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La Passione durevole e Costanzo Preve

La passione durevole è da contrapporre alla guerra, solo mediante la Bestimmung la dimensione politica e dialogica può trascendere la logica della conflittualità-spettacolo per riportare “il senso del limite” dove regna il delirio del dominio che non conosce alternative all’eterno ritorno dell’economicismo senza prospettiva.

di Salvatore A. Bravo - mercoledì 25 giugno 2025 - 462 letture

Ci sono testi che svelano e rilevano in modo indiretto il problema onto-metafisico in cui siamo implicati. Uomini senza passione governano il pianeta, il potere e il senso di onnipotenza con operazioni di guerra valutate in modo autoreferenziale ”spettacolari” (Trump) sono il segno del vuoto di senso dell’Occidente.

Lo spettacolo minaccia di condurci verso uno scontro atomico senza ritorno, nel frattempo circa un migliaio di esseri umani hanno perso la vita nello scontro tra Israele-USA e Iran, mente a Gaza il genocidio continua a consumarsi nel silenzio mediatico abbagliato, è il caso di dire, dalle operazioni militari in Iran. La politica, passione sociale ed etica, è stata sostituita con il suo surrogato più squallido: la logica del dominio che diventa aggressività nichilistica incapace di “pensare le conseguenze” sociali, politiche e ambientali della guerra divenuta “spettacolo”.

Non c’è progettualità e dinanzi alla fine della potenza economica capitalistica si reagisce con la violenza, in quanto la dimensione della politica si è inabissata nell’irrazionalità del pan-economicismo oligarchico. Uomini senza passione per l’umano e senza amore per il proprio popolo governano il pianeta. A questi uomini che Nietzsche definì “ultimi uomini”, si contrappone la resistenza silenziosa degli uomini dalla “passione durevole”. Costanzo Preve ne fu un esempio intramontabile. Egli dedicò un testo alla Passione durevole, che non è un semplice testo, ma è l’oggettivazione della vita nel senso alto e nobile della parola.

La Passione durevole di Costanzo Preve è molto più che un semplice saggio di filosofia. Ne “La passione durevole” c’è l’anima carnale del “filosofo e di ogni essere umano che non si piega fatalmente alla società dello spettacolo” e che non reagisce alle congiunture della storia, ma che agisce su di esse mediante il bilancio critico dell’esperienza comunista sporgendosi, così, verso il “nuovo”. La passione durevole è vocazione filosofica che attraversa le intemperie della storia e delle vicissitudini personali senza disperdersi in inutili “giri e raggiri di vuote parole”.

Il leitmotiv del testo è la ricerca di nuovi processi in grado di condurre verso il comunismo libertario e solidale. Il filosofo torinese non si lascia abbagliare e traviare dalla “caduta” del comunismo reale, perché guarda in pieno volto la medusa della storia.

Costanzo Preve è “filosofo di razza”, per cui sa bene che la dimensione teoretica è condizione imprescindibile per la prassi. Teoria e prassi devono essere in fecondo connubio. La teoria necessita del livello organizzativo per saggiare la solidità teoretica, pertanto bisogna preparare il “nuovo” mediante il lungo lavoro dello spirito, senza il quale l’organizzazione si disfa in tatticismo privo di prospettiva e di strategia. Il “nuovo” è generato dalla passione durevole.

Il saggio riporta tre citazioni nell’introduzione di György Lukács. La prima ci riporta alla sorgente della filosofia: la passione durevole (l’espressione è di György Lukács), la quale è vocazione che resiste al tempo della giovinezza, sitibonda di giustizia e volta al comunismo che non si limita all’età giovanile, ma diviene senso della ricerca filosofica, penetrando ogni strato dell’anima e del corpo vissuto. Solo essa consente la libertà creativa e critica dalle strutture di potere e di dominio, posizionandosi, in tal modo, in un’area di libertà divergente, in cui “il capire”, è più importante che “l’appartenere”.

