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La Sicilia di Silvio Governali

Quella che prende forma attraverso le foto di Silvio Governali è una realtà pulsante, colta nella sua evoluzione, immortalata nei suoi momenti più significativi. Ma naturalmente non si tratta solo di realismo...

di pietro g. serra - giovedì 15 giugno 2006 - 7309 letture

Il testo, che qui presentiamo attraverso l’introduzione di Francesco Terracina, è stato pubblicato dalla casa editrice doramarkus e costituisce una delle chiavi di lettura più difficili, interessanti e stimolanti della realtà siciliana. Quella che prende forma attraverso le foto di Silvio Governali è una realtà pulsante, colta nella sua evoluzione, immortalata nei suoi momenti più significativi. Ma naturalmente non si tratta solo di realismo: le immagini hanno un’incredibile forza comunicativa, sono messaggi malinconici e disperati, imprigionati da scatti che Governali ha magistralmente innalzato a dignità di arte.

Note biografiche

Silvio Governali vive e lavora a Palermo dove è nato nel 1951. Laureato in Filosofia ha collaborato con l’Istituto di Filosofia Teoretica dell’Università di Palermo. Dal 1984 si occupa di fotografia. Dopo una iniziale esperienza di coordinatore editoriale della Editrice Sellerio ha costituito e dirige "l’Oida", studio per la progettazione di fotografia, grafica, editoria. Ha curato l’edizione di volumi per varie case editrici: Acquario Bolaffi - Electa - Enchiridion - Flaccovio - Giada - Laterza - Mondadori - Novecento. Ha realizzato varie mostre a Palermo, Oslo, Algeri, Comiso, Cagliari, Boston, Erice.

Introduzione

Alcune foto di Silvio Governali colgono la Sicilia nella sua inarrestabile corsa verso il brutto, da prendere come dimensione estetica: l’Isola dei templi ha per scenario una riga di case, il sopracciglio di Agrigento, città monocola, viene da pensare. L’altro occhio vive la sua cecità, in quella dimensione del vedere e non vedere, del piangere con un occhio solo, come si dice da queste parti nel chiedere che la tragedia serva mezze porzioni. A Palermo esiste un’espressione dialettale ricorrente nei duelli verbali: "c’è cosa?". Non è una domanda da poco, perché rivela una sorta di sgomento davanti al dubbio che qualcosa, sia pure al di là del bene e del male, ci sia davvero e si nasconda da qualche parte. Per la Sicilia l’idea del mondo più rassicurante è la tabula rasa, concetto che ha ispirato, per esempio, le stragi di mafia. Questo rassicurante niente, da creare con costante impegno, ha poi trovato il suo correlativo più convincente in politica, dove davvero non c’è cosa. L’opera incerta colta dall’obiettivo è ciò che resta della realtà dopo lo sforzo di distruzione, che da mezzo secolo è anche un vasto programma culturale e di governo. Quando si afferma che il "fare" è un reato, non siamo, senza ironia, lontani dal vero. In Sicilia si costruisce, ma nel senso della carpenteria. Dunque si edificano muri. Le pareti non hanno funzione di confine alla libertà, ma di sfondo, di quinta teatrale. Un muro starebbe bene dietro tutti i ritratti, quelli che al cinema Ciprì e Maresco cercano di rendere pittorici e per niente pittoreschi. Il muro come fardello regionale è visibile in ogni paesaggio, viene quasi portato a spalla. I siciliani non passeggiano sulle spiagge, le abitano; non stanno sulla riva a scorgere i colori di chissà quale tramonto, ma piuttosto il giallo del tufo che sta davanti e dietro, che è pensiero e retropensiero. E una Sicilia da nulla quella che sopravvive allo scempio quotidiano, e magari fosse solo uno scempio cementizio. Witold Gombrowicz sosteneva che "noi non ammiriamo, ci sforziamo di ammirare". La Sicilia coglie la delusione rispetto a questo sforzo ed è come se si vendicasse dei canoni del bello, facendo loro violenza, sfottendoli. Ma quando sembrava che in Sicilia si compisse l’atto rivoluzionario di uccidere Apollo e negare il bello nelle sue forme omologate, scopriamo che non si trattava di omicidio, ma di sfregio: Apollo è ancora lì, ma con il parrucchino e un paio di mutandoni: sembra pronto a intonare una sceneggiata napoletana. Quanti ne sono venuti, e quanti ne vengono, convinti che qui sia tutto diverso. Quanti perdono la testa dietro la presunta diversità della Sicilia. E noi cosa offriamo? Due facce e una stessa medaglia. Offriamo mafia e antimafia, amaru e duci (amaro e dolce), sangu e latti (sangue e latte). Ma dietro tutto questo affanno “c’è cosa?”. Questi scatti colgono il momento in cui la Sicilia non ride e non piange. Si fermano a riflettere e offrono un raro momento di verità che Silvio Governali sa produrre - non riprodurre - perché capace di frapporsi tra il prima e il dopo, quando le cose non sanno chi sono e se ci sono. Dove c’è un’estetica, diciamo uno stile, c’è poca folla e molta verità.

Francesco Terracina


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