La guerra dimenticata: il Kossovo
Le dimissioni di Harri Holkeri aprono uno scenario incerto in Kossovo. Il futuro del Kosovo e la missione UNMIK dell’ONU
Nel Kosovo, ufficialmente parte della Federazione di Serbia e Montenegro (il nuovo nome assunto dalla Yugoslavia) e prottettorato ONU dalla fine delle ostilità, si succedono i colpi di scena e gli imprevisti.
Harri Holkeri, ex primo ministro finladese e attuale capo missione ONU in Kosovo UNMIK, ha ormai ufficializzato la sua rinuncia alla carica. Con la sua rinuncia per motivi di salute, Holkeri, rimette nelle mani del Segretario Generale Kofi Annan la decisione di scegliere una nuova guida per una delle missioni più controverse degli ultimi anni. Solo due mesi fa infatti, una nuova e inattesa ondata di violenza e di estremismo albanese, ha investito la regione provocando uccisioni, distruzioni, feriti e un flusso di oltre 4000 rifugiati (principalmente Serbi).
A seguito di quanto avvenuto l’11 maggio scorso, Holkeri ha spiegato al Consiglio di Sicurezza la misura in cui questi eventi abbiano scosso la Missione compromettendone la sicurezza "fin nelle fondamenta". Additando l’avvenuto come un drammatico passo indietro nella sicurezza del paese, Holkeri ha però spiegato come le sue speranze risiedano adesso in una risoluzione pacifica delle tensioni che cancelli il Kosovo dalla lista dei paesi a rischio nel mondo.
Una speranza appunto. Ma cosa accade quando le azioni cedono il posto alle speranze? Senza dubbio il posto reso vacante è oggi tra i più ambiti nel panorama internazionale, e non vogliamo discutere se le motivazioni addotte da Holkeri corrispondono a realtà o meno. Il fatto é che l’attuale clima di insicurezza, nei Balcani cosí come in Medio Oriente, ha bisogno di persone con una levatura straordinaria capaci di incidere efficacemente nell’incertezza attuale. Sono necessari, oggi come non mai, mediatori in grado di risolvere o almeno arrestare la spinta distruttrice del conflitto. Holkeri aveva senza dubbio l’esperienza necessaria per mediare le tensioni in Kosovo e l’intera comunità internazionale perde un grande aiuto, oggi che il Kosovo resta senza una guida. Inoltre mentre la situazione in Kosovo continua a degenerare, Amnesty International conferma le paure di molti spiegando come la presenza dell’ONU e delle truppe di peacekeeping abbia aumentato la prostituzione e numerosi altri illeciti. Una situazione questa che rischia di degenerare facilmente e di estendersi rapidamente.
Nel frattempo, ai politici kosovari, serbi e albanesi, è richiesto di confrontarsi con urgenza dialogando sul futuro della provincia i cui problemi restano per il 90% di natura etnica. A complicare ulteriormente le cose, si aggiunge un’altra pedina: Belgrado. Recentemente il governo di Belgrado ha ravvivato il suo interesse per il Kosovo tramite l’azione politica di Vojislav Kostunica. Il primo ministro serbo, sta contribuendo con nuove idee alla rinascita della provincia e può già contare sull’appoggio del proprio parlamento.
La sua proposta, che non manca certo di provocare reazioni contrastanti, prevede la creazione di cinque regioni autonome serbe all’interno del Kosovo. Non si sa molto di più se non che tali regioni non avrebbero totale indipendenza e il loro status resta incerto. La reazione albanese fino ad ora è stata uno scontato e totale rifiuto anche se proposte alternative a quella di Kostunica non sono state ancora avanzate. A partire dalle recenti violenze comunque, il dibattito si é mosso gradualmente dando inizio a cauti incontri in attesa di una nuova iniziativa. Vladeta Jankovic, inviato di Belgrado a Londra, insiste sulla natura propositiva del piano di Kostunica sottolineando come si tratti di una semplice proposta iniziale, un punto di inizio per un dibattito più esteso e articolato. Ma il piano di Belgrado, é stato accolto in modo controverso anche dai politici occidentali.
Prima degli attacchi di marzo, una decentralizzazione del Kosovo era difficilmente immaginabile; adesso é una delle proposte più accreditate e apposite task forces con esperti EU e NATO hanno cominciato a lavorare per portare Albanesi, Serbi kosovari e il governo serbo intorno allo stesso tavolo delle trattative.
Questo percorso irto di difficoltà diplomatiche e scontri etnici, ha fatto un piccolo passo in avanti lo scorso 21–22 maggio quando politici di entrambi gli schieramenti hanno cominciato degli informal talks in Svizzera. Un buon inizio si potrebbe pensare, se non fosse che gli albanesi vedono solo nell’ indipendenza del Kosovo la fine delle violenze mentre i serbi, ancor meno disposti a trattare, continuano a prolungare i tempi per ogni accordo. Senza dubbio il processo che derimerà le controversie del Kosovo, resta tortuoso ed incerto ma é possibile che in questi giorni si apra una nuova via alla negoziazione.
Le Nazioni Unite potrebbero così dare al governo albanese-kosovaro maggiori poteri nel caso si realizzi una decentralizzazione in grado di salvaguardare i serbi.
L’articolo di Alessio Conforti è stato pubblicato su www.aprileonline.info
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