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La ferrovia che unisce

La pace non ha bisogno di celebrazioni solenni, ma di un diuturno impegno al fine di rendere l’esistenza degli uomini più degna

di Emanuele G. - martedì 15 maggio 2012 - 2462 letture

La parola pace è un termine “terribile”. E’ apparentemente facile. Appena quattro lettere la compongono. Si pensa subito a una condizione dove qualsiasi atto bellico è assente. Eppure, dietro questa parola si nascondono tante insidie. Ne voglio accennare giusto un paio. Che pace ci può essere in un paese dove la gente muore di fame? D’accordo non c’è guerra, ma l’uomo non è rispettato in quanto vengono calpestati i suoi diritti ad avere una vita degna di questo nome. La pace non si persegue con vacue parole. Ha necessità di concreti atti che la rendano carne, ossa e sangue. I contenuti, ecco! Cultura della pace significa rendere effettivi tanti passi tesi a rendere la pace la migliore delle condizioni di vita possibile per il genere umano. Pertanto, andiamoci piano a declamare la parola pace. Essa rischia di diventare vuota se non è posta al centro di un corollario di comportamenti attivi.

Volete un esempio che renda maggiormente comprensibile l’introduzione dell’articolo che state leggendo ora? Il dicembre di tre anni fa è stata riaperta la ferrovia che collegava Sarajevo a Belgrado. Un evento di particolare significato perché è sembrato un primo passo – questo sì concreto – per andare oltre ai drammatici anni novanta. Anni di spaventevole e brutale violenza per l’intera ex Jugoslavia. Anni caratterizzati da un cieco quanto barbaro nazionalismo capace di precipitare un paese in un atroce calvario. Eppure non si può rimanere imprigionati in una visione del dolore. Si corre il rischio di rendere sempiterna la spirale di violenza in auge, purtroppo, in quella disgraziata decade. D’accordo i traumi del passato non si dimenticano. Mai. Ma la ragione ha necessità di prevalere nuovamente. Al fine di dare reali speranze alle persone. Quindi, la riapertura di quella tratta ferroviaria assume un significato del tutto particolare.

E’ il ritorno a una visione in comune per popoli che fino ad allora – il 2009 – vivevano un sequela storica fatta di rivendicazioni, confini ed esclusioni. Su quella ferrovia si costruisce un nuovo modo di vivere e convivere. Un bosniaco o un serbo viaggiando in treno si accorge dell’inutilità degli odi e delle divisioni. Un bosniaco comprende che un serbo è fatto della sua stessa carne. E’ simile a lui. Non è quel mostro che la propaganda nazionalista disegnava. E’ una persona con cui avere contatti. Costruire un’amicizia. Costruire modelli di cooperazione. Costruire una storia d’amore. La linea ferroviaria Sarajevo-Belgrado è un modello di democrazia orizzontale che ha nella mobilità la sua caratteristica principale. La mobilità come modalità per smuovere una situazione che interessi nazionalistici volevano tenere ferma al fine di continuare all’infinito la sequela dell’odio reciproco. La mobilità contribuisce a muovere la storia. A dargli nuovi obiettivi. A costruire invece di distruggere. La mobilità è di per sé uno strumento straordinario di democrazia dal basso.

Due entità nazionali possono finalmente far prevalere le ragioni del dialogo. Mentre la feroce guerra etnica degli anni novanta perseguiva un obiettivo del tutto opposto. Per un bosniaco o un serbo prendere quel treno assume un significato del tutto nuovo. Un significato di libertà totale. Il diritto alla mobilità come presupposto al principio della libertà. Possono prendere il treno per andare a trovare un amico in un’altra città senza aver paura dei confini. Ho la possibilità di inscrivermi – io serbo – all’università di Sarajevo. Un giovane di Sarajevo si reca a Belgrado per incontrare consimili con cui iniziare un’attività economica. Due musicisti di Belgrado decidono di formare un gruppo con musicisti di Sarajevo. Basta prendere il treno e il sogno diventa realtà. Dei lontani parenti, divisi da quella terribile decade, riprendono a frequentarsi. E quanto altro può nascere! Le assurde barriere nazionali sono oramai, almeno così si spera, un tragico ricordo del passato.

Avete visto cosa produce in termini di ricadute e feedback la semplice riapertura di una tratta ferroviaria? E ciò ci fa comprendere quanto la pace non necessita di discorsi altisonanti. Anzi non hanno motivo di essere. Bastano solo atti concreti in quanto la pace esplica i suoi benefici effetti allorquando è accompagnata da progetti a suo supporto. La pace presa come entità a sé stante ha difficoltà a esistere. Al contrario, se è posta – e lo ripeto – al centro di un sistema di iniziative diventa un modello di vita in grado di assicurare a noi esseri umani quelle condizioni per vivere una vita dignitosa e libera. La pace si costruisce nel vivere di tutti giorni. E’ un obiettivo non facile, ma è l’unica strada davvero percorribile. Come la ferrovia Sarajevo-Belgrado.


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