La Marcia del Sale
Novantanni dalla manifestazione non-violenta, voluta e guidata dal Mahatma Gandhi
Ogni tanto qualche citazione, non sempre azzeccata, viene inserita su qualche social. Un modo, forse, per pulirsi la coscienza e pensare di avere ancora un buon motivo per sentirsi migliori dal resto del mondo. La comunicazione di oggi, vogliamo anzi sentiamo il bisogno di apparire banali, corre sul sottile filo della frase preconfezionata, ad effetto, quella che non riusciremmo mai a formulare, troppo impegnati a pigiare un tasto o a baciare alla francese uno schermo di cellulare, per aprire la mente e partorire una frase tutta nostra.
Accade con le parole, ma peggio con la messa in pratica delle idee che vorremmo sostenere, che pretendiamo di poter barattare con una diversità rispetto a chi consideriamo "altri". Una convinzione che sta più nella nostra testa, nella nostra presunzione e che rischia di sprofondare nella contraddizione che ha creato col tempo un mondo di slogan senza sostanza.
Novanta anni fa, quando la comunicazione viaggiava al rallentatore, quando il ruolo di cronista e storico era quello di raccogliere e diffondere le vicende della storia, attraverso la pagina di un giornale o un filmato in bianco e nero che non sempre era visualizzato tempestivamente in ogni angolo del mondo. Novanta anni fa Mahatma Ghandi incideva il suo messaggio all’umanità che una generazione di internauti avrebbero rischiato di traviare.
Vogliamo ricordare quella protesta silenziosa, non-violenta, contro una delle tante tasse ingiuste della Storia, quella del sale con la quale l’Impero Britannico arricchiva le casse della madre patria, oltre a tenere sotto scacco economico la nazione indiana. Trecentoventi chilometri di marcia a piedi tra le due località di Ahmedabad e Dandi per raggiungere le saline del Butan e in modo simbolico raccogliere una manciata di sale e rivendicarne la libertà d’uso.
Migliaia di seguaci, vestiti con la semplicità del white kadi, l’abito bianco, un segno di purezza non solo metaforica, nel nome di un diritto da rivendicare senza alcuna necessità di manifestare violenza né di reagire alle provocazioni, che non potevano escludersi. La reazione della polizia, a salvaguardia di quel sopruso, truccato dal potere e la necessità dell’ordine, non si fece attendere. Con l’uso dei manganelli, i marciatori furono colpiti selvaggiamente senza pietà. L’impegno di non reagire fu portato avanti dai manifestanti che, per ogni uomo crollato sotto i colpi violenti dell’arroganza, lo sostituiva con un altro subito dietro. Una scena che il regista inglese Richard Attenborough rese memorabile nel film dedicato a Gandhi nel 1982, con la indimenticabile interpretazione di Ben Kingsley nel ruolo del Mahatma.
Gandhi non riuscì nel suo intento, pur avendo deviato il suo cammino verso le saline di Dharasana, poste più a sud. Fu arrestato nella notte tra il 4 e il 5 maggio di quel 1930. Questo non impedì che in altre località dell’India quel gesto fosse preso ad esempio ed emulato più volte, con conseguenti reazioni della polizia e diverse migliaia di arresti. Neanche la successiva scarcerazione di Gandhi piegò l’arroganza dell’Impero che, di fatto, non abrogò mai quella tassa.
La Marcia del Sale non costituì una vittoria, nel senso tradizionale del significato. Non fu un riscatto sociale, un Davide che abbatte Golia, fu piuttosto un messaggio non raccolto dai potenti del mondo. Perché i bei finali spesso non appartengono neanche ai film. L’uomo e le sue angherie non si differenziano troppo nel corso dei decenni, si affinano, si crudelizzano con maggiore impeto, si manifestano senza un minimo dubbio di stare dalla parte sbagliata del mondo.
La crudeltà che l’uomo riesce a trasformare in violenza era già patrimonio delle cronache di quella Marcia. L’Europa assaporava l’avanzata dei totalitarismi che portarono alla seconda guerra mondiale. Il mondo di oggi è figlio anche di quel sogno interrotto di milioni di indiani. Un mondo che ha ripreso quella marcia, attraverso nuovi deserti, nuove onde da solcare per dare una risposta umana alla protervia. Un mondo iscritto da sempre su una lavagna divisa in due da una linea tremula a dividere due opposti modi di pensare. Da una parte chi continuerà a pretendere di dominare la vita di altri esseri umani, a qualsiasi costo. Dall’altra chi continuerà nei secoli a chiedere un piccolo gesto di misericordia. In attesa che qualcuno altro provi a cambiare il finale di un film che è diventato eccessivamente scontato.
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