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La doppia elica dell’antifascismo

Dalla stessa parte mi troverai / di Valentina Mira. - Milano : SEM (Feltrinelli), 2024. - 256 p. - (Italian tabloid). - ISBN EAN 978-88-9390-583-1.

di Alessandra Calanchi - mercoledì 13 marzo 2024 - 621 letture

Nel genoma, noi umani abbiamo una doppia elica: quella del DNA, che registra e tramanda le nostre caratteristiche fisiche. Migliaia di piccoli dettagli, colori, forme, che vanno a formare questa duplice spirale che è la carta d’identità biologica della nostra vita. La lettura di questo libro mi ha portata a pensare a un’altra doppia elica, che ben si attaglia alle due autrici. Dico due perché, dietro la penna di Valentina, spunta la protagonista della storia narrata: solo che è un personaggio in carne e ossa, che forse – pirandellianamente – era alla ricerca di un’autrice – o forse l’autrice era in cerca di una storia. Una storia in cui specchiarsi.

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Copertina di Dalla stessa parte mi troverai, di Valentina Mira

Valentina si scopre antifascista dopo alcuni incontri che le segnano la vita. Rossella, antifascista lo è fin da ragazzina. E ciò che le accade non le farà di certo cambiare idea.

Non solo perché l’Italia è una repubblica antifascista per legge (non per opinione). Che basterebbe.

Valentina incontra Rossella e il libro nasce da quell’incontro. I fatti narrati partono da Acca Larentia – icona intoccabile del neofascismo – e arrivano a oggi. È curioso che il libro sia stato scritto prima delle contestazioni del gennaio 2024, che hanno riportato la vergognosa cerimonia del “Presente!” sugli schermi e nei blog. E questo fa pensare che davvero ci sia un filo che non sia mai stato spezzato.

Rossella è la vedova di quel ragazzo poco più che ventenne, Mario Scrocca, infermiere, marito e padre, che morì apparentemente suicida in carcere nel 1987, poche ore dopo l’arresto, in una cella di isolamento (una cella anti-impiccagione), accusato senza prove di aver partecipato all’attentato di quasi dieci anni prima. Rossella e suo figlio, l’allora piccolissimo Tiziano, sono definiti nel romanzo “naufraghi di un’ingiustizia”. Lei ne ha scritto nel libro Soli soli. Morire a Regina Coeli (2019), e a Mario è dedicato l’emozionante video “Il ragazzo che lottava per i marciapiedi” di Giancarlo Castelli.

Le due voci di donna che si alternano in questo romanzo, che decostruisce la storia come è stata raccontata dalle fonti ufficiali e la ricostruisce pagina dopo pagina, solo quelle di Valentina e di Rossella, e si intrecciano come nella doppia elica del DNA fino a diventare, nel corso della vicenda una voce sola: “Quello che è successo a Mario è il tassello mancante. Acca Larentia non può continuare a essere raccontata da loro […] La loro tradizione è la menzogna”. Loro sono i fascisti, i neofascisti, i simpatizzanti, i giornalisti che si fanno manipolare, e tutti coloro che si voltano dall’altra parte, che si accontentano delle spiegazioni, che non hanno il coraggio, come scrive James Ellroy citato in quarta di copertina, “di rimettere tutto in prospettiva”.

Ma questo è anche un romanzo d’amore.

L’amore fra Rossella e Mario, un amore adolescente che matura in quella Roma che entrambi amano e da cui non vogliono andare via, nemmeno col perdurare degli anni di piombo, perché lui ama il suo lavoro e la sua famiglia ed entrambi continuano a credere nell’impegno sociale. Un amore terminato nel sangue, quando lui muore poche ore dopo essere stato trascinato in carcere, di notte, imputato sulla base della vaga descrizione di una giovane pentita quattordicenne che comunque non l’aveva riconosciuto in foto e che poi sparisce nel nulla.

E anche l’amore fra Valentina e quello che chiama “il mio fascista”, un amore che lei confessa, finito anche quello, ma per sua scelta. L’outing di Valentina è commovente e potente insieme, perché parla di una giovane che ha scoperto sulla sua pelle che il fascismo non si è concluso. Il suo percorso, delineato con cura, onestà, e tanto dolore, la porta a capire che tipo d’uomo fosse il suo ex, che l’aveva “perdonata” per essere stata stuprata (sic!) e che una volta arrivò a ferirsi da solo per convincerla a tornare da lui. E scrive: “Chi non esita a farsi del male per manipolarti, non avrà problemi a fare male anche a te. E non sai mai, la prossima volta, di chi sarà il corpo in cui si infilza la lama.”

Questo libro, costruito con grande capacità narrativa, consapevolezza e rigore, è una lezione a vari livelli. Una lezione di storia recente, che ci invita a riflettere sul vittimismo dei carnefici, sulla retorica del perdono, sulla mancata assunzione di responsabilità, e che lo fa quasi a bassa voce, con la compostezza di chi sa parlare senza urlare e senza insultare, in nome di una sorellanza non biologica, ma fatta di valori, di sensibilità, d’intenti, una sorellanza transgenerazionale e capace d’ironia lucida.

Una lezione, quella di Rossella, che ci sprona al mantenimento della memoria, della dignità, della lotta per la giustizia.

Una lezione, quella di Valentina, che ammette in piena coscienza il “colpevolissimo ritardo” nel comprendere tante cose, e l’aver finalmente “incrociato i libri giusti, le persone giuste”. E che diventa, nella parte finale, un monito soprattutto per le giovani donne di oggi, perché si accorgano subito con quali tipi d’uomo hanno a che fare, perché – al di là delle ideologie politiche, perché su questi punto si va oltre – non cadano vittime del gaslighting, perché sappiano riconoscere l’amore, che non è mai disparità, sopraffazione, scherno, mancanza di rispetto.

È importante riconoscere nel percorso dell’autrice il sollievo per essersi accorta in tempo, e liberata, di quella componente maschile manipolatrice e narcisista che rappresenta ancor oggi la parte deteriore del patriarcato. E mi piace ricordare che il termine Gaslight, oggi usato in ambito legale e psicologico, non nacque né in seno al movimento di liberazione delle donne, né fu formulato da una militante femminista o antifascista: era il titolo di una commedia di Patrick Hamilton e poi di un film di George Cukor (usciti comunque rispettivamente nel 1938 e nel 1944…).

Voglio concludere con un appello agli uomini, perché siano innanzitutto rispettosi delle donne. Perché non le molestino. Non le stuprino. Non le ammazzino. Accèttino un no. Perché siano persone perbene. E anche un appello ai politici, al personale delle carceri, alle forze dell’ordine. A tutti i cittadini. Perché siano anche loro persone perbene.

Ma mi par subito di sentire le voci di entrambe le autrici, che replicano: “L’essere perbene non è sufficiente. Si necessita antifascismo”.


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