L’inquietudine dinanzi al “sistema macchine”

Il Frammento sulle macchine di Marx si presenta a noi, nel tempo del dibattito sull’IA, profetico per i temi affrontati. Si sollevano temi e prospettive che facciamo fatica a concettualizzare e a pensare.
Il Frammento sulle macchine di Marx si presenta a noi, nel tempo del dibattito sull’IA, profetico per i temi affrontati. Si sollevano temi e prospettive che facciamo fatica a concettualizzare e a pensare. La macchina, come Giano, è ambivalente, potrebbe condurre alla catastrofe o a un nuovo incipit della storia. I capitalisti investono nel capitale fisso, le macchine e le tenologie, puntano sull’accelerazione del tempo di produzione e sull’autovimento automatico delle medesime. Sono i nuovi signori del tempo.
Lo strumento è sostituito dalla macchina. Lo strumento presuppone la fatica ma anche l’attività e la consapevolezza dell’uso che incentiva la creatività. Probabilmente una delle cause delle innumerevoli ribellioni di contadini e di artigiani riposa, anche, nell’abitudine all’attività e a gestire gli strumenti di lavoro, tutto ciò favorisce l’indipendenza. Contadini e artigiani, infatti, non dipendevano da capi e capetti per l’uso degli strumenti.
Gli operai in fabbrica, invece, sono i “tristi mediatori delle macchine”. Queste ultime sono finalizzate a “bruciare i tempi della produzione, e pertanto “il lavoro immediato e concreto” è fagocitato dai processi delle macchine. Gli operai nella produzione hanno la funzione di sorvegliare le macchine. Il capitalismo insegna agli aggiogati la passività e la pigrizia della coscienza.
Sorvegliare le macchine comporta un processo di assimilazione e di dipendenza dalla macchina e in tal modo si atrofizzano le capacità di riflessione e di organizzazione divergente. La macchina all’interno della cornice capitalistica insegna la dipendenza, è il volto d’acciaio della conservazione. Il padrone non compare, ma le macchine insegnano la perversa pedagogia della sudditanza.
Nel nostro tempo la macchina pervade e invade il tempo dei sudditi, lo organizza e lo segmenta fino ad assimilare il tempo della vita nei processi macchinali. La macchina è la vittoria del capitalista e la sconfitta del suddito tanto più che in essa è oggettivato il lavoro dei proletari. La vittoria del capitalista pone le possibili premesse per il superamento del modo di produzione capitalistico. Le tecnologie con la loro accelerazione temporale potrebbero condurre al “requiem” del capitale, essi potrebbero essere il punto cardine dell’emancipazione dal lavoro e l’inizio della conquista del tempo liberato da obblighi che soffocano le individualità. Oggi il comunismo potrebbe realizzare i suoi fini, ma senza coscienza di classe il destino è l’assimilazione alla macchina e l’espulsione alienata e alienante dal sistema produttivo dei lavoratori:
“Nella stessa misura in cui il tempo di lavoro - la semplice quantità di lavoro - è posto dal capitale come unico elemento determinante, il lavoro immediato e la sua quantità scompare come principio determinante della produzione - della creazione di valori d’uso - e viene ridotto sia quantitativamente a una proporzione esigua, che - qualitativamente - a momento sia pure indispensabile, ma subalterno, rispetto al lavoro scientifico generale, all’applicazione tecnologica delle scienze naturali da un lato, come dall’altro - alla forza produttiva generale derivante dall’articolazione sociale nella produzione complessiva: forza produttiva generale che appare come dono naturale del lavoro sociale (benché sia, in realtà, prodotto storico). Il capitale lavora cosi alla propria dissoluzione come forma dominante della produzione” [1].
La ricchezza del capitalista ha la sua essenza nel furto del tempo altrui. Il tempo dell’operaio è assimilato dal ritmo della macchina, ne diventa un’appendice, la sua coscienza si “solidifica”, rallenta il suo flusso fino a diventare un ente che amministra la macchina. Individuo anonimo e generico sconosciuto a se stesso e indotto ad omologarsi alla macchina e ai suoi ritmi sempre più inquietanti, l’operaio e gli aggiogati scompaiono tra gli automatismi delle macchine.
