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La cricca ha salvato la casta o la cosca?

Giovedì 12 gennaio è stata una giornata, sotto certi aspetti, vergognosa per la democrazia. Hanno salvato Cosentino e, contemporaneamente, la Corte costituzionale ha detto no ai referendum. I due episodi non hanno nessuna relazione fra loro, ma fanno molto pensare

di Adriano Todaro - martedì 17 gennaio 2012 - 2558 letture

Cosa avranno pensato i tre ferrovieri giovedì 12 gennaio? Loro sono sulla torre, a 50 metri d’altezza, da 35 giorni per difendere non solo il proprio posto di lavoro, ma la continuazione di un servizio indispensabile per i cittadini: i treni della notte che raggiungevano il Sud e viceversa.

Che idea si saranno fatti, Carmine, Oliviero e Giuseppe del Parlamento italiano, dei parlamentari che hanno salvato dall’arresto Nicola Cosentino, detto Nick ’o mericano, accusato da carabinieri e magistrati (ben tre diverse istanze della magistratura hanno emesso mandato di arresto per gravi e comprovati motivi) "di concorso in falso bancario, di concorso nel tentativo di reimpiego di denaro di illecita provenienza, tutti reati aggravati dall’essere stati commessi per favorire le organizzazioni camorristiche di Casal di Principe"?

Due mondi diversi e opposti. Da una parte lavoratori senza potere − non solo i ferrovieri ma anche le ragazze della Omsa e tanti altri − che cercano di difendere il loro futuro e quello dei loro figli, dall’altro una casta, senza dignità e con ancora molto potere che salvano dall’arresto il referente dei boss di Castel di Principe.

E non lo fanno con discrezione, vergognandosi, magari qualche anima candida pensa anche con sofferenza. No! Lo fanno platealmente, con il ghigno ridanciano, con i baci, gli abbracci in diretta Tv, con ostentazione. E i primi ad arrivare alle pallide guance di Nick, sono proprio gli inquisiti e a piede libero. Sono quelli che ci rappresentano, che non abbiamo mai votato ma che ci hanno imposto le segreterie dei partiti.

Sì perché giovedì 12 gennaio ha un’altra particolarità: la bocciatura, da parte della Corte costituzionale, dei due quesiti referendari tendenti all’eliminazione o modifica dell’attuale legge elettorale, quella che l’ideatore di tale legge chiama affettuosamente "porcata".

Giornata dunque particolare giovedì scorso. Non si riesce bene a capire se è la cricca (o casta) che ha salvato la cosca o viceversa. Qualcuno ha scritto che il Parlamento italiano è un corpo malato. Io penso che non sia malato, ormai è morto, anzi è ormai putrefatto.

Più di un milione di cittadini, in pochissimo tempo, avevano firmato per i referendum ed ora la Corte costituzionale dice no. Naturalmente ne sapremo di più dalle motivazioni che saranno rese pubbliche a febbraio. Ma già ora, e al di là delle indubbie dotte disquisizioni giuridiche, una cosa balza agli occhi di noi sprovveduti sudditi. E cioè che la "sovranità" di cui parla l’art. 1 della Costituzione va a farsi benedire.

Qua è inutile girare attorno al problema. Ai partiti, a tutti i partiti, il "Porcellum" va bene così com’è perché ha dato loro la possibilità di decidere la nomina dei personaggi fedeli alla linea della maggioranza del partito, quelli che dicono sempre di sì pur di essere eletti.

L’on. Di Pietro ha accusato Napolitano di aver dato il via libera alla Consulta di bocciare il referendum. Subito è arrivata la piccata risposta del presidente: "Dal leader dell’Idv insinuazioni volgari e scorrette".

Non amo particolarmente Di Pietro ma fa specie che Napolitano si agiti così tanto per le "volgarità" dell’Idv mentre nulla ha detto, nel corso degli anni, delle innumerevoli "volgarità" che esprimeva la Lega.

