cirrosi epatiche, a infarti e ictus anomali, ma mai del tutto a porre le domande scomode. Appare così scontato dover accettare la logica perversa che se una comunità non senta il bisogno di cercare le risposte, perché mai dovrebbe porsi le domande il politico di turno che, aspetto per convenzione sottovalutato, non ci va da solo ad occupare quella poltrona che riconosce un mondo e, alla fine, non riconosce niente.
Quella che abbiamo appena descritto è una situazione abituale, atavica, consolidata negli anni nei paesi della riviera jonica del messinese, una realtà che negli ultimi mesi ha registrato diverse morti che, piuttosto che definirle premature, sarebbe più corretto giudicarle sospette. Come in altre occasioni, per altri argomenti che possano interessare un luogo, un paese, una comunità, specificare in modo netto di quale parte geografica si sta trattando, appare alquanto superfluo se non addirittura inutile. Chiunque potrebbre raccontarci le stesse storie cambiando solo i nomi dei personaggi, ma ciò non muterebbe lo sgomento di rimanere ad osservare l’indifferenza che ci accomuna tutti. Quella che ci fa credere di poter cancellare dal nostro quotidiano la voglia di un perché.
A cadenza annuale, molte località che abbiamo provato a raccontare, sono interessate da elezioni amministrative. Sono l’occasione per sentire i nomi di tanti riproposti, uguali, lascivi, a volte anche arroganti, che hanno l’unico compito di abituarci ad accettare vite che si perdono, suicidi mentali e gli ennesimi ricatti morali a riunirci tutti in una moderna schiavitù rassegnata.
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