Coloro che sono mossi dalla profondità del “sentire pensato” non sono aggiogati alle strutture di potere, ma sono “spiriti liberi senza solitudine”; tale libertà permette loro di oltrepassare le cristallizzazioni ideologiche, per “osare il nuovo”. La rigenerazione del comunismo è possibile solo se è viva la radice profonda che tutto muove, ovvero la passione durevole: è questa la sorgente che fugge dalle maglie della gabbia d’acciaio dei disincanti, per ritornare nella storia senza la zavorra di “ingombranti nostalgie”. Generare il “nuovo”, dunque, è questa la vocazione della filosofia: ciò è possibile, in quanto i filosofi setacciano la realtà storica al filtro della coscienza critica, facendo emergere ciò che nella storia resta normalmente latente. Il comunismo non è stato sepolto dal crollo del Muro di Berlino: similmente, la filosofia non è esperienza antiquaria, prosciugata dal pensiero debole, né si esaurisce in una sequenza di pensatori e di concetti, ma al contrario è attività, è interalità di teoria e prassi in movimento.

Costanzo Preve da “filosofo” coltivò la passione per la verità senza la quale il comunismo è fragile ed esposto a veloci adattamenti del potere. Il comunismo non è riducibile a leggi economiche, è la verità della natura-eccellenza umana. Senza passione per la verità non vi è comunismo, ma una lugubre copia del medesimo. Con la caduta dei miti del “comunismo reale”: la borghesia al timone del sistema capitalistico, il proletariato classe universale e rivoluzionaria e la scansione stadiale della storia. La ricerca della verità permette di smascherare i miti del comunismo reale. La borghesia è soggetto sociale caratterizzato dalla coscienza infelice, mentre il capitalismo si riproduce in modo anonimo. Borghesia e capitalismo non sono sovrapponibili. Il proletariato, inoltre, non è mai stato classe rivoluzionaria [1]:

“Io con tutto il rispetto che ho per la classe operaia, ho fatto l’operaio anche io in Germania e così via, il rispetto che figuriamoci la ritengo una delle classi più incapace della storia e assolutamente più incapace dei contadini egizi o sumeri o così via, per una ragione molto precisa, se vuoi te la dico. La ragione fondamentale è questa, che mentre gli artigiani e i contadini sono in possesso delle tecniche di riproduzione lavorativa di quello che fanno, cioè il contadino sa cosa sta facendo, già non lo sa, l’operario deve andare in fabbrica e affidarsi all’ingegnere e al tecnico e al di fuori di questo non può fare nulla, dunque per sua stessa natura deve delegare le sue necessità e le sue affermazioni di potere a un ceto separato, a differenza di come credono i troschisti che pensano che la burocrazia sia una escrescenza patologica, quello che viene chiamato burocrazia è semplicemente la forma naturale con cui una classe socialmente impotente può affermarsi”. La ragione fondamentale è questa, che mentre gli artigiani e i contadini sono in possesso delle tecniche di riproduzione lavorativa di quello che fanno, cioè il contadino sa cosa sta facendo, già non lo sa, l’operario deve andare in fabbrica e affidarsi all’ingegnere e al tecnico e al di fuori di questo non può fare nulla, dunque per sua stessa natura deve delegare le sue necessità e le sue affermazioni di potere a un ceto separato, a differenza di come credono i troschisti che pensano che la burocrazia sia una escrescenza patologica, quello che viene chiamato burocrazia è semplicemente la forma naturale con cui una classe socialmente impotente può affermarsi”.

Il proletariato ha introiettato nella sua storia la dipendenza dai capi e capetti che nelle fabbriche gestivano le tecniche di produzione, mentre contadini e artigiani possedevano le tecniche di lavoro, ed è questa loro autonomia che ha favorito l’impeto rivoluzionario del mondo contadino.

Lo spazio emancipato dalla “burocrazia rossa” con le sue liturgie ideologiche e i suoi miti è possibilità di un nuovo inizio. La caduta dei miti che hanno sostenuto la narrazione comunista non conduce il filosofo nell’abisso dell’adattamento al nuovo corso della storia, ma raccoglie la sfida per intraprendere il personale percorso filosofico fuori dagli schemi precostituiti per ricercare nuovi sentieri orientati verso il comunismo. Nella cornice dominata dal “pensiero debole” riaffermò “il pensiero forte”.

Il “pensiero forte” fonda la verità senza dogmatismi e burocrazie timorose di “contaminazioni”. Senza fondazione metafisica nessun pensiero politico o filosofico può resistere e avanzare per affermarsi nel dinamismo della storia. Il pensiero forte non implica obbedienza e sudditanza, come spesso la società del politicamente corretto enuncia, in modo da inoculare preconcetti e rifiuti irriflessi verso la verità, ma è processo maieutico con il quale il soggetto liberamente si emancipa dall’errore ideologico. Solo in questo contesto “il comunismo” può riattivare la “speranza razionale” nel futuro. Il presente, in tal modo non è solo lo spazio e il tempo della resilienza, ossia della passività dei sudditi che debbono fatalmente accettare “l’eternizzazione dello stato presente”. Il pensiero forte è partecipazione, è forza passionale e razionale che entra nella storia per renderla conforme al concetto di ”genere”, ovvero dell’umanità che conosce se stessa e si umanizza oltrepassando i processi di reificazione. L’astratto è la biologicità dell’essere umano che attende di diventare concreta con il genere, mediante i processi dialettici di riconoscimento di sé attraverso la relazione con l’alterità:

“Senza attingere il livello della genericità, divenuto oggi storicamente possibile con il costituirsi del marxismo critico come pensiero mondiale nuovo, il rapporto fra singola persona e specie umana complessiva diventa impossibile, in quanto risulta mancante del momento della lotta contro le estraneazioni sociali, sede storicamente determinata della appropriazione privata della natura da parte dell’uomo. L’uomo si costituisce appunto in genere (e la specie non è appunto che il genere astrattamente «muto», che si dà direttamente nella sua biologicità non mediata dalla autoconsapevolezza storica e sociale) in quanto lavora e parla, e in quanto costruisce sempre nuovi e irreversibili livelli dell’essere sociale che diventano il suo «habitat» storico e culturale” [2].

La passione anticapitalistica nella contingenza storica connotata dal crollo del comunismo e dal totalitarismo del liberismo alienante non conduce alla disperazione coloro che pensano l’esperienza storica in cui sono implicati. Ancora una volta si pone “la domanda”, terribile ma imprescindibile, di Lenin: Che fare? Essa interpella la teoria, in primis, e la prassi e non si limita a registrare criticamente i dati e i fatti, ma propone risposte da condividere socraticamente. Il Che Fare è posto da Costanzo Preve nella consapevolezza della complessità e della problematicità del nostro tempo storico, per cui la domanda assurge anche a ruolo di “catalizzatrice di forze” che si ritrovano nel comune progetto comunista. Le passioni tristi del fatalismo sono così vinte dalla prassi della speranza che fonda con la verità legami politici e comunitari di resistenza e di emancipazione delle coscienze:

“È difficile oggi scrivere un Che fare? Forse è possibile, ma lo scrivente non ne è certamente capace. In prima approssimazione, è possibile dire che occorre compiere insieme, e contestualmente, un’operazione culturale (un rinnovamento radicale del marxismo), un’operazione antropologica (un nuovo tipo di militante comunista, un’operazione organizzativa (un nuovo tipo di casa comune dei comunisti). Queste tre operazioni devono in realtà essere condotte insieme, e la loro distinzione è qualcosa di necessariamente astratto e scolastico” [3].

Il “Che fare” deve scandagliare le ragioni profonde e archeologiche della crisi del comunismo, per rigenerarlo nel “nuovo”. Non è un’operazione elementare, poiché bisogna ricercare le ragioni del crollo analizzando i presupposti metafisici e storici del comunismo. Il marxismo va così riattualizzato nell’alveo di un nuovo contesto storico, e le categorie marxiane e marxiste devono tingersi della realtà storica in cui vanno calate affinché, con la decodifica di ciò che è stato, possano rifondare il comunismo:

“La relativizzazione del marxismo è invece a tutti gli effetti una sua storicizzazione materialistica che deve individuare le ragioni storiche delle sue crisi e delle sue discontinuità” [4].

