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La biscia ungherese ovvero perchè un giovane decide di scrivere un romanzo

Sottotitolo: il libro, ieri oggi e domani.

di Andrea Giannasi - mercoledì 13 gennaio 2010 - 4832 letture

Non che voglia scrivere un articolo sui libri, ma osservando un tizio sul treno, pochi giorni fa mi son domandato perchè stesse leggendo proprio un libro. Con tutte le cose da fare su un treno proprio un libro doveva andare a leggere, quel tizio. Eppure era lì bello seduto con il suo libro aperto in mano e leggeva, quel tizio. E pareva anche non fare la finta, come tanti fanno chi per studio, chi per moda, e muoveva le labbra, lentamente, come uno che invece quel libro sul treno lo stava proprio leggendo veramente. Ecco, alla fine, ho scritto questo articolo.

Dietro ad ogni libro si cerca divertimento, svago, fuga dalla realtà con i suoi problemi. In realtà questo passaggio che chiameremo di “affido” della nostra coscienza, non deve sostituire anche un altro elemento che va oltre la rilegatura dell’oggetto libro che diventa soggetto. Ovvero dietro i titoli dei libri, dietro le parole, dietro il semplice nome dell’autore – come faceva Sciascia – si dovrebbero cogliere una realtà di cose e di fatti: un reticolo di memorie e relazioni da costruire, invertire, sostituire per renderle vive dentro ognuno di noi. Insomma è come provare lo stupore negli occhi e nell’anima accendendo una lampadina.

Dicevo, la storia. Ebbene ogni libro al suo interno, tra le pieghe non ha solo la storia narrata dall’autore, ma vive di mille altri vicende che sono quelle di ogni lettore. E così, per una strana magia che solo i libri posseggono, quando si legge un libro a distanza di anni lo si incontra differente, perché è il lettore e il suo bagaglio che sono mutati. E’ cambiata la chiave di lettura.

Ma sul libro viviamo equivoci e torsioni prossime, forse, allo sfascio. Fino al 1450 la trasmissione del pensiero tramite la scrittura era ad uso privato e destinato a pochi privilegiati. Scolasticamente sappiamo – e di questo concetto ne siamo profondamente convinti e pervasi – che fu la macchina da stampa a “liberare” i libri e renderli fruibili a tutti. In realtà questo passaggio meccanico, seppur necessario e vitale, non può far dimenticare che a rendere accessibile il prodotto libro alla società fu una nuova funzionalità attribuita al libro dai lettori e dagli scrittori, così come l’intervento del prezzo del libro giocò un ruolo fondamentale. Nel 1500 si stampano più libri non perché sia stata inventata una macchina in grado di farlo più velocemente – sostituendo gli amanuensi – bensì perché si crea un mercato che ha bisogno dei libri.

Si moltiplicano quindi gli scrittori e i lettori e si sviluppa tutta la fauna editoriale con editori e librai ai vertici di una pertica verticale (e verticistica). Questo sistema è quello che ancora oggi viviamo. Cinquecento anni di relazioni e ruoli che oggi potrebbero trovare uno stop per due fattori. Da una parte lo smarrimento dello scrittore di fronte agli ingranaggi economici; e dall’altra i cambiamenti imposti dalla rete. Iniziamo proprio da questa.

Con la transizione dal Web1 (sostanzialmente un contenitore di informazioni) al Web2 è stata varata una inedita visione della ricerca di informazioni del pensiero. Giornali, radio, televisioni, ma soprattutto i libri, di fronte al Web2 si stanno domandando come trovare difese ad una invasione di news a costo zero. Non c’è più carta, palinsesto, movimento. E’ sufficiente un click per scovare e ricevere sul proprio computer i nutrimenti del sapere.

Attenzione, però, non mi riferisco solo all’innovazione degli eBook, ma ad un mutamento del comportamento e di atteggiamento che il lettore ha da 500 anni nei confronti, dell’oggetto libro. Se la rete, nella sua idea rivoluzionaria legata alla gratuità, da una parte velocizza il pensiero del ricercatore, dall’altra lo appiattisce, lo rende elementare, proprio perché è rivoluzione del consumo di massa. In altre parole lentamente il libro con i suoi lemmi o si adegua o è destinato a scomparire nella forma attuale o tornare ad essere oggetto/soggetto destinato a pochi.

