La macchina è sola. Tempo di vita e tempo di solitudine

Il dibattito rivolto alle persone interessate alla possibilità di riattivare le pratiche sociali e conoscitive attraverso l’invenzione di nuovi strumenti di interfaccia tra rete e territorio.
Le righe di seguito costituiscono un contributo, non specialistico, alla discussione sugli effetti socializzanti e desocializzanti della rete Internet. Vista la lunghezza e la sostanziale pallosità se ne sconsiglia la lettura a chi ha di meglio da fare. Si tratta di un’escursione a volo d’uccello, scritta per i frequentatori della comunità RK [= www.rekombinant.org], sugli effetti dei media, che certo non pretende di risolvere i nodi teorici che deliziano le menti impegnate in ricerche di sociologia della comunicazione. Sono considerazioni occasionali e frammentarie, peraltro già postate in altra forma su RK, che tuttavia potrebbero di stimolare un dibattito più ampio, soprattutto tra le persone interessate alla possibilità di riattivare le pratiche sociali e conoscitive attraverso l’invenzione di nuovi strumenti di interfaccia tra rete e territorio.
un caro saluto, Rattus
La domanda che ricorre, in merito a LiveJournal, alle chatline e a servizi analoghi, da qualche anno suona allo stesso modo: la socialità della rete ha ricadute tangibili nel mondo reale o, viceversa, tutto si risolve in discussioni destinate a rimanere tali, in amori platonici e, per concludere, in un aumento generalizzato della solitudine, dell’isolamento e dell’alienazione ? E’ difficile fornire risposte, ma alla luce di quanto discuteremo di seguito, un dato emerge in piena evidenza: il problema della solitudine, nella nostra epoca, precede l’avvento dell’Internet di massa.
Nel libro "Bowling Alone" il sociologo Robert Putnam ha presentato un impressionante elenco di dati sulla progressiva riduzione dei comportamenti prosociali negli Stati Uniti nel corso degli ultimi quarant’anni. Putnam, nel 1995, aveva scritto un breve articolo comparso su una rivista accademica, in cui analizzava il drastico declino delle associazioni di giocatori di bowling negli Stati Uniti. Nelle conclusioni egli formulava l’ipotesi che tale fenomeno fosse rivelatore di un problema più vasto e profondo. Dal breve articolo scaturì un dibattito inaspettato che ha avuto l’effetto di stimolare il sociologo ad approfondire l’argomento. Dietro il libro "Bowling Alone" c’è un lavoro di ricerca monumentale, durato circa cinque anni, e realizzato attraverso una serrata ricerca documentaria e una rigorosa metodologia scientifica. Putnam, tra l’altro, ha calcolato i valori medi, lungo l’arco di quarant’anni, di una serie di indicatori di socialità, che vanno da quante volte gli americani sono andati a votare, o sono andati in chiesa o al club, a quante volte vanno al cinema insieme, offrono un drink a un amico o a un conoscente, stringono la mano di altre persone, e così via. I risultati sono desolanti. Gli americani di oggi firmano un quantitativo di petizioni inferiore del 30 per cento rispetto a quanto accadeva alla fine degli anni Ottanta, si impegnano in iniziative a difesa dei consumatori il 40 per cento di volte in meno rispetto a quanto facevano vent’anni prima.
Anche nelle attività sociali extrapolitiche le cose non vanno meglio: alla metà degli anni Settanta l’americano medio partecipava una volta al mese a incontri presso club, associazioni culturali, parrocchie, oggi questa frequenza risulta ridotta del sessanta per cento. Nel 1975 gli americani si incontravano con gli amici a casa mediamente quindici volte l’anno, oggi il numero di questi incontri risulta dimezzato. Il tempo trascorso con agli amici si è ridotto complessivamente del 35 per cento rispetto a quindici anni fa. Aumenta invece la diffidenza verso gli altri e sempre più spesso si fa ricorso ad avvocati e poliziotti per far valere le proprie ragioni. Le opportunità di lavoro per avvocati e forze di polizia sono state stagnanti per tre quarti del Novecento: nel 1970 negli Stati Uniti c’erano meno avvocati di quanti ce ne fossero nel 1900. Ma nell’ultimo quarto di secolo queste occupazioni sono state attraversate da una fase di boom, con una crescente domanda di interventi legali e di chiamate alle forze dell’ordine. Tutto questo, si noti, prima dei tragici eventi dell’ 11 Settembre, che sicuramente hanno peggiorato, e non di poco, la situazione.
