La distruzione di massa non è mai un destino
Mondo atomico: Da Svevo a Gramsci, un itinerario sul tema della responsabilità umana di fronte al disastro nucleare e alla sete di guerre.
Mondo atomico: Da Svevo a Gramsci, un itinerario sul tema della responsabilità umana di fronte al disastro nucleare e alla sete di guerre. La parte finale della «Coscienza di Zeno» è quasi una profezia di ciò che accadrà il 6 e il 9 agosto del 1945
L’ultima pagina de La coscienza di Zeno che Italo Svevo pubblica nel 1923 (cinque anni dopo la fine della prima guerra mondiale) è quasi una profezia di quello che accadrà il 6 e il 9 agosto del 1945 a Hiroshima e Nagasaki quando i bombardieri statunitensi sganciarono sulle città nipponiche due bombe atomiche con l’obiettivo di porre fine al secondo conflitto mondiale, o meglio, visto che la Germania nazista si era arresa a maggio, di chiudere i conti con il Giappone, peraltro già in ginocchio, mostrando i muscoli atomici all’Urss.
LO SCRITTORE TRIESTINO quasi evoca la creazione di un’arma di distruzione di massa il cui uso, dall’agosto del 1945, pende sulle sorti dell’umanità come una spada di Damocle e segna inequivocabilmente il destino dell’uomo proponendogli la guerra, in specie quella atomica, come terroristica e irreversibile soluzione, come certa fine di tutto e di tutta l’umanità. E in questo la responsabilità umana non va taciuta e, come scriveva Lukács nel 1919: «Nessuno può a livello etico sottrarsi alla responsabilità col pretesto di essere solo un singolo dal quale non dipende affatto il destino del mondo» (Tattica e etica). Proprio intorno al tema della responsabilità dell’uomo Günther Anders inizia il carteggio con Claude Eatherly (L’ultima vittima di Hiroshima. Il carteggio con Claude Eatherly, il pilota della bomba atomica), il pilota che verificò le condizioni atmosferiche ottimali per sganciare la bomba atomica su Hiroshima il 6 agosto del 1945, definendolo «incolpevolmente colpevole» in quanto compì un atto senza conoscerne le conseguenze eppure, nonostante questo, da lui venne a dipendere il destino del mondo. Quando conobbe gli effetti del suo atto «inconsapevole», il pilota rifiutò il titolo di eroe e fu per sempre segnato da quell’avvenimento.
Siamo oggi lontano dalla possibilità che possa verificarsi qualcosa di simile a quello che avvenne in Giappone nell’agosto del 1945? La follia della guerra, con il possibile uso degli attuali nuovissimi strumenti tecnologici, non porterebbe esclusivamente a quello che i nostri occhi vedono quotidianamente in Ucraina e a Gaza ma, come massima espressione dell’umana irresponsabilità, ad uno scenario come quello descritto da Karl Löwith in un suo scritto, inedito in Italia e collocabile a cavallo fra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso: «L’unico parallelo storico con la situazione attuale e futura non è una guerra, ma la storia del diluvio universale» («Energia nucleare e responsabilità umana», Vita e Pensiero, 1/2025).
LA RIFLESSIONE DEL FILOSOFO tedesco è prossima, cronologicamente e argomentativamente, all’intervento di Togliatti a Bergamo del 20 marzo del 1963 («Il destino dell’uomo», Rinascita, 30 marzo 1963) quando il Segretario del Pci, pur dedicando il suo discorso al rapporto fra cattolici e comunisti, rifletteva sulla pace come una necessità alimentata dal comune sentire dell’uomo, dalla coscienza della volontà generale di sopravvivere alla possibile distruzione. Però l’essere umano è solo, «non riesce più a comunicare con gli altri, si sente come chiuso in un carcere dal quale non può uscire» e il suo destino sembra essere quello della deresponsabilizzazione, sosteneva Togliatti.
Pochi giorni dopo, l’11 aprile del 1963, veniva pubblicata l’enciclica giovannea Pacem in terris. Dopo aver affrontato i problemi che maggiormente assillano l’uomo, legati in specie al pericolo incombente di una guerra di distruzione dell’intera umanità, nella parte finale, Il Principe della pace, con esplicito riferimento all’annuncio biblico della venuta di Cristo, si legge che la massima aspirazione per gli uomini di buona volontà è «il consolidamento della pace nel mondo».
A dieci anni dall’intervento di Togliatti e dall’enciclica di Papa Giovanni XXIII, a seguito del colpo di stato militare in Cile, Berlinguer torna a proporre, con toni analoghi a quelli di chi lo ha preceduto, la necessità della pace ponendo il negoziato come unico mezzo «per risolvere le controversie fra gli Stati» («Imperialismo e coesistenza alla luce dei fatti cileni», Rinascita, 28 settembre 1973).