Per uscire dalla gabbia d’acciaio del disincanto organico incentivato e sostenuto dal liberismo con l’edonismo senza cuore e con il cretinismo dello specialismo, l’approccio non può che essere olistico e materialistico, poiché, con il metodo d’analisi che ricompone la struttura e la sovrastruttura in un unico plesso razionale mediante l’ontologia dell’essere sociale, il soggetto riconquista la sua umanità. Non è più sussunto alle forze fatali della storia, ma diviene soggetto politico. È questa un’operazione disalienante, che può rappresentare l’inizio di una nuova faticosa emancipazione verso il comunismo libertario. Ed ecco che il motore nascosto di tale prassi che trasforma la storia è proprio la passione durevole, senza la quale si resta inchiodati ai “processi anonimi” di riproduzione del capitalismo e si cade nella trappola ideologica delle “sinistre arcobaleno”.

La vocazione filosofica pensa i processi di logicizzazione eccessiva che hanno irrigidito il comunismo nel fatalismo stadiale, per riportarlo alla multilinearità della storia. Solo la passione durevole può accettare la sfida della multilinearità della storia, per orientarla verso la democrazia radicale, nella quale l’individualismo ceda il passo all’individualità relazionale e partecipativa.

Il comunismo è possibilità latente che attende di essere definita in nuovi modi e formule rispondenti al presente e con i quali riappropriarsi dei chiavistelli della storia, ora apparentemente serrata, a causa dell’incombere del “pensiero debole”.

Insomma, alle passioni tristi del capitalismo assoluto si deve contrapporre la passione durevole.

É una regressione generale quella a cui assistiamo, fatale e letale, presentata come il prezzo da pagare per l’espansione del PIL, ma si occulta il dato mortifero: intere generazioni sono cancellate dall’olocausto mediatico. Intere generazioni depoliticizzate vivono il loro arco esistenziale come consumatori, sconosciute a se stesse e dunque reificate. Le passioni tristi sono la grammatica emotiva del capitalismo, sono finalizzate alla soddisfazione delle inquietanti e turbinose esigenze del mercato. É in atto una guerra culturale contri i popoli che bisogna riconoscere e decriptare nel suo potere infiltrante per riprendere il cammino della storia. Il pensiero debole è parte del dispositivo di guerra e di conquista delle menti e dei corpi. Le passioni tristi si possono definire solo alla luce razionale della passione durevole, essa la si può compiutamente esprimere con il termine tedesco Bestimmung, che per l’appunto significa passione durevole, vocazione, determinazione. La passione durevole si connota per il dialogo socratico, la sua profondità non ha confini, per cui l’atto della parola è portatore di rigenerazione continua. È vita che si rinnova nella storia e nella progettualità. La meraviglia filosofica, thauma (ϑαῦμα), è stupore dinanzi alle profondità infinite dell’essere umano che accoglie l’universo storico da rigenerare e di cui aver cura attraverso la prassi dialogica e comunitaria.

Passione durevole e filosofia coincidono fino a confondersi e fondersi, essa è fonte progettuale di resistenza anticapitalistica. Le passioni tristi sono invece l’addomesticamento nichilistico ad una mortifera pedagogia adattiva, che rende l’essere umano anonimo e interscambiabile, negandone il “genere” (cfr. citazione precedente). Il sistema si autoriproduce sulla leva delle passioni tristi e sulla “compiuta peccaminosità” e pertanto la passione durevole è il varco mediante il quale l’umanità può riappropriarsi della sua essenza storica:

”Il primo filosofo moderno che mette la gioventù in quanto tale al centro del suo sistema filosofico è Fichte, che usa la metafora del «ringiovimento» (Verjungen) per indicare il rinnovamento emancipativo della società, ed individua nella gioventù come categoria sociale il suo soggetto storico capace di portarci fuori dall’epoca della compiuta peccaminosità. Oggi tutto questo può sembrare illusorio e “romantico”, ma non bisogna dimenticare che la gioventù di cui parla Fichte non aveva vissuta un’infanzia all’ombra della play-station e dei modelli di consumo televisivi, un’adolescenza in una scuola degradata, ed un’incipiente maturità in un contesto di lavoro salariato flessibile e precario. In altre parole, ed usando una terminologia marxiana, Fichte non poteva neppure immaginare che cosa sarebbe potuto avvenire in un’epoca di sottomissione crescente del lavoro al capitale e di approfondimento orizzontale (la globalizzazione) e verticale (la manipolazione capillare) del modo di produzione capitalistico. [5]”