Il popolo italiano è stato espropriato in tutti questi anni della "sovranità" mentre Napolitano non si accorgeva di nulla e firmava tutte le porcherie che il duo Bossi-Berlusconi proponeva. E non mi si venga a dire che la politica non c’entra con la decisione della Corte la quale avrà senza dubbio fatto il suo lavoro in modo tecnicamente ineccepibile, ma non che non sia stata influenzata politicamente.

E la legge, quella voluta dai due capibastone nel 2005, è veramente una porcata, con liste elettorali bloccate e con l’elettore che può scegliere solo il partito ma non i candidati. E tanto per non farsi mancare nulla, la mente eccelsa di Calderoli ha aggiunto anche il premio di maggioranza. E così, alla Camera, la coalizione che ottiene la maggioranza relativa dei voti ha, per diritto, 340 seggi (su 615). Al Senato il premio è su base regionale: viene premiata la coalizione che prende il 55% dei seggi.

Non che la legge precedente, quella chiamata "Mattarellum" (dal nome dell’ex dc Sergio Mattarella) sia esente da pecche. Sempre il maggioritario predominante con un 25% di proporzionale, collegi uninominali (232 per il Senato; 475 per la Camera) e sbarramento al 4%. In pratica, invece che le liste bloccate (Porcellum) il nome unico bloccato (Mattarellum). E il nome unico bloccato era deciso dalle segreterie. Il popolo "sovrano" non decideva nulla anche prima.

Che fare? La domanda di leninista memoria è difficile, ci perseguita. Abbiamo un Parlamento in cui la cricca del malaffare è predominante. Siamo un Paese dove il satrapo è stato disarcionato ma continua ad instillare nelle menti di tanti cittadini il virus dell’illegalità. I finanzieri vanno a Cortina per controlli fiscali ed è notizia da prima pagina. Dovrebbe essere normale ma in questo Paese "all’incontrario" tutto ciò che dovrebbe essere la norma diventa anormale.

D’altronde che Paese è questo dove un presidente del Consiglio si reca dalla Guardia di Finanza e afferma che è moralmente lecita l’evasione fiscale eccedente il 30% dei guadagni? Che Paese è questo dove un Parlamento vota a maggioranza che la signorina Ruby è veramente la nipote di Mubarak? E che Paese è questo dove un governo nominato dalle banche promette "equità" e, invece, taglia ai poveri cristi e non alla cricca, agli speculatori, a coloro che in tutti questi anni sono diventati sempre più ricchi a scapito di molti sempre più poveri? Che lascia sulla torre da un mese, padri di famiglia abbandonati a se stessi, che non taglia le spese militari, che non fa pagare un bene collettivo come l’etere ai grandi gruppi televisivi e l’Ici al Vaticano? Questo, non dimentichiamolo, è l’unico Paese al mondo dove i partiti ricevono dallo Stato 200 milioni di euro l’anno per il cosiddetto "rimborso delle spese elettorali", in pratica il vecchio finanziamento ai partiti già bocciato dai cittadini e rientrato dalla finestra.

Ecco perché è difficile rispondere al fatidico "Che fare?". Cosa possiamo fare noi, popolo senza potere per eliminare il putrido che c’è in questo Parlamento, la puzza nauseabonda che si leva dagli scranni dove siedono certi poco onorevoli rappresentanti delle segreterie politiche?

Sono sempre andato a votare. Non sono mai stato per l’astensione. E per un motivo ben preciso: perché avevo ben chiaro che questo mio diritto-dovere non era caduto dal cielo o, per gentile concessione, regalato da qualche potente. Ma perché molti avevano lottato e sacrificato la vita per dare a me, a noi, quel diritto. Con la Resistenza, la Liberazione, la Costituzione, si era disegnata una nuova Italia. Ma ora? A cosa serve andare a votare? Non è un modo anche questo per legittimare la cricca? Non è facile affermare certe cose, ve lo assicuro. Ma io mi domando che senso ha continuare a votare il "meno peggio" e comunque persone imposte da altri?