Putnam elenca le gravi conseguenze di questo disastro sociale e, in particolare, gli effetti negativi che ha avuto su salute, cultura ed educazione scolastica negli Stati Uniti. Tanto sul piano individuale che su quello collettivo, l’America sta pagando il prezzo della perdita di quello che viene definito da Putnam "capitale sociale" l’insieme di legami e relazioni che, nella sua analisi, costituiscono il più forte indicatore di soddisfazione e benessere per una società.
Nelle analisi fornite da Putnam per spiegare questo fenomeno di progressivo isolamento vengono individuati una serie di fattori concorrenti: i ritmi di lavoro frenetici delle coppie in carriera, le profonde modificazioni nella struttura delle famiglie, le nuove architetture urbane, l’esplosione delle periferie e, non ultimo, l’intrattenimento elettronico. In merito a questo punto c’è un particolare che interessa particolarmente la nostra discussione: se l’intrattenimento televisivo viene indicato dal sociologo come una delle cause principali, insieme alle altre, della privatizzazione del tempo libero, il giudizio sull’Internet rimane sospeso. A giudicare dalla periodizzazione storica, il processo descitto da Putnam sembra avere radici profonde, lontane nel tempo almeno quanto basta a giustificare un’ assoluzione del fenomeno, relativamente recente, della diffusione di massa della rete.
Vedremo in dettaglio nelle prossime pagine come alcuni progettisti di servizi web abbiano deciso di cavalcare l’esitazione di Putnam sulle risorse sociali dell’ Internet e di lanciare un sito che, a quanto affermano, è stato ispirato proprio dal libro del sociologo americano. Lo scopo del servizio, che si chiama Meetup.com, è infatti quello di riattivare le pratiche sociali mediante un ingegnoso database online che serve per organizzare e promuovere incontri fisici tra gruppi di affinità nelle principali città del pianeta. Nonostante alcuni vistosi problemi, che discuteremo in seguito, il sito ha ottenuto un notevole successo. Ma rimandiamo la discussione nel merito di Meetup.com e affrontiamo alcune brevi osservazioni sulla situazione italiana.
In un libro su Milano, John Foot, studioso di storia contemporanea, esplora la relazione tra immaginari e territorio urbano, dagli anni del boom fino al pieno dispiegarsi del fenomeno Berlusconi. Foot aggira abilmente le estenuanti polemiche sugli effetti della televisione e si avventura in un attraversamento delle trasformazioni del tessuto urbano nel periodo dell’avvento della televisione. Come osserva egli stesso: «Gli effetti della TV furono spesso molto più "micro" e complessi di quanto riconoscano le interpretazioni generali: lo spostamento degli arredi, la nuova disposizione degli interni, i sottili cambiamenti nel linguaggio e nella stampa, l’impatto sulla scuola». Ma lo studioso inglese, in sintonia con la sociologia della comunicazione contemporanea, non accetta una correlazione deterministica tra avvento del mezzo televisivo e aumento della solitudine metropolitana, né si lascia sedurre dalla nostalgia delle culture operaie e contadine: «Molti sceglievano come vivere e usare il proprio tempo libero. Molti preferivano la privacy alla socializzazione, la televisione al bar o alla bocciofila, la propria casa alla vita di strada». Ugualmente, Foot coglie alcuni dettagli rivelatori, come le dichiarazioni del proprietario di un bar milanese che, nel periodo della paleotelevisione, commentava i comportamenti de i suoi clienti davanti allo schermo: «Prima discutevano, cantavano e bevevano. Adesso guardano la TV. Con un bicchiere passano tre ore». Foot osserva acutamente che «queste nuove forme culturali erano collettive, semplicemente lo erano diversamente da prima». E alcune pagine più avanti, spiega come nel 1956 un sesto degli abbonamenti televisivi era intestato a luoghi pubblici come i bar e le sedi dei partiti. Quello che sembra emergere dalla lettura del testo di Foot è che la televisione, a Milano come in Italia, avrebbe potuto essere qualcosa di sostanzialmente diverso da ciò che è poi diventata.