Il lavoro filosofico, può sembrare ingrato, in quanto le verità filosofiche non conoscono l’immediatezza della verifica. Le verità filosofiche non riconosciute nell’immediato dal contesto storico e sociale fioriscono successivamente, quando le congiunture storiche sono favorevoli, per questo spesso i filosofi vivono la loro esperienza di senso oggettivo in dolorosa contraddizione con la realtà storica. Per resistere a tali avversità, essi si nutrono da una fonte inesauribile e che sfugge ai processi parossistici del dominio: la passione durevole e questo fu proprio il caso di Costanzo Preve:

”Iniziamo dall’analisi di quella particolare disperazione, che potremo chiamare disperazione del filosofo. L’atleta non si dispera, ma perde oppure vince. L’imprenditore non si dispera, ma ha successo e si arricchisce oppure va in fallimento e perde tutto. Il ricercatore scientifico non si dispera, ma verifica le sue ipotesi, oppure vi rinuncia e sceglie un’altra strada. Il filosofo, invece, è quella peculiare figura che da un lato è spesso convinta di aver colto la “verità” della totalità sociale in cui vive, ma non potendo dimostrarla né con metodi scientifici (Galileo), né con metodi argomentativi (Habermas), e restandone tuttavia convinto, si dispera necessariamente per la sua penosa impotenza. Il problema sta allora nel modo in cui si elabora questa impotenza, dal momento che – come dice giustamente Lukács – «ci si dispera assai presto quando l’enunciazione di certe verità produce solo un’eco molto limitata» [6].

Costanzo Preve ebbe sempre la lucida chiarezza che verità ed esattezza non sono sovrapponibili. L’esattezza è tipica del metodo scientifico, per cui la filosofia deve essere fedele alla propria finalità epistemica. La passione durevole fu, per lui, occasione per difendere la specificità della filosofia dalla mediocrità di coloro che, pur dichiarandosi filosofi, abiuravano al metodo filosofico per imitare la scienza e il suo metodo. Il filosofo che “mima la verità scientifica” è portatore di un palese complesso di inferiorità e cercherà di adattare, senza successo, la filosofia alle scienze. Nell’imitazione c’è lo svelamento delle passioni tristi che abitano nelle Facoltà di Filosofia e che trasmettono una forma di sapere depotenziato della sua carica rivoluzionaria. Se si cade in questa trappola, la passione durevole corre un grave pericolo, in quanto si esige dalla filosofia ciò che essa “non è”, ciò alimenta un senso di frustrazione e d’impotenza, d’altra parte battere la via che conduce a posizioni di “aristocratico isolamento” è egualmente debilitante. Le “anime belle” sono sempre in odore di mediocrità. La passione durevole non si lascia catturare da tali inganni, poiché ha la limpida consapevolezza del metodo filosofico:

”La filosofia se la ride di Popper, Lakatos o Feyerabend. Si commette quindi un errore, quando si comincia a dubitare della propria visione filosofica, necessariamente indimostrabile con i metodi della fisica, perché raccoglie solo un’eco molto limitata. Dall’altro, si può cominciare a pensare che ciò che noi diciamo sia giusto, ma che il mondo esterno sia troppo coglione e corrotto per capirlo. In sostanza, al mondo ci sarebbero soltanto pochi saggi, cioè noi stessi ed i nostri più stretti sodali. Questa via, che definirei paranoico-nicciana, può soltanto portare alla distruzione fisica di chi la pratica. Dal momento che il buon senso è relativamente diffuso nel mondo, pur consentendo che il buon senso è quasi sempre l’ultimo dei metafisici, perché baluardo della «pseudo-concretezza» (Kosík), è storicamente poco probabile che nel mondo gli unici saggi siamo noi ed i nostri sodali. Bisogna quindi percorrere un’altra via” [7].

