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La pace dei guerrafondai

La sinistra liberale si avvia verso l’ennesima manifestazione per la pace, dopo aver detto il fatale “sì” in Parlamento all’invio di armi sul fronte ucraino...

di Salvatore A. Bravo - sabato 21 giugno 2025 - 515 letture

La sinistra liberale si avvia verso l’ennesima manifestazione per la pace, dopo aver detto il fatale “sì” in Parlamento all’invio di armi sul fronte ucraino e dopo aver sostenuto e difeso il sistema liberale baluardo nella difesa dei soli diritti individuali.

Sul riarmo ci sono distinzioni che rasentano l’indecifrabile capziosità: sì all’esercito europeo, no al riarmo nazionale. Non è chiaro contro chi dovrebbe essere usato l’esercito europeo. A ciascuno di noi le proprie ipotesi. Si aggira, si pensa l’ostacolo dell’articolo 11, ma ancora una volta ci si schiera con la guerra e non con i diritti sociali, la pace e la diplomazia. La ragione tace, quando il riarmo è la soluzione.

Ancora una volta assistiamo ad una commedia semitragica, in quanto l’opposizione recita il suo ruolo di “pacifista per la guerra”, l’ossimoro è d’obbligo per smarcarsi dalla destra, mentre sappiamo che destra e sinistra sono l’uno il volto dell’altro. Nel gioco delle parti e dei ruoli la sinistra recita il copione pacifista. In tutto questo si è coerenti con la “società dello spettacolo” senza verità e profondità.

Intorno a tutto questo c’è la nazione vera che non crede più a nulla; non va a votare e ha sviluppato l’arte della sopravvivenza. Il declino di una realtà, che tutti hanno deciso di ignorare, in quanto non hanno risposte, può continuare con le sue tragedie e le sue innumerevoli forme di solitudini quotidiane. Tutto è menzogna e nessuno crede alla verità o che si possa vivere nella verità.

Tutto è doloroso, in quanto ognuno di noi ha nello sguardo la decadenza, ma dinanzi ad essa ci si sente soli e impotenti, pertanto si reagisce con un triste: “Carpe diem!”

Si afferra l’attimo, in quanto il futuro è scomparso dall’orizzonte di pensabilità di giovani e di adulti. Per sfuggire a tanto si parla inglese (rigorosamente globish) e chi può immagina il futuro fuori dall’orizzonte patrio. Anche in questo atteggiamento si manifesta la decadenza, poiché non si lotta, in quanto non ci si sente parte della comunità nazionale e locale, per cui il tramonto può continuare, mentre la politica ripete stancamente il suo usurato frasario. Tra i pacifisti liberali è cominciata la corsa alla condanna del governo iraniano e comincia a balenare l’ipotesi dell’esportazione della democrazia.

Non può che colpire vivamente l’affermazione “esportazione della democrazia”. Dopo decenni di fallimenti e tragedie immani si continua a pensare, tra le righe e non solo, che la democrazia sia esportabile. La memoria e la cultura politica e storica sono manchevoli, in quanto in nome dell’esportazione del prodotto democrazia sono stati commessi crimini contro i popoli. Coloro che mostrano un minimo di consapevolezza nel dibattito politico si limitano ad affermare che non è sufficiente uccidere un leader politico per ottenere la democrazia.

Ormai “uccidere” è una banalità.

In coloro che mostrano un barlume di razionalità manca la consapevolezza più rilevante, ovvero che la democrazia non è un prodotto o una merce, e dunque, solo un sistema che ha mercificato tutto e tutti nel suo pan-economicismo feroce può associare la parola “democrazia ad esportazione”. Mi spiace per costoro, ma la democrazia è l’espressione di un processo spirituale di un popolo che si riflette nell’economia o se si vuole struttura e sovrastruttura sono parte viva che ha la radice prima nella coscienza collettiva e di classe. Anche l’economia ha la sua anima.

Il “dramma è questo”, il voler sempre e comunque proteggere il sistema liberista mercificante con il linguaggio dell’economicismo dal quale non bisogna mai uscire. Nessun esodo, ma bisogna restare nella gabbia d’acciaio del capitale anche quando ci si confronta con un fallimento.

La sinistra comunista deve ricostruire la cultura europea e nazionale riportando i linguaggi alla loro pluralità e le coscienze alla multidimensionalità materiale e spirituale. Nulla di nuovo fiorirà da coloro che usano il linguaggio del capitalismo in ogni contesto ed esperienza, sta a noi riportare la politica al suo linguaggio.

La battaglia del presente, se ci sarà tempo per condurla date le minacce atomiche diffuse, è lotta per i linguaggi plurali e per la centralità delle comunità locali e patrie per contenere il cannibalismo guerrafondaio liberista che si estende da destra a sinistra nell’arcobaleno luttuoso e irrazionale che incombe sui popoli.

Non bisogna avere timore di usare un linguaggio nuovo e tradizionale che può sembrare desueto, ma riporta alla prospettiva plurale e progettante senza la quale non c’è futuro. Senza progettualità il tempo si consuma a lancio di missili tra stati e a lotta competitiva tra essere umani e generi tutti accomunati dalla medesima e incomprensibile disperazione.

La soluzione non è il Carpe diem con cui stanno addomesticando giovani e meno giovani, anzi esso va destrutturato e disarticolato nella sua verità ideologica per dimostrare che non ci si salva da soli, mai, ma ci si salva assieme ripensandoci esseri umani e, non come consumatori o produttori sempre in lotta come animali in uno stato di penuria perenne. Al di là delle differenze, si è parte di un destino storico comune e si condivide la medesima natura.

Per poter smascherare gli ideologici delle finzioni necessitiamo di chiarezza concettuale e metafisica per poter avviare la lotta culturale al pan-economicismo.


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