Qualunquismo? Forse. Credo però che non sia necessario scomodare Guglielmo Giannini perché allora si era in un momento ben particolare. Intanto si votava con il proporzionale e quando la Dc aveva tentato di introdurre la "legge truffa" del maggioritario, il popolo italiano l’aveva bocciata. L’Uomo Qualunque di Giannini era veramente un partito qualunquista. Aveva in odio destra e sinistra anche per motivi di carattere personali del suo fondatore: la guerra gli aveva ucciso un figlio e lui non riusciva a trovare lavoro. La linea di Giannini era che non fosse necessario avere dei politici alla guida della nazione, bastava un "ragioniere che sapesse fare bene i conti". Insomma, il vecchio italico motto "Franza o Spagna purché se magna".

Giannini, ex drammaturgo, odiava tutti. Chiamava un limpido personaggio come Ferruccio Parri, "Fessuccio Parri", Piero Calamandrei, "Caccamandrei", storpiava la famosa frase di Pietro Nenni, "Il vento del Nord", in "Il rutto del Nord". Insomma, era questo il livello che fece grande fortuna, bisogna dirlo. Nelle elezioni del 1946, Giannini portò in Parlamento 30 deputati, nelle amministrative di Roma ebbe più voti dei democristiani, a Napoli e Bari prese il 46 per cento dei voti. Il suo settimanale vendeva 800 mila copie la settimana e il suo quotidiano, il Buonsenso, avrebbe dovuto stampare contemporaneamente a Roma e Milano. Un successo che durò pochi anni. Già nel 1947 la Dc fagociterà il movimento e Giannini si avvicinò al Msi e poi dimenticato da tutti.

Oggi è una situazione completamente diversa, quindi non mi sembra proprio che si possano associare certe posizioni come quella che ho enunciato prima e il qualunquismo di Giannini.

Sono convinto che nel Parlamento italiano ci siano tante persone per bene, oneste e disinteressate, che si impegnano per il bene comune. Sono, però, poche e, soprattutto, non contano nulla. E allora mi domando cosa aspettino queste persone ad abbandonare il Parlamento denunciando l’impossibilità di operare degnamente, senza vergognarsi. Mi domando perché un personaggio come Furio Colombo che spesso vota, in perfetta solitudine, diversamente dal suo partito, non abbandoni partito e Parlamento. Cosa serve restare ancora lì e diventare un alibi, la carta buona da mostrare da parte del suo partito? E perché, mi domando ancora, i partiti, quelli che continuano a lamentarsi di come vanno le cose non hanno uno scatto di dignità e comincino a rifiutarsi di partecipare ai talk show dei vari sacrestani televisivi? Perché non abbandonano il Parlamento dichiarando all’unisono che così non è possibile operare e che ritorneranno dopo che le regole democratiche siano state ripristinate.

Aventino? Anche qua il paragone non calza. Quando il 27 giugno 1924, socialisti e comunisti decisero di abbandonare il Parlamento retto dopo un colpo di Stato, non fu mossa avventata. Era una protesta plateale per cercare di dimostrare, dopo l’assassinio di Matteotti, che loro non erano disposti a farsi complici delle scelte di quell’antidemocratico governo. La mossa avrebbe avuto successo se tutti i partiti democratici avessero seguito quella strada. Così non fu ed è per questo che i comunisti, il 12 novembre, decisero di ritornare e per primo si presentò, da solo, il comunista Luigi Repossi, poi il 26 di quel mese, tutto il gruppo comunista.

Non sono così sprovveduto sui perché i partiti non faranno mai questo. Sarebbe bello che non candidassero coloro che sono inquisiti o che hanno pendenze con la giustizia, che ogni due anni abbandonassero quelle aule così da non farlo diventare un mestiere, che avessero una giusta ed equa retribuzione come lavoratori di un certo livello, che si pagassero tutti i benefit, dal posto allo stadio, al medico come facciamo noi, che gli anni da onorevole siano figurativi ai fini pensionistici come lo erano quando si andava a militare.

Utopia? Non credo proprio. Serietà e grande rispetto della democrazia, invece.

Se non faremo qualcosa di "rivoluzionario" non cambieremo mai nulla e non potremo neppure lamentarci se la cricca ha salvato la cosca o viceversa.


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