Essa consente di chiarire la differenza sostanziale tra ideologia e filosofia, la prima è gestita da burocrazie depositarie di “verità indiscutibili”, di cui conoscono linguaggi e protocolli con cui innalzano barrire per i “non addetti”. L’ideologia è il particolare che resiste all’universale; l’atteggiamento ideologico è difesa di interessi lobbistici o semplicemente di modelli di vita mai mediati dal concetto. L’ideologia è la cinta di trasmissione della riproduzione dei modi di produzione e dunque della sussunzione formale e materiale. Essa lavora per impedire il logos sokraticos e ogni forma di emancipazione comunitaria, è la corrente fredda del pensiero, oggi espressa compiutamente dall’economicismo. La passione durevole è la resistenza attiva, è l’autocoscienza che mentre rischia la marginalità sociale diventa il substrato dinamico del nuovo:

”La «passione durevole» per il comunismo, o se si vuole per la critica al capitalismo, presuppone dunque – per esistere e per essere coltivata e sviluppata – che ci si renda conto che essa da un lato coincide con il percorso della nostra vita umana concreta, necessariamente e fatalmente breve, ma che dall’altro essa è ideale, nel senso che va al di là della nostra stessa vita umana. Del resto, si tratta dello stesso concetto di «immortalità» presente in una lettera di Antonio Gramsci a sua madre, che era cattolica e non certo “marxista”, e il marxismo lo aveva probabilmente solo sentito nominare. Il marxismo è quindi idealismo non solo nel senso della scienza filosofica “tedesca” delle lettere di Marx ad Engels ed a Lassalle, ma in questo senso ben preciso. Mi rendo conto che questo provocherà una smorfietta epistemologico-positivistica nel marxista medio, ma non so proprio che cosa farci” [8].

Se l’abitudine all’adattamento prevale, il disincanto con il suo potere depressivo è dietro l’angolo. Ma il disincanto attende anche i comunisti che hanno creduto nella teoria del “crollismo”. Il comunismo, fatalmente, secondo le leggi del materialismo dialettico doveva realizzarsi. Il capitalismo sarebbe dovuto crollare fatalmente, ma al contrario, oggi, gode di buona salute. Molti rivoluzionari si sono riconvertiti velocemente dimostrando la fragilità della loro passione per il comunismo. La gabbia d’acciaio e il crollismo hanno messo alla prova col ferro e col fuoco la motivazione alla lotta perenne per il comunismo.

Costanzo Preve, dobbiamo dargliene atto, ha posto la passione per il comunismo a fondamento e al di sopra dell’esperienza storica. La chiarezza della verità e la ragion critica sono state il fondamento della sua ricerca filosofica e ciò gli ha consentito di non lasciarsi deviare dalle contingenze storiche. La fondazione metafisica è l’architrave della buona politica, non si è sudditi delle tempeste della storia, se la teoria è ben solida e nutre la prassi. D’altra parte la passione durevole non è un miracolo, essa si forma e si rafforza mediante la razionale fondazione della verità, è una pratica che rinverdisce con l’esperienza vissuta.

La crisi ha fatto emergere “il ventre molle del comunismo”. Costanzo Preve non ha deviato dal suo percorso, ha ricercato nuovi sentieri per giungere al comunismo. La sua solitudine, liberamente scelta, non è stata abitata dalle passioni del disincanto. La passione durevole è lo scudo che protegge dalle passioni tristi e dal disincanto, è il salvavita che consente di non essere fagocitati dai dispositivi di omologazione. Il binomio disincanto- passioni tristi è l’alfabeto emotivo del liberismo, il cui fine è vincere ogni resistenza a prescindere dalla cultura, dal censo, dal ruolo che si ricopre, è l’acido esiziale che ha il compito di corrodere la motivazione alla lotta. “Sii niente e non avrai paura” è il suo imperativo. Ad esso la passione durevole risponde non limitandosi alla critica, ma proponendo nuovi processi storici da sperimentare:

