L’ordine regna in Sicilia, assicurato dalla trattativa fra Stato e mafia

"È stata una lotta cruenta, e come ogni conflitto ha lasciato molte vittime sul campo ed una scia di sangue che nessuno potrà mai dimenticare. Il messaggio finale era uno solo: venire a patti o proseguire con quella escalation di violenza. E lo Stato è venuto a patti."
Leggevo un articolo, qualche giorno fa, su di un giornale a tiratura nazionale, che notava come, dopo la tragica morte di Falcone e Borsellino, non vi fosse stato più nessun evento simile, e neppure si è ancora verificato che qualche giudice abbia subito minacce gravi come in quei due casi.
Prima di tutto un piccolo appunto al giornalista: articolo ben scritto, sostanzialmente, ed anche un obiettivo ben delineato; questo suo richiamo a due grandi giudici ed alla loro dolorosa fine mi è sembrato, invece, indelicato e scorretto. Per caso dovremmo augurarci altri omicidi come quelli per verificare la bravura o meno di un magistrato? Di tutt’altro registro, piuttosto, è una considerazione generale che si può trarre: come mai c’è tanta tranquillità, almeno apparente? Come si spiega tutto questo ordine, questa compostezza, se non altro in superficie? Dalla Sicilia non ci giungono più, infatti, notizie di attentati, di tentativi criminosi, di delitti sanguinosi.
Un risultato del lavoro instancabile, tenace di persone capaci come sono stati quelli del Pool antimafia di Palermo, verrebbe da dire; ugualmente, una conseguenza dell’opera sistematica e perseverante di coloro che hanno raccolto la loro eredità.
Vorrei poter dire che è così, fino in fondo, e che si tratta solo ed unicamente di questo: la mafia è battuta, vinta per sempre, ed il sogno di coloro che hanno dato la vita per la giustizia si è avverato. Analizzando i fatti e gli eventi, passati e presenti, tuttavia, una visione del genere è molto ottimistica. E credo che anche i giudici che ora sono a Palermo lo sappiano. Tanto è vero che non esultano affatto ma che proseguono, semplicemente, nel loro impegno.
Anche per me, al principio, quelle voci erano solo parole, chiacchiere, credevo, di corridoio; immaginavo fosse stato messo su un altro complotto per delegittimare chi aveva compiuto il proprio dovere, assicurando all’autorità giudiziaria capi storici come Totò Riina e Bernardo Provenzano: gli arresti, le catture ci sono state, e sono state portate a termine con precisione ed anche in maniera clamorosa, e chi le ha fatte ha rischiato la propria vita, esponendosi in prima persona e dimostrando tanto coraggio, determinazione e professionalità. Ma nelle aule di un tribunale quelle stesse persone, servitori fedeli ed integerrimi dello Stato, non potevano mentire, perché questo fa parte della loro natura, oltre che per riguardo alla figura che ricoprono. Ed ecco che l’accordo fra Stato e mafia è emerso in tutta la sua scarna ed angosciosa realtà.
“Si vis pace, para bellum” dicevano i latini, ossia “Se vuoi la pace, prepara la guerra”. Ecco perché, fedeli a questo motto, per ottenere delle garanzie personali, gli uomini di cosa nostra hanno determinato di avviare una vera propria lotta armata a tutti quegli organi che rappresentavano, a torto o a ragione, il governo del Paese.
È stata una lotta cruenta, e come ogni conflitto ha lasciato molte vittime sul campo ed una scia di sangue che nessuno potrà mai dimenticare. Il messaggio finale era uno solo: venire a patti o proseguire con quella escalation di violenza. E lo Stato è venuto a patti.
Specifico che ciò che viene scritto in queste righe si basa, fedelmente, sulle dichiarazioni rese da alti nomi delle Forze dell’Ordine, da testimonianze rese in aula, e pertanto inoppugnabili, e da prove concrete. Quello che si ignora, tuttavia, sono i termini di questo accordo, che certo non è stato stipulato di fronte ad un notaio, con carta bollata, convalide e timbri. Nessuno potrà mai dire, a meno che qualcuno non voglia confessare anche questo, come sono stati fissati i punti fondamentali di questa intesa e di ciò che essa ha comportato, dall’una e dall’altra parte.
Allora ciò che conta sono i risultati?
I risultati, si è visto, sono sotto gli occhi di tutti: calma piatta – o così sembra.
Totò e Bernardo vanno in cella tranquilli e si assicurano un lunghissimo soggiorno a spese di quello Stato che hanno combattuto per anni, mentre le loro attività sono al sicuro.
È vero o no che le associazioni a delinquere sono fra le pochissime aziende in attivo in Italia, alla faccia della crisi?
Ed allora ti faccio un complimento, Totò: lo faccio a te, ma anche al tuo fratello acquisito, Bernardo, che vorrei chiamare ‘il pio’, a motivo della sua profonda adorazione per i santi e la chiesa cattolica. Ed il mio complimento si estende a tutti, tutti voi, uomini di Cosa Nostra. Bravo Totò, sei stato davvero bravo: un vero uomo d’affari ed un ottimo marito e padre di famiglia. Hai assicurato ai tuoi cari una vita serena e senza problemi economici. E sarà così per loro e per i figli dei figli. Bravo Totò, perché sei riuscito a fare in modo che la tua impresa non chiudesse, ma che tutti gli affari che avevi tirato su, con tanta fatica e tanto sudore della tua fronte, venissero preservati. Bravo Totò, perché non hai dimenticato tutti i tuoi impiegati, come un vero, bravo datore di lavoro deve fare, e ti sei sacrificato per loro, immolandoti fino a varcare le soglie del carcere. Bravo Totò: ora puoi stare tranquillo a vedere il frutto dei tuoi sacrifici prosperare, con la benedizione di tutti quelli che ti stimano e della sola ed unica ‘mamma’, quella che tutti voi avete avuto, da sempre, a proteggervi ed assistervi.
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