Il tempo non è più misura del lavoro, in quanto il tempo elevato alla potenza della macchina sbriciola il senso del salario e la possibilità di produrlo. La macchina gradualmente si rende autonoma e il suo tempo si scinde completamente dal tempo del “guardiano” fino all’espulsione dei sudditi dal circuito produttivo:
“Il lavoro non appare più tanto come incluso nel processo produttivo, quanto piuttosto l’uomo sta di fronte al processo produttivo come regolatore e guardiano. (Ciò che si è detto del macchinario, vale anche per la combinazione delle attività umane e per lo sviluppo del commercio umano). Non è pìu l’operaio che inserisce l’oggetto naturale modifiato come membro intermedio fra l’oggetto e se stesso; ma è il processo naturale, da lui trasformato in un processo industriale che egli inserisce come mezzo fatta se stesso e la natura inorganica, della quale si rende signore. Egli si colloca accanto al processo produttivo, anziché esserne l’agente principale. In questa trasformazione non è nè il lavoro immediato, eseguito dall’uomo stesso, nè il tempo che egli lavora, ma l’appropriazione della sua universale forza produttiva, la sua comprensione della natura e il dominio su di essa attraverso la sua esitenza di corpo sociale - in una parola, lo sviluppo dell’individuo sociale, che appare come il grande pilone di sostegno della produzione e della ricchezza. Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui "riposa la ricchezza odierna, appare una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande sorgente della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio [la misura] del valore d’uso] [2]
Il capitalismo è eroso all’interno dalla contraddizione del tempo. Riduce il tempo accelerandolo e nel contempo usa il parametro del tempo per definire il salario. Lo sviluppo delle macchine sarà il fondamento del comunismo e della libera associazione dei lavoratori. Nessuna utopia dunque, se guardiamo al nostro tempo, il comunismo è prossimo se si considerano le tecnologie che potrebbero produrre il necessario per tutti e liberare una porzione notevole del tempo sussunto alla produzione, d’altra parte è lontanissimo, poiché i subalterni usano le mappe concettuali dei padroni. La contraddizione nella contraddizione rafforza gli equilibri di potere vigenti, ma la tensione carsicamente aumento fino a mutarne la qualità:
“Il lavoro eccedente della massa ha cessato di essere la condizione dello sviluppo della ricchezza generale, cosi come il non-lavoro dei pochi ha cessato di essere condizione dello sviluppo delle forze generali della mente umana. Cosi la produzione basata sul valore di scambio crolla, e il processo produttivo materiale immediato viene a perdere anche la forma della scarsità e dell’opposizione. Il libero sviluppo delle individualità, e quindi non la riduzione del tempo di lavoro necessario per creare lavoro eccedente, ma in generale la riduzione del lavoro necessario della società ad un minimo, a cui corrisponde poi la formazione e lo sviluppo artistico, scientifico ecc. degli individui grazie al tempo divenuto libero e ai mezzi creati per tutti loro. Il capitale è esso stesso la contraddizione in corso, in sviluppo, perché [da un lato] tende a ridurre il tempo di lavoro a un minimo, mentre dall’altro pone il tempo di lavoro come unica misura e fonte della ricchezza” [3].
Il general intellect è fra di noi, è potenzialmente nel nostro tempo. Marx ne ha profetizato lo sviluppo:
“Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a che punto il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso della società sono passate sotto il controllo del general intellect, e rimodellate in conformità ad esso. Fino a che punto le forze produttive sociali sono prodotte, non solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, del processo reale di vita” [4].
Il presente è terribile, lo squallore antropologico e il pericolo della scomparsa della vita per un conflitto nucleare tra bande oligarchiche convive con la possibilità reale e razionale di un “comunismo a misura di ogni essere umano”. L’impossibile può essere possibile, è la nostra motivazione e la nostra speranza dinanzi all’Apocalisse.
[1] Dai Grundrisse der Kriti!t der politischen okonomie, Berlin, Dietz Verlag, 1953, pp. 583-594; traduzione di Renato Solmi
[2] Ibidem.
[3] Ibidem.
[4] Ibidem.
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