“Se scartiamo l’ipotesi di ricostruzione dopo il diluvio di un partito socialdemocratico classico, di un partito bolscevico, marxista leninista, e infine di un partito «nuovo» togliattiano, resta forse in piedi l’ipotesi di una struttura più leggera di tipo neocomunista, una sorta di lega democratica dei comunisti. Parlando di «struttura leggera» non alludo affatto come oggi è di moda, a un movimento di opinione (che viene chiamato «leggero» perché sostituisce i massmedia alle vecchie cellule e alle vecchie sezioni, come se la manipolazione dei media non fosse invece «pesante» come una montagna), oppure a un’organizzazione dotata di un «pensiero debole» (come se l’idea della fine del comunismo tipica del «pensiero debole» non fosse l’idea più forte prodotta dal capitalismo negli anni Ottanta). La «struttura leggera» di una nuova lega democratica di comunisti deve invece puntare sia su un pensiero forte, anzi fortissimo (marxismo rivoluzionario adeguato all’epoca) sia sull’organizzazione diretta e militante dei lavoratori e degli sfruttati. La sua «leggerezza» dunque, è una modalità della moderna guerra di posizione contro il capitalismo, che i soggetti sociali oppressi conducono oggi con un’altissima capacità di autoorganizzazione e di coordinamento flessibile” [9].

La ricerca filosofica non è un vuoto ciarlare o critica mordace fine a se stessa, essa è percorso veritativo, è passione per la verità da tradurre in prassi politica. Costanzo Preve ha mantenuto fede all’XI Tesi su Feuerbach, per la quale la filosofia non deve solo contemplare il mondo, ma anche trasformarlo: pertanto, solo la “passione durevole” è autenticamente rivoluzionaria e non è mai paga di ricercare, malgrado le condizioni strutturali avverse della storia. Tirando le fila, la rivoluzione necessita per affermarsi di “pensiero forte”, a cui corrisponde “la passione durevole”. Nel mondo umano le circostanze storiche devono essere pensate, concettualizzate e ascoltate nella loro terrifica veridicità, affinché il progetto comunista possa essere “possibilità reale”. La caduta del Muro di Berlino, sembra dirci Costanzo Preve, non deve intimorirci, ma richiede “più passione e più impegno” al fine di rimettere in moto i processi storici. Non vi è mai “la fine della storia”, ma un nuovo cominciamento è sempre possibile, esso non cancella il passato, ma lo risemantizza dialetticamente per riorientarsi dopo la “caduta”.

Il saggio di Costanzo Preve è di ausilio agli uomini e alle donne che non si sono lasciati turlupinare e saccheggiare dalla potente macchina d’azione del capitalismo, che erode il pensiero forte e le passioni per compensarle con le illusioni dell’individualismo amorfo. Il disincanto non è l’ultima parola, ciascuno di noi è chiamato a vivere la “passione durevole” e a coltivarla, e uno dei modi possibili è riorientarci verso i filosofi che l’hanno vissuta in pienezza. La passione durevole connota i filosofi e coloro che hanno rigettato la “resilienza” e hanno scelto la lotta lunga quanto la vita.

Costanzo Preve non si definiva “intellettuale”, perché volle essere fino alla fine “filosofo dalla passione durevole”:

“Gramsci stesso, che è allievo di Sorel, lo capisce e vuol far diventare gli intellettuali organici alla classe operaia. Soltanto che però l’organicità è al partito. e a questo punto il PC ha, dopo il 1945, educato migliaia di intellettuali che poi hanno fatto il doppio salto mortale dopo il 1991 e di cui i rappresentanti fondamentali sono D’Alema, il baffetto bombardatore e Napolitano, l’uomo della guerra di Libia scusatemi la mia violenza verbale questa è la prima cosa la seconda definizione è quella di Bourdieu, sull’intellettuale, che io condivido Bourdieu definisce gli intellettuali come gruppo dominato della classe dominante in quanto gli intellettuali hanno un capitale, chiamato capitale culturale che possono vendere sul mercato però quello che loro dicono può essere comprato soltanto se la classe dominante lo compra caso contrario non può essere comprato non è un caso che la filosofia di Preve non venga comprata perché effettivamente non serve a niente, almeno indirettamente non serve a Marchionne ma neppure Landini non so se è chiaro la cosa” [10].

