La Sicilia aragonese

Da "Storia della Sicilia", a cura di F.Benigno e G. Giarrizzo, Laterza, 1999 Vol. 3 dal 1350 al 1650, appunti sul saggio di Pietro Corrao, A patti con la Corona: la Sicilia aragonese (pp. 1-19)

di Pina La Villa - venerdì 1 dicembre 2006 - 4703 letture

Pietro Corrao, "A patti con la Corona: la Sicilia aragonese", in Storia della Sicilia, a cura di F.Benigno e G. Giarrizzo, Laterza1999 Vol. 3 dal 1350 al 1650, (pp. 1-19).

Il saggio inizia con il Vespro, spartiacque nella storia siciliana perché è lì che i baroni cominciano a venire a patti con la Corona, che venne assegnata al re d’Aragona Pietro III a condizione che garantisse la successione separata fra il regno aragonese e quello siciliano. Da qui il legame secolare della Sicilia con la Corona d’Aragona e le sue conseguenze a breve e a lungo termine - alleanza antipapale, immigrazione di famiglie nobili dai regni iberici. Ma soprattutto è adesso che inizia il particolare rapporto fra i ceti dominanti siciliani e il potere regio, in cui i primi diventano non sudditi ma diretti interlocutori del re.

Lo si vide subito con la reazione al trattato di Anagni (1295) che restituiva la Sicilia agli Angioini e che portò alla pace di Caltabellotta (1302) e all’inasprimento del conflitto fra angioini e aragonesi. Il ruolo della nobiltà nell’appoggiare questi ultimi portò, in un periodo di ascesa ai ranghi della nobiltà di famiglie "provenienti dalle città arricchitesi con professioni mercantili, giuridiche, imprenditoriali" ad una rivalità che la corte avrebbe dovuto regolare "ma la stessa Corte regia era dominata da queste forze e la competizione […] prendeva la forma della conquista delle istituzioni e della distruzione fisica e politica dei concorrenti".

Si affermano così i Ventimiglia e i Lancia (antiche famiglie aristocratiche) ma anche i messinesi Palizzi o i palermitani Sclafani (nuovi arrivati ai vertici del potere e della ricchezza) e gli Alagona (famiglia di immigrati iberici che controllano Catania con la carica di Maestri giustizieri).

Il XIV secolo vede quindi una lotta di fazioni in cui le denominazioni latina e catalana non sono geografiche ma politiche e più spesso convenzionali.

"La storia delle lotte di fazioni diventa storia di scontri armati" quando muore il vicario Giovanni nel 1348, in un contesto generale di crisi economica e di regresso demografico, non solo in Sicilia. La situazione cominciò a stabilizzarsi nel 1362, dopo l’eliminazione della famiglia Palizzi con una pace fra i potenti che confermava tutte le usurpazioni compiute e divideva il regno in zone di influenza" stabilendo pure che gli apparati di governo sarebbero stati spartiti tra le fazioni […] i maggiori protagonisti del regno si alternavano nel prendere in consegna il re e ne condizionavano le decisioni a loro vantaggio. La pace con gli angioini, che riconoscevano l’esistenza legittima del regno isolano nel 1372, stabilizzava ulteriormente la situazione" confermando l’avvenuta selezione della classe dirigente.

"Negli ultimi decenni del Trecento si affermavano sopra tutti gli altri alcune grandi famiglie (Alagona, Ventimiglia, Chiaromonte, Peralta, Moncada, Rosso) insignite del titolo ereditario di conti" […] L’importanza delle città come punti chiave del governo del territorio del regno e come centri della raccolta delle entrate fiscali della monarchia spiega il forte interesse dell’aristocrazia a instaurarvi il proprio dominio: cosa che si realizzava sia con l’assunzione di cariche di governo in nome del re, sia con la creazione di una rete di fedeli e di seguaci che controllavano la città da parte del nobile che prevaleva nell’area."

Alla morte senza eredi maschi del re Federico IV questa situazione viene stabilizzata dalla reggenza di Blasco Alagona in nome della regina Maria e dalla sua scelta di dividere le responsabilità di governo con i capi delle altre grandi famiglie nobili, i Chiaromonte, i Ventimiglia, i Peralta (i Vicari).

I Vicari vorrebbero dare Maria in sposa a Giangaleazzo Visconti, ma gli Aragona non hanno mai smesso di pensare di riunificare le corone: il re Pietro IV disconosce la successione di Maria, la fa rapire e la sposa al nipote Martino, che è troppo piccolo ancora, ma nell’attesa il padre del ragazzo, Martino anche lui, mobilita una grossa forza militare con la quale sbarca in Sicilia nel 1392 per far riconoscere il diritto al trono del figlio. Le città e la piccola nobiltà sono favorevoli mentre le grandi famiglie, sobillate dal Papa, avverso alla dinastia aragonese che aderiva al Papa di Avignone, si opposero con le armi al nuovo sovrano. Inizia così una lunga guerra civile che si concluse nel 1398 con la celebrazione di un parlamento a Siracusa e nel corso della quale le vecchie famiglie scomparvero a vantaggio delle città e dei ceti in ascesa che vedevano nella monarchia una garanzia contro il potere nobiliare, e soprattutto della nobiltà catalana venuta al seguito di re Martino.

Il giovane Martino (1392-1409) muore durante la spedizione in Sardegna. "Dopo il breve regno del padre, con il vicariato della nuova regina siciliana, Bianca, sia il regno siciliano, sia la Corona aragonese rimanevano senza successori diretti. Un’assemblea dei rappresentanti dei regni iberici stabiliva la successione al trono d’Aragona di un sovrano estraneo alla dinastia aragonese, il castigliano Ferdinando I, che ereditava da Martino anche il titolo siciliano". Si torna così alla situazione che si verificò dopo il Vespro, con un re che aveva altri regni. Al governo della Sicilia vennero destinati i luogotenenti del re, i viceré. In questo quadro si svolgerà la successiva storia dell’isola. La Sicilia diventava , negli anni Venti, la base delle campagne militari contro Napoli, da dove Alfonso intendeva partire per realizzare un vero e proprio impero economico e politico proiettato verso le sponde orientali del Mediterraneo. Occorreva un ampio e sicuro gettito fiscale. La Corona se lo garantì continuando a concedere privilegi alla "nuova" nobiltà e ai ceti di governo della città. Altri beneficiari di questa politica furono i banchieri toscani. I privilegi cittadini portarono a rivolte e alla compilazione delle liste degli eleggibili - mastre. Nel 1492 la cacciata degli ebrei e l’incoraggiamento alle colonie albanesi. Si avvia il ripopolamento dell’isola di cui è espressione la creazione di nuovi centri abitati per mettere a coltura nuove terre. Inizia la diffusione delle "città nuove" che sarebbe durata fino al XVIII secolo.

"Il risveglio demografico è il punto di partenza della storia della Sicilia moderna. Il "Medioevo siciliano", il periodo delle più intense e profonde trasformazioni della Sicilia e della definizione della sua specifica identità, alla fine del secolo XV può considerarsi concluso".

[Per la bibliografia: Pietro Corrao, Governare un regno. Potere società e istituzioni in Sicilia fra Trecento e Quattrocento, Napoli 1991; S. Tramontana, Michele da Piazza e il potere baronale in Sicilia, Messina 1963; A. Varvaro, Le chiavi del castello delle Gerbe. Fedeltà e tradimento nella Sicilia trecentesca, Palermo 1984; Storia della Sicilia a cura di R.Romeo]


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