"La libertà delle donne"
Una lettura del libro "La libertà delle donne.Voci della tradizione politica suffragista, a cura di Anna Rossi-Doria , Rosenberg&Sellier, 1990.
Il dibattito teorico sulla libertà femminile: le origini
La libertà delle donne: voci della tradizione politica suffragista, a cura di Anna Rossi-Doria , Rosenberg&Sellier, 1990.
Il libro consente di conoscere le teorie delle "antenate" del femminismo, che furono alla base delle battaglie del Nocevento per la conquista della cittadinanza femminile. Permette quindi di affrontare alla loro origine temi come uguaglianza e differenza, diritti e opportunità. Raccoglie scritti di donne divisi per epoca e problemi (alla fine del testo le loro biografie). Nella prima parte del libro le antenate: la fondazione dell’autonomia individuale (siamo nel settecento e queste donne, soprattutto inglesi e americane, basandosi sull’universalità dei diritti di stampo illuminista, rivendicano anche per le donne l’accesso all’istruzione e al potere, ma soprattutto l’autonomia e il riconoscimento del loro valore). Nella seconda parte conosciamo le suffragiste, il tema è “L’uguaglianza per entrare in politica” Nella terza parte ancora le suffragiste, ma il tema è: la differenza per ridefinire la politica nella quarta parte invece le antisuffragiste, ancora la differenza ma per rifiutare la politica parte quinta: le suffragette: siamo nel pieno della battaglia, il titolo è “la scoperta della forza collettiva”. Conclude il libro un saggio di Anna Rossi Doria, che riassume le linee del dibattito e che ha scelto i testi, dal titolo “Le idee del suffragismo”.
Come ci mostra questa breve descrizione, tutto nasce dall’universalità dei diritti, affermatasi con l’illuminismo e le rivoluzioni e dichiarata solennemente. Ma questa dichiarazione solenne si rivelò davvero impegnativa. Interessante a questo proposito l’osservazione delle prime “femministe” che che se per uomo si intende maschio e femmina allora anche le donne devono avere pari diritti e dignità, quindi anche il diritto al voto. Se no è che come se si affermasse che le donne non hanno diritto alla vita, alla proprietà e alla ricerca della felicità (come recita la dichiarazione dei diritti americana).
La battaglia per il voto ha un valore simbolico, perché comporta il superamento della divisione dei ruoli fra il privato (le donne ) e il pubblico(gli uomini). Investe cioé tutti gli altri aspetti della condizione femminile e tutte le questioni relative alla parità di diritti che poi sono state affrontate dal movimento delle donne.
La cosa interessante che emerge dalla lettura di questi saggi è che nel dibattito, praticamente durato un secolo e più, per il diritto al voto, emergono anche delle voci femminili, peraltro molto interessanti, contrarie al voto alle donne. Lo erano in nome della differenza femminile. Nel senso che rivendicavano dignità, autorevolezza, rispetto per le donne e un ruolo fondamentale per la società, ma non attraverso il voto, non attraverso il potere.
La critica al potere maschile in realtà viene anche dalle suffragiste, che però lo richiedono per sé in nome, anche loro, della differenza femminile, sicure che il loro rapporto col potere sarebbe molto diverso da quello degli uomini.
In quello che viene chiamato da Carol Pateman “Il dilemma di Wollstonecraft”, ci sono già tutte le ambiguità dei discorsi su uguaglianza, differenza e pari opportunità, in cui ancora oggi ci dibattiamo (basti citare la produzione interessantissima della filosofa americana Marta Nussbaum).
Da un lato le donne chiedevano (chiedono) che l’ideale della cittadinanza fosse esteso anche a loro, dall’altro hanno anche insistito, (spesso contemporaneamente, come fa appunto Mary Wollstonecraft), sul fatto che in quanto donne, hanno particolari capacità, talenti, bisogni e interessi, motivo per cui l’espressione della loro cittadinanza dovrà essere diversa da quella degli uomini.
L’origine di questa impostazione del problema sta nella tradizione di riferimento del primo “femminismo”: A. R. Doria parla di diverse, ma convergenti, matrici del suffragismo: la matrice laica - illuminista prima, liberale poi - dei diritti universali serve soprattutto a fondare la libertà della singola donna, mentre la matrice religiosa - in particolare evangelica - che si richiama alla tradizionale “woman’s sphere” è leva di affermazione della differenza femminile come valore positivo anziché come inferiorità. (il voto sarà però poi concesso sulla base di un’altra matrice, quella del darwinismo sociale).
Nel saggio conclusivo Anna Rossi Doria, che ha scelto le autrici e i testi, illustra alcuni dei nodi fondamentali di quella riflessione ancora viva e attuale nel dibattito femminista contemporaneo. I diritti civili e politici rappresentano per le suffragiste soprattutto uno strumento per la conquista da parte delle donne del rispetto di sé e della fiducia nel proprio valore. E poiché la lotta per i diritti produce quel rispetto e quella fiducia, malgrado la sua apparente inefficacia e il disprezzo di cui è circondata per decenni, le suffragiste non si sentono mai sconfitte. Sarà semmai il periodo successivo alla vittoria, in cui tante attese sulle conseguenze del voto alle donne furono deluse, a far nascere i primi dubbi sulla conquista di una cittadella vuota.