Le passioni tristi connotano, invece, “l’ultimo uomo” compiutamente espresso nel suo tenace adattarsi al mercato divenuto l’assoluto dell’Occidente. L’ultimo uomo è l’antitesi del filosofo, pertanto rappresenta pienamente la contrapposizione verità-nichilismo. Ancora una opposizione dialettica, il filosofo si contrappone all’ultimo uomo, essi sono un antitesi approssimativa, giacché l’ultimo uomo è una figura ideale, quasi un archetipo. Costanzo Preve nella sua opera ha posto la sua attenzione di studioso sull’ultimo uomo nietzscheano, ha valorizzato del pensatore tedesco tale figura, mentre la cultura ufficiale ha posto sugli altari l’oltreuomo/superuomo. Nietzsche fu filosofo lontano dalla sensibilità filosofica e umana di Costanzo Preve, ma ancora una volta il suo nuotare controcorrente gli ha permesso di concentrare in una figura simbolica, “l’ultimo uomo”, e passioni tristi di un’epoca che ha smarrito l’impegno per la verità con la soddisfazione delle “vogliuzze quotidiane” per abbracciare un algido ateismo. Dove tace la verità regna l’ateismo. All’ultimo uomo divenuto l’emblema dell’Occidente la filosofia risponde con la “passione durevole” per la verità e per la giustizia sociale:

“Per dirla in modo sintetico, il “grande” filosofo non è quello che dice cose più simili a quelle che pensiamo noi per nostro conto, e soltanto le dice in forma più persuasiva, stringente e sistematica, per cui gli altri filosofi diventano sempre più piccoli mano a mano che si allontanano da noi. Questa concezione del grande filosofo è narcisistica, ombelicale ed autoreferenziale, e confonde i filosofi con i guru carismatici di cui hanno bisogno i deboli di spirito e di intelletto. Paradossalmente, il grande filosofo è quello che “resiste” di più alle nostre possibili obiezioni, fino a farci indirettamente capire (anche se è ormai morto da secoli) che noi non abbiamo ancora affatto “risolto” un problema, ma esso permane aperto. Trasferito nello scenario trimillenario della storia della filosofia occidentale, i “grandi filosofi” sono appunto quelli che ci insegnano di più perché “resistono” di più alle nostre confutazioni, e dunque per estensione alle confutazioni di milioni di persone simili a noi” [11].

La filosofia che si perde nel chiacchiericcio colto da salotto o nelle eterne ricostruzioni ermeneutiche dei pensatori è affetta dalle passioni tristi ed è perciò sterile. Solo la Bestimmung è creativa e libera e, di conseguenza, è in grado di coltivare il “nuovo nella storia” analizzando le contraddizioni con la radicalità del metodo filosofico. Alla luce di quanto detto, si può affermare che Costanzo Preve fu “semplicemente un filosofo” che conservò intatta la “passione durevole”. La passione durevole è da contrapporre alla guerra, solo mediante la Bestimmung la dimensione politica e dialogica può trascendere la logica della conflittualità-spettacolo per riportare “il senso del limite” dove regna il delirio del dominio che non conosce alternative all’eterno ritorno dell’economicismo senza prospettiva. Nel nostro tempo governano il pianeta uomini senza passione e i popoli sono plebi aggiogati a tali logiche. Si può rompere l’assedio del nichilismo imperante anche con un libro che ci è d’ausilio per ritornare nella storia da resistenti. Il resto è una “scommessa di impegno individuale e collettivo” da consegnare al futuro.

[1] Dal video Youtube “Costanzo Preve Filosofia e capitalismo Parte II genesi del capitalismo e crollo del comunismo”.

[2] Costanzo Preve, La Passione durevole, Vangelista, Milano 1989, pp. 74 75.

[3] Ibidem, pag. 123.

[4] Ibidem, pag. 125.

[5] Costanzo Preve, Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia, Petite Plaisance Pistoia, 2013 pag. 462.

[6] Ibidem, pp. 460-461.

[7] Ibidem, pag.461.

[8] Ibidem, pag.461.

[9] Costanzo Preve, La Passione durevole, Vangelista, Milano 1989, pp. 145-146.

[10] Da youtube: Costanzo Preve: Filosofia e capitalismo - Parte 3 (intellettuali, destra-sinistra, imperialismo).

[11] Costanzo Preve, A duecento anni dalla morte di Immanuel Kant (1804-2004). Considerazioni attuali sul rapporto fra la filosofia classica tedesca ed il marxismo, Petite Plaisance Pistoia, pag. 6.


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