Ma dopo decenni di trasformazioni la città nasconde con malcelato imbarazzo una solitudine tormentata. Foot la coglie abilmente attraverso la lente del cinema, nel corso di una disamina dei film diretti negli anni Novanta da registi milanesi come Soldini, Piccioni e Salvatores: "La difficoltà di instaurare rapporti umani nella Milano moderna con gli strumenti sociali, politici e culturali tradizionali diventa evidente nei film di questo periodo, dove i protagonisti entrano in contatto, almeno temporaneamente, solo in seguito ad eventi eccezionali e puramente fortuiti: il diario smarrito, l’arresto del ladruncolo, il neonato abbandonato". Così, la metropoli immaginaria del nord in cui è ambientato Nirvana di Gabriele Salvatores si presenta ai milanesi come una triste premonizione, uno scenario: «al contempo familiare e sconcertante: una città del futuro che sembra a volte un mercato brulicante ma dove i rapporti tra le persone sembrano sempre più precari».
Anche per i bambini a Milano le cose non vanno meglio. Dai risultati di una ricerca svolta in una scuola Foot riporta che: "Il 30 per cento dei bambini gioca da solo e in modo statico", "Solo al 2 per cento dei bambini viene permesso di andare in cortile", "solo il 3 per cento dei genitori gioca con i propri figli". Un problema non diverso si pone negli Stati Uniti, dove il linguista Noam Chomsky segnala che la Hallmark Corporation, produttrice di cartoline di auguri, ha lanciato una serie di messaggi da inserire sotto il piatto in cui i bambini fanno colazione. Uno dice: "Buona giornata a scuola". Un’altra serie di cartoline della Hallmark è stata prodotta per essere inserita sotto il cuscino dei bambini quando la sera vanno a letto da soli. C’è scritto: "Mi sarebbe piaciuto passare un po’ più di tempo con te".
Ovviamente qui non si intende affatto attribuire al mezzo televisivo la responsabilità di questo quadro desolante, né si vuole proporre la tradizionale e un po’ vieta contrapposizione tra una TV verticale, isolante e paralizzante e una rete Internet liberatoria, comunitaria ed orizzontale. Si pensa al contrario che, se pure esistono concrete possibilità che l’Internet finisca con lo svolgere una significativa funzione di rinnovamento delle energie sociali, al momento queste possibilità sono piuttosto remote. Basti pensare a quanto emerge dagli scenari in cui si muovono le elites del mondo della rete. Come osserva il sociologo e studioso di comunicazione Manuel Castells: "Nella Silicon Valley la socializzazione con i colleghi è del 22 per cento più bassa della media nazionale. La ragione principale sia per il basso grado di socializzazione sia per lo scarso impegno civile, è la mancanza di tempo libero: il lavoro prende tutto il tempo e le energie disponibili. L’individualismo è la regola". Lo stesso Chomsky, linguista e attivista della sinistra radicale, offre un quadro fortemente negativo del ruolo che sta svolgendo la rete nelle attività sociali e politiche: «Innanzitutto, queste tecnologie distraggono le persone, le isolano. Davanti allo schermo si è soli. Nell’essere umano c’è qualcosa che rende il contatto personale molto diverso dal battere sui tasti di un computer e ottenere in risposta dei rumori. Queste modalità di comunicazione rendono tutto molto impersonale e smantellano le relazioni umane, ed è un buon risultato dal punto di vista di chi detiene il potere, perché è estremamente importante distogliere le persone dai loro sentimenti se si vuole conservarle passive e sotto controllo. Riuscire ad eliminare il contatto visivo, l’interazione diretta e trasformare la gente in caricature di maniaci tecnologici - i tipi con le antenne sulla testa, perennemente collegati al computer - è un vero vantaggio perché rende le persone meno umane e quindi più controllabili».
