L’uso del linguaggio / di Thomas Hobbes

di Redazione Antenati - sabato 8 aprile 2006 - 5815 letture

L’uso generale del linguaggio consiste nel tradurre i nostri discorsi mentali in discorsi verbali, o la serie dei nostri pensieri in una serie di parole; ciò per ottenere due vantaggi, uno dei quali consiste nel registrare le conseguenze dei nostri pensieri i quali, facili come sono a sfuggire dalla memoria e a costringerci cosí a un nuovo lavoro per richiamarli, possono essere ricordati da quelle parole con le quali noi li indichiamo. Cosicché il primo uso dei suoni è quello di servire come segni, o come annotazioni della memoria.

L’altro vantaggio consiste nel fatto che molti usano le stesse parole, disposte in un certo ordine e connessione, per comunicarsi fra loro ciò che pensano su ciascuna cosa; o i loro desideri, i loro timori e ogni altro sentimento. E appunto per questo uso al quale servono, le parole sono chiamate segni. Usi speciali del linguaggio sono questi. Il primo è quello di registrare ciò che con la riflessione noi troviamo essere la causa di una data cosa, presente o passata, e ciò che noi vediamo che le cose presenti o passate producono, cioè l’effetto: il che è in sostanza un acquisto di capacità.

Il secondo uso consiste nel mostrare agli altri la conoscenza che abbiamo conseguita, il che vuol dire consigliarsi e istruirsi reciprocamente. Il terzo uso consiste nel fare conoscere agli altri i nostri desideri e i nostri propositi, in modo che possiamo aiutarci reciprocamente. Il quarto consiste nel procurare un piacere a noi stessi e agli altri servendoci delle parole senza uno scopo preciso ma solo per ottenere qualche cosa di piacevole.

Th. Hobbes, Leviatano, I, cap. VI

In collaborazione con www.filosofico.net


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