L’ANNO SUCCESSIVO, intervenendo nel corso del Cc in preparazione del XIV congresso del Pci (l’Unità, 11 dicembre 1974), che si sarebbe tenuto a Roma nel marzo del 1975, riflette sulle sorti dell’umanità che investono lo specifico sviluppo del capitalismo che, ricorda il Segretario comunista, «ha cercato proprio nelle guerre il mezzo per venir fuori dalle sue crisi e contraddizioni» e lo sguardo preoccupato si rivolge verso quei Paesi che più di altri potrebbero pagare, come già avevano fatto, il prezzo di questa situazione.
L’acme della riflessione berlingueriana sulla pace è il discorso tenuto a Firenze il 17 febbraio del 1980 durante una manifestazione indetta dal Pci. Parla Berlinguer: «La pace è un bene supremo ed è un bene di tutti» ma la guerra è dietro l’angolo: «Parlo di una guerra che l’umanità non ha sinora mai conosciuto, ma che, ove mai dovesse conoscere, sarebbe sicuramente l’ultima, perché equivarrebbe alla sua fine» (l’Unità, 18 febbraio 1980).
ANCHE PAPA FRANCESCO si richiamava alla responsabilità umana nella lettera al direttore del Corriere della Sera lo scorso 18 marzo, facendo presente che esiste una consequenzialità fra le parole usate, i fatti e il mondo nel quale, poi, questi stessi fatti diventano cose vissute e la responsabilità umana è evidente nel momento in cui il «senso della complessità» viene richiamato come elemento che consenta la necessità dell’attivazione della diplomazia e del ruolo decisivo delle organizzazioni internazionali. Nel 1917 Antonio Gramsci («Il canto delle sirene», Avanti!, 10 ottobre 1917) rifletteva sui motivi che conducono allo scoppio di una guerra e sui modi per evitarla e notava che perché scoppi un conflitto è necessaria «una iniziativa umana», ossia, detto altrimenti, lo scoppio della guerra è legato alla responsabilità umana. Ma sono altrettanto responsabili quelli che guardano senza agire preventivamente al fine di scongiurare la belligenranza e, così agendo, «faranno diventare di fatto la guerra che è immanente nella società attuale». «Bisogna creare gente sobria, paziente, che non disperi dinanzi ai peggiori orrori e non si esalti a ogni sciocchezza»
VANNO SVELATI tutti gli inganni e le manovre dei «seminatori di panico», «degli stipendiati delle industrie che domandano le protezioni doganali per la guerra economica» (questo passaggio è di Gramsci e risale al 1917 e non al 2025!). Se erano pochi gli Ulissi pronti ad affrontare il canto delle sirene (riferimento all’episodio del libro XII dell’Odissea) senza farsi ammaliare da loro, oggi che le sirene sono aumentate e agiscono ovunque ci vorrebbero «gli uomini di buona volontà», gli stessi a cui papa Francesco si rivolgeva, nella lettera del 18 marzo, «per disarmare le menti e disarmare la Terra», per metterle a tacere.
Gramsci, nei Quaderni del carcere, ne propone le caratteristiche: «Bisogna creare gente sobria, paziente, che non disperi dinanzi ai peggiori orrori e non si esalti a ogni sciocchezza (…)». Indica anche la modalità da seguire per agire: «Occorre (…) violentemente attirare l’attenzione nel presente così come è, se si vuole trasformarlo (…)». Che fare? Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà. * Domani 6 agosto 2025 sul manifesto saranno pubblicate due pagine speciali sugli 80 anni dalla bomba atomica.
SCHEDA
Il libro Hiroshima il giorno zero dell’essere umano di Luisa Bienati per Marsilio, accanto a tre racconti di autori giapponesi che hanno scritto della bomba atomica – Ibuse Masuji, Hara Tamiki e Ota Yoko –, contiene i discorsi pronunciati da Nihon Hidankyo, il movimento dei sopravvissuti che lavora per una società globale senza più armi nucleari, e dall’Accademia di Svezia, che a Hidankyo ha deciso di assegnare il Nobel per la pace 2024. Il titolo è un omaggio a Günther Anders, filosofo e scrittore capostipite del movimento antinuclearista mondiale. Il suo volume L’uomo sul ponte. Diario da Hiroshima e Nagasaki e Tesi sull’età atomica è stato rieditato da Mimesis nel 2024. In concomitanza con l’anniversario, per Castelvecchi è uscito Hiroshima, il giorno dopo di Robert Jungk, con una prefazione di Daniela Padoan.
Questo articolo è stato pubblicato da Il Manifesto. Grazie a Lelio La Porta per averci concesso il consenso di condividerlo in Girodivite.
- Ci sono 0 contributi al forum. - Policy sui Forum -