La poesia della settimana: Allen Ginsberg

I versi conclusivi di un’opera epica del panorama letterario internazionale. Dopo quasi sessanta anni, ancora attuali.

di Piero Buscemi - lunedì 19 agosto 2013 - 4136 letture

Urlo

*Carl Solomon! Sono con te a Rockland
 dove sei piu’ pazzo di me
 Sono con te a Rockland
 dove dovrai sentirti ben strano
 Sono con te a Rockland
 dove imiti l’ombra di mia madre
 Sono con te a Rockland
 dove hai assassinato le tue dodici segretarie
 Sono con te a Rockland
 dove ridi per questo umorismo invisibile
 Sono con te a Rockland
 dove siamo grandi scrittori sulla stessa orribile macchina da scrivere
 Sono con te a Rockland
 dove la tua condizione e’ diventata seria e lo riporta la radio
 Sono con te a Rockland
 dove le facolta’ del cranio non tollerano piu’ i vermi dei
 sensi
 Sono con te a Rockland
 dove bevi il te’ dal seno delle zitelle di Utica
 Sono con te a Rockland
 dove fai battute sul fisico delle tue infermiere le arpie del Bronx
 Sono con te a Rockland
 dove gridi in camicia di forza che stai perdendo la partita
 dell’autentico pingpong degli abissi
 Sono con te a Rockland
 dove pesti sul pianoforte catatonico l’anima e’ innocente e
 immortale non dovrebbe morire mai empiamente in un manicomio -armato
 Sono con te a Rockland
 dove cinquanta altri shock non restituiranno mai piu’ la tua anima al -corpo
 dal suo pellegrinaggio verso una croce nel nulla
 Sono con te a Rockland
 dove accusi i dottori di demenza e trami la rivoluzione
 ebrea socialista contro il Golgota nazionale fascista
 Sono con te a Rockland
 dove separerai i cieli di Long Island e farai risorgere il tuo
 vivente Gesu’ umano dalla tomba sovrumana
 Sono con te a Rockland
 dove ci sono venticinquemila compagni rabbiosi che cantano tutti -assieme
 le strofe finali dell’Internazionale
 Sono con te a Rockland
 dove abbracciamo e baciamo gli Stati Uniti sotto le lenzuola gli
 Stati Uniti che tossisce tutta la notte e non ci lascia dormire
 Sono con te a Rockland
 dove ci svegliamo elettrificati dal coma per gli aeroplani delle
 nostre anime che rombano sul tetto sono venuti a sganciare bombe -angeliche
 l’ospedale si illumina mura immaginarie franano O smunte legioni
 correte fuori O scossa di grazia a stelle e strisce la guerra
 eterna e’ giunta O vittoria lascia perdere le mutande siamo liberi
 Sono con te a Rockland
 nei miei sogni cammini gocciolando da un viaggio di mare -sull’autostrada
 attraverso l’America in lacrime verso la porta della mia villetta nella -notte
 dell’Occidente

*Carl Solomon (New York, 30 marzo 1928 – New York, 26 febbraio 1993) è stato un poeta e scrittore statunitense, che Ginsber conobbe nel manicomio di Rockland

Allen Ginsberg, nato a Newark il 3 giugno 1926 e morì in New Jersey il 5 aprile 1997, non poteva non collocarsi nel periodo culturale e letterario che passerà alla storia con il nome di Beat Generation. Sotto certi versi, una collocazione che riduce e semplifica la produzione lirica di uno dei cantori più crudi e realistici americani, che influenzerà le generazioni a venire di tutto il mondo.

Se fare poesia è comunicare sensazioni, sentimenti, stati d’animo, ma anche il proprio disagio del vivere, Ginsberg usò la sua lirica per denunciare le pietre rotolanti che il consumismo americano aveva messo in moto e che, oggi forse più di ieri, ha confermato che l’Urlo del poeta si sia smarrito nel vento, come un altro giullare quale Bob Dylan ebbe a cantare successivamente.

Ma il suo poema più famoso non è solo una denuncia contro la società americana e il suo infinito fascino verso la ricchezza, la perdizione e lo stillicidio di valori. Una società affacciata ad una delle tante guerre statunitensi, mai risolutive né sostenute da validi motivi per mandare anatomia umana al macello. Un altro cantore americano, Henry Miller, più volte si scagliò contro la follia della guerra, e già un decennio prima scrisse nel suo Air conditioned nightmare che "...due errori divisi a metà, non creeranno una giustizia".

Ginsberg urlò anche la sua disperazione contro un’America bigotta, legata e chiusa al proprio guscio di falso moralismo, che non restò passiva a questa forza rivoluzionaria che i versi del poeta seppero scagliare, trascinando parole di libertà, anche sessuale, in tempi in cui gli Stati Uniti avevano già provato ad esportala con le armi, in un miscuglio di ipocrisia e arretratezza culturale. E questa America, come spesso quando non comprende e teme i cambiamenti storici, reagì in modo antidemocratico a questa forma di libertà di parola, portando Ginsber alla sbarra di uno dei tanti processi all’innovazione che dotti, medici e sapienti intavolavano frequentemente.

Ma l’America degli anni ’50, che definì l’opera di Ginsberg oltraggiosa e illegale, in un periodo durante il quale l’omosessualità era considerata reato, questa America dovette cedere al giudizio espresso dal giudice Clayton W. Horn, che aggiunse il suo parere personale in merito con la famosa domanda: "Would there be any freedom of press or speech if one must reduce his vocabulary to vapid innocuous euphemisms?"

Ai posteri l’ardua sentenza.


- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -