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La Giornata della Memoria in poesia

Un modo diverso per ricordare l’Olocausto, con la speranza che da quel "ieri" sappiano essere diversi i protagonisti di "oggi".

di Armando Lostaglio - martedì 29 gennaio 2013 - 2977 letture

Questa Giornata della Memoria è il caso di dedicarla alla poesia. E ad un poeta poco conosciuto nelle accademie, Miklós Radnòti, un cantore di elevato spessore nella poetica popolare del suo paese, l’Ungheria. Era ebreo, nato a Budapest il 5 maggio del 1909, studiò filosofia all’Università di Szeged, ma non poté mai esercitare la professione d’insegnante.

Le persecuzioni naziste nel suo tormentato Paese lo portarono a spostarsi; ma incalzato e braccato, fu rinchiuso in vari campi di concentramento sia in Ungheria che in Serbia. Venne fucilato ad Abda (a nord del suo Paese) il 10 novembre del 1944, quando aveva solo trentacinque anni. Nei suoi vestiti, rintracciati in una fossa comune, fu trovato il suo ultimo taccuino di versi. Ha composto fino alla atroce morte.

Amava i poeti francesi, Radnòti, ma da appassionato osservatore, privilegiava intravedere i cambiamenti sia sociali quanto urbani. Nella contemporanea poesia ungherese, Radnòti rappresenta una delle voci nuove della corrente di ispirazione popolare, manifestatasi a partire dagli anni ’30. Per ricordare questo grande poeta ungherese, sterminato come migliaia di suoi conterranei, è stata data alle stampe da Donzelli una raccolta di poesie dal titolo “Mi capirebbero le scimmie”, verso preso da una sua poesia nella quale invoca “la clemenza della buona morte”.

Clemenza che purtroppo non gli è toccata in sorte. La sua ultima poesia, ritrovatagli nella tasca dell’impermeabile nel 1946, per dare al poeta una degna sepoltura, Radnòti descrive la morte di un suo compagno violinista, immaginando la propria. Così scriveva: “Gli crollai accanto, il corpo era voltato, / già rigido, come una corda che si spezza. / Una pallottola nella nuca. – Anche tu finirai così, – mi sussurravo – resta pure disteso tranquillo. / Ora dalla pazienza fiorisce la morte – “Der springt noch auf”, suonò sopra di me. / E fango misto a sangue si raggrumava nel mio orecchio”.

Ha uno stile proprio, Radnòti. Altrettanto intensi questi versi: “Ti ho nascosto a lungo,/come il ramo tra le foglie / il frutto che tarda a maturare, / e ora fiorisci ai miei occhi / come sullo specchio della finestra d’inverno / il fiore giudizioso del ghiaccio. / E so già cosa significa / quando posi la mano sui capelli, / e custodisco già nel cuore / il movimento della caviglia, / e il bell’arco delle costole / che ammiro con distacco,/ come chi s’è riposato su tali meraviglie che respirano. / Eppure nei miei sogni spesso ho cento braccia / e come un dio in un sogno / ti stringo nelle mie cento braccia.”


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