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La caporetto degli ipermercati siciliani

Ascesa e crollo di un modello di consumismo che ha devastato il territorio della nostra isola

di Emanuele G. - martedì 25 febbraio 2014 - 3734 letture

Secondo il presidente di Confcommercio Sicilia Piero Agen ogni siciliano ha un ipermercato a disposizione ad appena 4 minuti di macchina. Un record invidiabile. Infatti per concentrazione di ipermercati la città di Catania è la prima in tutta Europa! Ma dietro questo record continentale si nasconde una crisi senza precedenti.

Una recente nota della Filcams-Cgil (organizzazione sindacale che si occupa dei lavoratori del commercio turismo e servizi) ha evidenziato numeri al dir poco drammatici. Sarebbero a rischio ben 5.000 lavoratori. Che diventano addirittura 20.000 se si considera l’indotto. Non passa giorno, inoltre, che qualche catena di ipermercati annunci l’interruzione delle proprie attività. E’ successo al Centro Supermercati Sicilia Occidentale che si occupa di 22 supermercati a marchio Sigma. Il Centro ha annunciato 90 licenziamenti. La 3 Effe (gruppo Ferdico) ha chiuso sia i punti vendita che il magazzino avviando la cassa integrazione per 100 commessi. E non è finita. Un pò ovunque nella nostra regione stanno chiudendo diversi ipermercati con speranze di ripresa lavori pari a zero stante la perdurante e devastante crisi economica.

Secondo una ricerca di Iri Worldwide i consumi alimentari sono scesi in Sicilia del 2,4 % rispetto a una media nazionale dell’ 1,8 %. Flessione ancora più evidente negli ipermercati dove gli incassi netti sono scesi del 5 %. Nonostante questi dati incontrovertibili si continua a voler edificare nuovi ipermercati. Sempre il presidente Agen riferisce che è in sospeso il procedimento autorizzativo per 9 ipermercati. La motivazione è alquanto semplice. La trasformazione del terreno da agricolo ad area edificabile costituisce già di per sé un guadagno certo. Un altro paio di maniche è se quell’ipermercato produrrà guadagni.

Alcuni dati ulteriori per comprendere meglio la realtà degli ipermercati. In modo contestuale al declino di tale tipologia di spazio commerciale assistiamo alla forte impennata dei c.d. "discount". Poiché offrono merce a prezzi particolarmente interessanti hanno raggiunto una quota di mercato che sfiora il 22 % in Sicilia, mentre nel resto d’Italia è del 14,6 %. In Sicilia la fetta di mercato degli acquisti alimentari è pari a 5 miliardi con oltre 20.000 occupati.

In apparenza la crisi degli ipermercati è dovuta all’attuale congiuntura economica. Eppure ci si permetta di avanzare seri dubbi in merito. La storia degli ipermercati in Sicilia è una storia per così dire particolare. Molte inchieste della magistratura hanno messo in luce nel corso di questi ultimi anni rapporti fra la c.d. "grande distribuzione" e la mafia. Due le inchieste più eclatanti. Hanno riguardato due marchi storici degli ipermercati italiani. La Despar con riferimento alla Sicilia Occidentale. La Conad/Aligroup, invece, sul versante orientale dell’isola. In pratica la mafia avrebbe utilizzato gli ipermercati come immense lavatrici per riciclare i soldi illecitamente guadagnati. Non è un mistero che a Catania le famiglie storiche della mafia si fossero spartite gli ipermercati da edificare in modo da poter assicurare ad esse un cospicuo ritorno economico in termini di soldi "puliti".

Inoltre, questi ipermercati hanno in sé una logica da strozzino. Nel senso che un imprenditore che intenda aprire un suo spazio commerciale in seno a uno degli innumerevoli ipermercati sparsi in tutta l’isola deve accettare un percorso "suggerito". In che senso? La sua attività sarà in mano a chi gestisce l’ipermercato dove quell’imprenditore ha aperto un negozio. Il percorso "suggerito" comprende molte tappe. Tese, ovviamente, a imprigionare quel malcapitato imprenditore commerciale. Vuoi il vetrinista? Te lo suggeriamo noi. Vuoi un servizio di guardiania? Rivolgiti a noi? Vuoi assumere delle commesse? Noi ci occupiamo anche di questo. E così via dicendo. L’imprenditore non sarà libero di muoversi come vuole e dovrà pagare "per forza" se intende avvalersi di un servizio. In un certo modo si tratta di strozzinaggio indiretto. Nel senso che l’imprenditore è costretto a creare un certo debito in modo da consegnare a chi gestisce quell’ipermercato la propria impresa commerciale.

Può darsi che non sia più conveniente alla mafia occuparsi degli ipermercati. Ciò perché ha altri interessi. Ovverossia ci sono nuovi business che permettono un lavoro più "pulito" e "discreto" in grado di produrre con maggiore efficacia reddito e guadagni. Le sale bingo? L’intermediazione finanziaria? La consulenza import-export? Sicuramente bisognerà esercitare un livello di analisi più approfondito per capire su quali business la mafia intenda orientare il suo immenso capitale economico-finanziario. Seguendo le dinamiche dei flussi di capitali "di dubbia provenienza" potremo ottenere parecchie risposte al riguardo. La mafia ha una grande capacità di adattamento alla realtà che la circonda. Una capacità da definirsi camaleontica. Pertanto, con un grado di pericolosità piuttosto evidente.

Fatto sta che la chiusura di tutti questi ipermercati lascia dietro di sé un territorio devastato da una colata di cemento senza precedenti. Se avessimo delle istituzioni politiche serie si dovrebbe imporre alle società che gestiscono questi centri commerciali di recuperare alla collettività una funzione sociale. Ad esempio alloggi momentanei per chi è sfrattato. Od ancora centri di aiuto per persone in difficoltà. Od ancora centri di aggregazione per giovani. Un’altra soluzione sarebbe l’abbattimento a carico delle succitate società delle volumetrie per adibire agli spazi finalmente liberati dal cemento ad aree a verde che mancano così fortemente nelle città siciliane. Utopia? Può darsi, ma è necessario riappropriarci del nostro martoriato territorio se intendiamo dare un presente migliore a noi stessi.


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