Prosecuzione del dibattito: cenni
Abbiamo visto che non tutto è nato nel novecento. In realtà la riflessione sulle donne da parte delle donne è iniziata prima, accompagna, come tutto il pensiero politico attuale, l’affermarsi del moderno stato costituzionale e rappresentativo. Non è un caso che i primi testi si facciano risalire l’Inghilterra e agli stati Uniti. Le radici, per tutti affondano nell’universalismo del pensiero illuminista e nel dibattito attorno alla rappresentanza. (Olympe De Gouges, Mary Wollstonecraft). Nell’Ottocento, in Inghilterra, in relazione alla prima grande riforma elettorale del 1932 e poi di quelle del 1867 e del 1884, il dibattito sul voto alle donne si intensifica e attorno all rivendicazione ruotano altri argomenti.
L’Ottocento delle nazioni e dell’emergere della questione sociale porterà altri protagonisti e altre questioni nel dibattito sulla condizione femminile.
Oltre alla tradizione laica e liberal-democratica, troviamo nel corso dell’ottocento la riflessione marxista, che ruota sempre attorno al diritto al voto, ma sottomette la questione alla critica generale della società capitalistica. Una riflessione impostata da Engels ne L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato e arricchita poi da alcune pensatrici come Clara Zetkin e Alessandra Kollontai (in Italia al femminismo “borghese” di Anna Maria Mozzoni, risponde la posizione marxista di Anna Kulishoff). L’idea di fondo era che la questione femminile faceva tutt’uno con quella della rivoluzione socialista, o almeno era risolvibile solo in quella prospettiva. La rivoluzione russa e i suoi esiti e il blocco dell’esperienza pratica dell’associazionismo e del femminismo a partire dalla prima guerra mondiale porteranno a una battuta d’arresto di queste tradizioni, e porranno in serie difficoltà soprattutto quella marxista.
Come vediamo il problema non è più - non è mai stato - solo il voto. La cittadinanza femminile, conquista delle donne e non evolversi “naturale” del sistema rappresentativo, come sostiene A. R. Doria, pone problemi molto più complessi, mette in discussione i concetti di uguaglianza e differenza. Il tema della differenza viene in pratica abbandonato nella seconda metà del ottocento. Un’ipotesi mia da verificare, ma credo che il diffondersi di un pensiero razzista (siamo nell’epoca dell’imperialismo, del darwinismo e del positivismo) significava difendere , vi accenna anche S., la donna continuamente da attacchi che basandosi sulle differenze fisiologiche sconfinavano “naturalmente” sulla asserzione della inferiorità psicologica e quindi sociale etc etc.
Negli anni venti-trenta in Inghilterra però riemerge, con una intellettuale della statura di Virginia Woolf, il tema della differenza: nel 1938, infuriano venti di guerra, e la Woolf scrive Le tre ghinee.
Per quanto riguarda la tradizione di pensiero marxista, essa si arricchisce, come del resto il marxismo stesso, degli apporti dello strutturalismo e della psicanalisi, nonché delle nuove correnti di pensiero filosofico del novecento che hanno a che vedere con la crisi del Soggetto, la fenomenologia e l’esistenzialismo.
In questo ambito emerge la prima sistematica e organica riflessione filosofica sulla condizione femminile, Il secondo sesso di simone de beauvoir. In essa confluisce in qualche modo anche l’altra tradizione , quella della psicoanalisi, che ha dato origine a una serrata critica nei confronti di Freud, soprattutto a partire dagli anni settanta.
La quinta nasce nell’ambito della filosofia del linguaggio, sempre in area francese e con vistosi debiti nei confronti de Il secondo sesso, e fa capo a Luce Irigaray, Helène Cixous e Julia Kristeva.
In Italia quest’ultima impostazione ha avuto molto seguito, almeno fino alla fine degli anni ottanta. Mentre coi primi anni novanta si afferma il pensiero della differenza sessuale della Libreria delle donne di Milano, che, sul piano filosofico, si rifà all’esperienza delle donne di Diòtima dell’università di Verona e ai testi di Luisa Muraro e di Adriana Cavarero.
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Penso che la liberta delle donne e buono. Sono diverse che i uomini e questo dev’essere sempre manefestato. Anche questa diversita e un meraviglia. Si dice "vive la diference" perche qualsiasi donna puo essere una sposa e una madre e molto di piu. A qualche volte puo sembrare che le donne stanno correndo da se stessi e forse anche gli uomini. Ma dobbiamo dire che senza le donne non e possibile vivere una vita completa. Cio che vogliono le donna allora e importantissima a la gente. Ma le donne hanno la stessa bisogna per i uomini. Se forse c’e una guerra fra i sessi , non sara la prima volta nella storia del humanita. Voglio liberta per le donne e per gli uomini senza vite contra la natura, la natura che ci definisce e che ci da la felicita.