La poesia della settimana: Allen Ginsberg
I versi conclusivi di un’opera epica del panorama letterario internazionale. Dopo quasi sessanta anni, ancora attuali.
Urlo
*Carl Solomon! Sono con te a Rockland
dove sei piu’ pazzo di me
Sono con te a Rockland
dove dovrai sentirti ben strano
Sono con te a Rockland
dove imiti l’ombra di mia madre
Sono con te a Rockland
dove hai assassinato le tue dodici segretarie
Sono con te a Rockland
dove ridi per questo umorismo invisibile
Sono con te a Rockland
dove siamo grandi scrittori sulla stessa orribile macchina da scrivere
Sono con te a Rockland
dove la tua condizione e’ diventata seria e lo riporta la radio
Sono con te a Rockland
dove le facolta’ del cranio non tollerano piu’ i vermi dei
sensi
Sono con te a Rockland
dove bevi il te’ dal seno delle zitelle di Utica
Sono con te a Rockland
dove fai battute sul fisico delle tue infermiere le arpie del Bronx
Sono con te a Rockland
dove gridi in camicia di forza che stai perdendo la partita
dell’autentico pingpong degli abissi
Sono con te a Rockland
dove pesti sul pianoforte catatonico l’anima e’ innocente e
immortale non dovrebbe morire mai empiamente in un manicomio -armato
Sono con te a Rockland
dove cinquanta altri shock non restituiranno mai piu’ la tua anima al -corpo
dal suo pellegrinaggio verso una croce nel nulla
Sono con te a Rockland
dove accusi i dottori di demenza e trami la rivoluzione
ebrea socialista contro il Golgota nazionale fascista
Sono con te a Rockland
dove separerai i cieli di Long Island e farai risorgere il tuo
vivente Gesu’ umano dalla tomba sovrumana
Sono con te a Rockland
dove ci sono venticinquemila compagni rabbiosi che cantano tutti -assieme
le strofe finali dell’Internazionale
Sono con te a Rockland
dove abbracciamo e baciamo gli Stati Uniti sotto le lenzuola gli
Stati Uniti che tossisce tutta la notte e non ci lascia dormire
Sono con te a Rockland
dove ci svegliamo elettrificati dal coma per gli aeroplani delle
nostre anime che rombano sul tetto sono venuti a sganciare bombe -angeliche
l’ospedale si illumina mura immaginarie franano O smunte legioni
correte fuori O scossa di grazia a stelle e strisce la guerra
eterna e’ giunta O vittoria lascia perdere le mutande siamo liberi
Sono con te a Rockland
nei miei sogni cammini gocciolando da un viaggio di mare -sull’autostrada
attraverso l’America in lacrime verso la porta della mia villetta nella -notte
dell’Occidente
*Carl Solomon (New York, 30 marzo 1928 – New York, 26 febbraio 1993) è stato un poeta e scrittore statunitense, che Ginsber conobbe nel manicomio di Rockland
Allen Ginsberg, nato a Newark il 3 giugno 1926 e morì in New Jersey il 5 aprile 1997, non poteva non collocarsi nel periodo culturale e letterario che passerà alla storia con il nome di Beat Generation. Sotto certi versi, una collocazione che riduce e semplifica la produzione lirica di uno dei cantori più crudi e realistici americani, che influenzerà le generazioni a venire di tutto il mondo.
Se fare poesia è comunicare sensazioni, sentimenti, stati d’animo, ma anche il proprio disagio del vivere, Ginsberg usò la sua lirica per denunciare le pietre rotolanti che il consumismo americano aveva messo in moto e che, oggi forse più di ieri, ha confermato che l’Urlo del poeta si sia smarrito nel vento, come un altro giullare quale Bob Dylan ebbe a cantare successivamente.
Ma il suo poema più famoso non è solo una denuncia contro la società americana e il suo infinito fascino verso la ricchezza, la perdizione e lo stillicidio di valori. Una società affacciata ad una delle tante guerre statunitensi, mai risolutive né sostenute da validi motivi per mandare anatomia umana al macello. Un altro cantore americano, Henry Miller, più volte si scagliò contro la follia della guerra, e già un decennio prima scrisse nel suo Air conditioned nightmare che "...due errori divisi a metà, non creeranno una giustizia".
Ginsberg urlò anche la sua disperazione contro un’America bigotta, legata e chiusa al proprio guscio di falso moralismo, che non restò passiva a questa forza rivoluzionaria che i versi del poeta seppero scagliare, trascinando parole di libertà, anche sessuale, in tempi in cui gli Stati Uniti avevano già provato ad esportala con le armi, in un miscuglio di ipocrisia e arretratezza culturale. E questa America, come spesso quando non comprende e teme i cambiamenti storici, reagì in modo antidemocratico a questa forma di libertà di parola, portando Ginsber alla sbarra di uno dei tanti processi all’innovazione che dotti, medici e sapienti intavolavano frequentemente.
Ma l’America degli anni ’50, che definì l’opera di Ginsberg oltraggiosa e illegale, in un periodo durante il quale l’omosessualità era considerata reato, questa America dovette cedere al giudizio espresso dal giudice Clayton W. Horn, che aggiunse il suo parere personale in merito con la famosa domanda: "Would there be any freedom of press or speech if one must reduce his vocabulary to vapid innocuous euphemisms?"
Ai posteri l’ardua sentenza.
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