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L’urgente bisogno di un pensiero laico

Giulio Giorello risponde, con un breve ma efficace scritto, al pesante attacco sferrato negli ultimi tempi e da più parti, nei confronti della ’’cultura relativista’’

di Redazione - martedì 19 luglio 2005 - 5471 letture

Giulio Giorello è Presidente della Società Italiana di Logica e Filosofia delle Scienze, disciplina che insegna presso l’Università degli studi di Milano. Già in molti dei suoi frequenti interventi sulle colonne del “Corriere”, il pensiero laico di Giorello si era espresso con vigore e chiarezza, così come in alcune sue pubblicazioni, tra le quali va menzionata almeno “Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito”, volume apparso lo scorso anno nella collana “Scienza e Idee”, diretta dalla stesso autore per Raffaello Cortina Editore. In quel libro, l’analisi della figura storica e mitologica, andava a sovrapporsi con una incisiva riflessione riguardante il gusto della libertà, che poi rimane il tema fondamentale anche del suo ultimo lavoro, intitolato “Di nessuna chiesa. La libertà del laico” (pag. 79 euro 7, 50), uscito per lo stesso editore, ma contenuto nella “Piccola biblioteca laica”.

Pur nella complessità dell’argomento affrontato, la posizione critica che emerge dalle righe di questo breve saggio, risulta limpida e lucida al contempo: stiamo assistendo, specialmente in Italia, al ritorno di un pesante clima dalle vaghe reminiscenze controriformiste e restauratrici, alle quali contribuiscono in larga misura varie componenti del mondo cattolico, a partire dal nuovo pontefice, le quali trovano, da qualche tempo a questa parte, un utile e riverente sostegno anche da strutture e rappresentanze istituzionali, che in teoria (se non in base ad alcuni specifici articoli della Costituzione italiana), dovrebbero invece garantire i diritti e le funzioni di uno Stato propriamente (?) detto laico. Da queste considerazioni, il ragionamento di Giorello si sviluppa tenendo presente soprattutto quella parte individuale e sociale, che nel nostro paese continua malgrado tutto a definirsi laica, invitandola ad abbandonare un tradizionale atteggiamento di difesa, per spronarla a passare invece decisamente all’attacco, intendendo così la costruzione di un alternativa concreta, coesa e attiva, che si ponga in una posizione di aperto confronto e, all’occorrenza, di scontro dialettico e filosofico, senza timori reverenziali,0 o nocive paure dettate dal possibile scarso seguito popolare. Un elemento, questo, per cui la Chiesa non ha naturalmente alcun motivo di preoccuparsi.

Forse è anche per questo che le ultime parole del testo vengono spese in favore di una conciliazione, che potremmo dire temporale e spirituale; per evidenziare ancora una volta l’intrusione del tutto ingiustificata di qualcuno nel terreno di qualcun altro, senza ragioni specifiche, se non quelle del sopruso arbitrario:

“Non ho nulla contro l’idea che un qualche Dio prenda corpo nella storia e partecipi alle vicende degli uomini: sappia solo che può anche rischiare di prendersi una coscia di toro sul volto, come capitò, stando all’Epopea numerica e accadica, alla dea Inanna (Istar), oltraggiata dall’eroe Enkidu, sodale di Gilgameš nella ribellione: “Se tu aiuti me, io aiuto te. Chi può prevalere su di noi?”.

Allo stato dei fatti, la risposta alla domanda lasciata in sospeso dall’autore, dovrebbe toccare a qualche teologo di chiara fama. Possibilmente illuminato.


L’articolo di Emiliano Sbaraglia è stato pubblicato su www.aprileonline.info n° 304 del 16/07/2005


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