Poesia è politica (1): Spostare la polvere
Libretto di transito / di Franca Mancinelli. - Amos edizioni, 2018. - 72 p. - (A27 poesia). - ISBN 978-88-8767-061-5
Un piccolo libro che si apre con una citazione di Emily Dickinson: che c’è di meglio per iniziare i nostri piccoli incontri di poesia?
Poi leggiamo… e scopriamo che, anche se la collana si chiama A27 poesia, i testi sono in prosa.
Iniziamo quindi subito con uno spaesamento inatteso ma per certi versi provvidenziale.
Cos’è la poesia? Cos’è la prosa? Cos’è la prosa poetica? Che roba è questa? La poesia si riconosce non dalle rime né dalle parole auliche, né dalla lunghezza di versi, né dalla metrica o dall’assenza di metrica.
Forse questa non è poesia ma ci piace come primo approccio alla poesia, questo passaggio dalla prosa alla poesia può rivelarsi necessario e utile. Vi propongo un esercizio.
Se leggiamo queste brevi composizioni ad alta voce, facendo una piccola pausa dopo ogni punto, chi ci ascolta non sa se e dove ci sono degli “a capo”. La poesia può forse limitarsi in questo? Gli “a capo”?
Proviamo:
Viaggio senza sapere cosa mi porta a te. So che stai andando oltre i confini del foglio, dei campi coltivati. È il tuo modo di venirmi incontro: come un’acqua in cammino, diradando. Guardando dal finestrino, ti ho letto nel viso finché c’era luce.
Adesso, proviamo così:
Viaggio senza sapere cosa mi porta a te.
So che stai andando oltre i confini del foglio, dei campi coltivati.
È il tuo modo di venirmi incontro:
come un’acqua in cammino, diradando.
Guardando dal finestrino, ti ho letto nel viso finché c’era luce.
Ancora più radicale?
Viaggio senza sapere
cosa mi porta a te.
So che stai andando
oltre i confini del foglio,
dei campi coltivati.
È il tuo modo di venirmi
incontro:
come un’acqua in cammino,
diradando.
Guardando
dal finestrino,
ti ho letto nel viso
finché c’era luce.
Abbiamo perfino una tripla rima (il gerundio).
Cosa cambia? Solo il ritmo della lettura.
Se fare poesia significa usare la lingua per esprimere emozioni, questa è poesia. Sembra quasi che l’autrice ci voglia dire: se non sapete leggere con le pause, è un problema vostro.
Se fare poesia significa fare versi, rime, enjambement, è comunque poesia: solo che chiede al lettore di partecipare all’atto poetico.
La prima poesia che ho scelto è questa:
Ero una casa abitata da piante che si sporgono ai vuoti, sottili si avvolgono dentro il franare dei muri. Si è dimenticata la porta, questa casa, l’ha inghiottita come un boccone messo un po’ di traverso. È così che vengono e vanno: rondini in cerca di rifugio e poi libere gridano di piacere. (p. 20)
Abbiamo una voce poetica (un io implicito) e un tempo passato. È dunque una narrazione. E troviamo anche, subito, una metafora (ero una casa) e questo ci avverte che ce ne saranno altre. E difatti troviamo piante, muri, rondini. E la porta, assente (come le finestre, del resto). Da un lato il franare, l’inghiottire, il boccone che si fatica a deglutire. Dall’altro il rifugio, la libertà, il piacere. ‘Il privato è politico’, si diceva nel ’68, e ‘il corpo è mio’, si rivendicava nel ’78. Oggi, spesso ci dimentichiamo i diritti acquisiti lottando. Scrivere poesia è un po’ come tendere una rete sopra la memoria, e vedere cosa si riesce a raccogliere.
La seconda è questa:
L’anziana che abita nel palazzo vicino esce ogni tanto in balcone. Spazza, tende i panni sul filo, li raccoglie, annaffia due vasi. Quando partirà, lascerà uno spazio pulito, che ha preso la forma della sua vita. Quella precisione istintiva mi guida per brevi sequenze: sposto la polvere, cambio posto alle cose. E come riemergendo da una nebbia, si spalanca un altro spazio nella mente. (p. 37)
Di nuovo una voce narrante in prima persona, ma questa volta il passato lascia il posto al presente (e al futuro). Il focus è sull’anziana vicina di casa, una persona definita dalla precisione istintiva, dalla pulizia, dalla cura. Anche qui – sebbene fuori campo – ci sono le piante. Due. Il soggetto pare riprodurre i suoi gesti, come in una dimostrazione dell’esistenza dei neuroni specchio: ma è maldestra, non spolvera in maniera corretta, ma sposta la polvere e gli oggetti. Tuttavia, nello svolgerli, questi gesti, arriva l’epifania: l’attimo speciale che dirada la nebbia e spalanca una dimensione imprevista. Il breve squarcio di futuro in rima (quando partirà, lascerà) non allude alla morte ma alla memoria, a un lasciarsi alle spalle. Cosa? La forma della propria vita. Come quando fissiamo a lungo la luce e poi, spostando lo sguardo, fissiamo una parete bianca. Si chiama “effetto di contrasto consecutivo negativo”. Qui accade il contrario, una forma vuota preserva la vita.
Quali parole-chiave tratteniamo, noi, dopo la lettura di queste poesie? Se vogliamo farne una lettura politica, ne propongo due: rifugio e anziana. Entrambe le parole ci riportano all’ambito domestico, alla casa intesa come luogo di conforto. Pensare a chi non ce l’ha, a chi l’ha persa sotto i terremoti, le alluvioni, le bombe, è un atto politico. Pensare agli anziani, a chi vive in solitudine, a chi è vicino a “partire”, è un atto politico.
Non limitiamoci a spostare la polvere.
Franca Mancinelli ha un bellissimo blog, è autrice di quattro libri di poesia: Mala kruna (Manni, 2007 – premio opera prima Laudomia Bonanni e Giuseppe Giusti), Pasta madre (con una nota di Milo De Angelis, Nino Aragno, 2013 – premio Alpi Apuane, Carducci, Ceppo-giovani), Libretto di transito (Amos Edizioni, 2018), e Tutti gli occhi che ho aperto (Marcos y Marcos, 2020 -premio Europa in versi 2021). Una silloge di suoi testi è compresa in Nuovi poeti italiani 6 (Einaudi, 2012) e con introduzione di Antonella Anedda, nel Tredicesimo quaderno italiano di poesia contemporanea (Marcos y Marcos, 2017). Collabora con Pordenonelegge come giurata dei premi di poesia “Esordi”, “I poeti di vent’anni” e “Umberto Saba”. Traduzioni di suoi testi sono apparse su riviste e antologie straniere. Fa parte del progetto promosso dall’Unione Europea “Versopolis”. Ha partecipato ad alcuni progetti internazionali, tra cui Chair Poet in Residence (Calcutta, 2019) e Refest – Images and Words on Refugee Routes (2018) da cui è nato “Taccuino croato”, ora in Come tradurre la neve (coautrice, AnimaMundi, 2019). Con traduzione inglese di John Taylor sono usciti per The Bitter Oleander Press (Fayetteville, New York) The Little Book of Passage (2018) – traduzione di Libretto di transito –, At an Hour’s Sleep from Here: Poems (2007-2019), una raccolta dei suoi primi due libri con alcuni inediti e un libro di prose inedito in Italia, The Butterfly Cemetery. Selected Prose (2008-2021).
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