Inoltre il web e la sua idea orizzontale di servizio è destinato anche a disarticolare la meccanica verticale dell’editoria tradizionale. Nella rete non c’è – e questa è una realtà del Web2 – più filtro, intermediazione e se questa sembra rivoluzione popolare, in verità altro non è che uno scardinamento, una forzatura delle regole di cui una società ha bisogno. E alla fine la trasmissione del pensiero si interrompe e diventa slavina, fiume in piena. Pare un controsenso ma si tratta del decadimento del “pensare differente”.

E sul “pensare differente” arriviamo ad affrontare lo smarrimento dello scrittore. Tim Parks si domandava, perché un giovane decide di scrivere un romanzo. Ebbene oltre la finalità edonistica troviamo il desiderio di successo economico. Basta. La cosa importante per lo scrittore ambizioso è quella di trovare il libro ovunque. Per far questo però si deve scegliere un editore che abbia un potenziale commerciale idoneo a questo scopo. Una macchina da guerra, che in quanto tale, però macina movimento e consumo. E ha bisogno di libri facili, veloci, immediati. Libri che non alzino muri linguistici, stilistici, che non entrino in narrazioni difficili a piani, che non utilizzino sotterfugi o altri ferri del mestiere.

La logica della selezione di un libro da pubblicare non segue più da tempo il "merito letterario". Il marketing è vita e non si possono sbagliare i libri. Gli editori hanno l’esigenza di fare economia e immediatezza delle traduzioni, pertanto gli scrittori sono invitati a uniformare la lingua. A renderla facile sia per i traduttori, sia per i lettori. Insomma una corsa al ribasso, una orizzontalizzazione della letteratura. Un aggancio mancato tra la linea verticale dell’arte e quella orizzontale dell’esperienza.

Di conseguenza tutto quello che è innovativo diventa sempre più locale, provinciale - oso dire -, che non riesce più a forzare i lucchetti della distribuzione che è concentrata in poche mani, che privilegia il vendibile e non il difficilmente vendibile. Ebbene la risposta per un giovane, alla domanda del perchè costui decida di scrivere un libro, quale può essere oggi? Seguire la via dell’appiattimento dello stile e della omologazione narrativa, forse più redditizia, oppure quella della emarginazione e della faticosa ricerca dei proprio lettore? E qui torna in gioco il pensare differente che si coagula con la trasmissione del pensiero.

Compiamo un passo indietro. Da tempo di parla di generi letterari, del contenitore, ma non del contenuto. Ci si affanna a lanciare il poliziesco, il giallo della provincia italiana, il noir e ora, dalla scandinavia, il noir-horror, che ben presto diventerà sempre più nero - forse anche gotico - e sempre più splatter. Pochi si fermano allo stile, alle forme, ai giri, alla musicalità, ai ritmi. Orpelli che per l’editore e lo scrittore senza merito, rappresentano paletti che limitano la vendibilità.

E dunque affrontare le tematiche del postmoderno. Non genere ma stile. Figlio di quel modernismo che cancellò la struttura del romanzo ottecentesco, giungendo alla pagina bianca, il postmodernismo "distrugge" la narrazione con trabocchetti, ironia, e la tanto amata strategia metanarrativa. Ovvero la voglia del dialogismo intertestuale (l’uso del dialogo per vivacizzare la lettura e la ricerca della riscrittura al limite del "plagio"), ma soprattutto far uso e abuso del citazionismo, ripetere, ripetere, ripetere.

Non è più la narrazione, ma la storia della narrazione ad essere principe e cardine. E il lettore si trova su un doppio binario, un piano bivalente di lettura e comprensione del testo, dove tutto può essere costruito e scardinato in ogni momento proprio per la presenza di una doppia struttura narrativa. Dove ad un tratto l’autore del romanzo appare, o sembra apparire, come figura superflua, inutile. Punto.

Come vedete siamo giunti alla medesima conclusione. Da una parte incontriamo lo scrittore inutile, appiattito sulle logiche di mercato, dall’altra l’idea dell’inutilità (idea) nello stile del postmodernismo. In mezzo - come abbiamo intravisto - l’oggetto/soggetto libro posto di fronte alla rivoluzione del Web2 e il supermercato del vendibile. La barra a diritta dettata dal marketing degli editori, lo smarrimento dei traduttori e i generi modaioli.

Ebbene in tutto questo rimane quel tizio sul treno che leggeva il suo libro. E che alla fine ha fatto un sorriso, pure, senza staccare gli occhi dalla carta. Avrei voluto fermarlo e chiedergli il perchè, ma ho temuto che fosse cieco o sordo. O entrambe le cose, tanto rideva di gusto leggendo un libro. E muoveva pure le labbra, quel tizio. Le muoveva sul treno, leggendo un libro.


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