Ma è opportuno considerare anche suggestioni di segno contrario. In Italia il Censis ha recentemente promosso un’inchiesta sulla partecipazione alle manifestazioni di piazza i cui risultati, con buona pace di Chomsky, affermano che:
«Il tipo di persona che va in piazza è soprattutto: maschio (14,4%, contro il 9,4% fra le donne), giovane (15,3% fra i 18-34 anni, contro il 12,8% fra i 35-64enni e il 4,4 fra i 65enni ed oltre), laureato (16%, contro il 5% fra chi ha solo il titolo elementare), occupato (13,7%) o studente (30,7%), residente in città medio-grandi del Centro-Sud. Ma soprattutto è un utente di internet, infatti chi usa internet ha manifestato, nell’ultimo anno, molto più di chi non lo usa (il 17% contro l’8,1%); una buona dimestichezza con la rete costituisce pertanto una risorsa di valore che si traduce in cultura della partecipazione socio-politica».
Dati che sembrano smentire le amare considerazioni del linguista. Ma, al di là dei numeri, esistono prospettive che si muovono in una direzione completamente diversa da quella di Chomsky. Il filosofo e psichiatra Felix Guattari, in un importante articolo intitolato "Ripensare le pratiche sociali", comparso su Le Monde Diplomatique pochi giorni prima della sua morte, offriva una lettura del problema particolarmente significativa: «Il bambino cresce in un contesto adombrato da televisione, videogiochi, telecomunicazioni, fumetti...è nata una nuova solitudine macchinica, non certo senza qualità, ma che necessiterebbe di essere rielaborata in modo da accordarsi con delle forme rinnovate di socialità. Piuttosto che rapporti d’opposizione, si tratta di creare intrecci polifonici tra l’individuo e il sociale. Resta ancora da inventare tutta una musica soggettiva. La nuova coscienza planetaria dovrà ripensare il macchinismo. Continuiamo ad opporre la macchina all’anima umana. [...] Cosa accadrebbe se, al contrario, una rinascita dello spirito e dei valori umani si faccesse custode di una nuova alleanza con le macchine?».
La capacità prefigurativa di Guattari suscita sincero e ammirato stupore. Agli inizi degli anni Novanta egli era già perfettamente in grado di indicare ciò che ci pare essere il nucleo teorico su cui oggi sarebbe indispensabile avviare una riflessione adeguata. La solitudine macchinica non solo esiste, ma ha anche qualità peculiari che non conviene sottovalutare. Ci sono in gioco nuove forme di soggettivazione, in cui il confine tra normale e patologico appare incerto e fluttuante. Una solitudine che andrebbe dunque rielaborata, ripensata, attraverso un percorso che passi per l’invenzione di nuove forme di relazione sociale. Forme che nelle macchine cerchino un alleato, non un nemico.
Anche l’ipotesi, emersa in studi recenti, che l’uso dell’Internet possa determinare concatenazioni diverse a seconda dei contesti geopolitici e culturali in cui si innesta va considerata con attenzione. Ci sono buone ragioni per pensare (o sperare) che la "vecchia europa" riesca a dare allo strumento delle valenze sociali che negli Stati Uniti sono rimaste parzialmente inibite o latenti.
Se dunque è corretto non attribuire alla televisione un controllo "deterministico" e se è opportuno limitare la discussione sugli "effetti" della TV ad analisi documentate e supportate da teorie consistenti, nei confronti della rete è bene mantenere un atteggiamento ancor più cauto. Con una differenza: la rete ci riserva continue sorprese. Immaginare, desiderare e prefigurare le sue possibilità è più importante di quanto possiamo credere. La scienza sociale della rete è stata - e resterà sempre - una futurologia.
Il contributo di Rattus Norvegicus è apparso su http://www.rekombinant.org il 19 settembre 2004.
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