L’imprevisto della storia siamo noi
Che cosa ci muove, più di mille donne, su una chiamata che non ha ancora un programma e delle mete precise?
L’IMPREVISTO DELLA STORIA SIAMO NOI
Che cosa ci muove, più di mille donne, su una chiamata che non ha ancora un programma e delle mete precise?
Certamente la fiducia, che accordiamo a donne che hanno scelto di usare la propria visibilità, la posizione di piccolo o grande potere già raggiunta, a favore di tutte.
Certamente la speranza, di riuscire ad andare oltre le parole e trovare le azioni per mettere sul tappeto della politica un cambiamento radicale, con un passo per volta, ma radicale.
Certamente la determinazione, perché molte di noi hanno cominciato tanti anni fa e sappiamo che continueremo la nostra lotta, nonviolenta, quotidiana, rivoluzionaria.
Certamente la tenerezza, per le ragazze e i ragazzi che cominciano adesso e noi sappiamo già che ci saranno momenti di scoraggiamento, ma proprio per loro testimoniamo che si può fare.
Certamente la saggezza perché sappiamo che fare rete tra donne migliora comunque la vita, di tutte e tutti.
Certamente la memoria, di tante donne, di tante lotte, di tante storie cercate scoperte ascoltate, di tanti eventi costruiti, e voglio ricordare l’ultimo, per me straordinario, il decennale di Punto G a Genova.
Vorrei che a Siena potessimo dire insieme alcune cose:
1. Che l’economia della riproduzione è quella che tiene in piedi il mondo.
La riproduzione biologica: crescere bambini e bambine; metterli al mondo, accudirli, educarli;
la riproduzione domestica: tutto il lavoro di pulizia e manutenzione della casa e, a partire dalle case, di tutti i luoghi fino all’intera città e territorio. Sono lavori non riducibili, mai interamente meccanizzabili, totalmente indispensabili per vivere;
la riproduzione sociale: sanità, scuola, pubblica amministrazione che significa anche assistenza, trasporti, comunicazione, gestione della vita collettiva.
Non a caso tutti questi lavori sono mortificati, mal pagati, addirittura cancellati dalla concezione “forte” del lavoro perché sono svolti per la maggior parte dalle donne.
Rimandiamole a casa, ci dicono, così lavorano lo stesso, ma sono fuori dall’ambito della considerazione economica.
Tutta questa economia non dà profitto, ma qualcosa di molto più importante: il benessere.
L’altra economia, quella che costruisce il profitto appropriandosi del lavoro umano, quella che gioca al massacro sulle risorse dell’ambiente e della specie, quella che stabilisce il valore delle merci non sull’utilità, ma sulla misura del profitto, oggi vuole presentare i conti del suo disastro proprio al mondo del lavoro, tutto.
I personaggi che hanno giocato con la finanza devastando le economie locali oggi vogliono di nuovo l’economia della riproduzione sottomessa gratuitamente alla logica della speculazione e il lavoro umano subalterno alle fantasie feudali di pochi.
Vorrei che insieme potessimo dire: noi donne non ci stiamo e con noi alzassero la voce anche gli uomini che vogliono cambiare strada.
2. Vorrei che tutte le donne che sostengono il patriarcato, che l’hanno sostenuto negandone l’esistenza o perché pensano che la gerarchia sociale, la cooptazione invece della democrazia, il privilegio invece del diritto, siano cose buone e giuste perché salvaguardano la loro vita e quella dei loro figli, le donne che sostengono il patriarcato non solo privatamente, dentro le famiglie, ma nei luoghi pubblici, nei luoghi dove si dovrebbe presidiare la democrazia, vorrei che queste donne facessero un passo indietro.
Non chiedo a nessuna di rinnegare la propria storia, ma semplicemente di non contribuire a sbarrare la strada a un’altra storia.
Non basta essere donne. C’è una donna al ministero per l’istruzione e se avesse bisogno di aiuto le sarei vicina come a qualsiasi altra, ma oggi io la considero venduta al patriarcato, lei è una donna che lavora contro di me, contro la mia intera storia, se lei fosse stata in quel posto quando io ero piccola oggi non sarei qui perché sarei stata tra quelli che non hanno merito.
Conquistare dignità e giustizia per noi significa restituire visibilità anche alle donne che sono state qui prima di noi: ci sono eredità da raccogliere, nomi e volti a cui restituire memoria e ci sono eredità da rifiutare.
Non ci sono eredità innocenti che noi possiamo prendere e usare per la nostra vita senza sapere da chi ci vengono, quali donne soprattutto, quali uomini anche, dove e quando hanno conquistato per noi i benefici di cui godiamo. E chi, dove quando e perché, li ha cancellati o riservati a pochi.
3. Voglio pari diritti e opportunità per tutte le donne, la democrazia paritaria in ogni luogo, l’accesso a tutte le carriere, e per questo è urgente la clausola di non sopraffazione tra i sessi. Ma non tutte le donne possono rappresentarmi, non qualsiasi donna solo perché dichiarata tale all’anagrafe. E non è la carriera di una donna che garantisce anche per me, oggi, se non si accompagna al diritto, di fatto, per tutte e alla garanzia delle procedure democratiche.
Non è una meta vicina, ma voglio almeno vedere la strada.
Se la diversità è ricchezza voglio che abbia rappresentanza tutta quella differenza che non trova nemmeno rappresentazione. Le donne confinate nei lavori più duri e mal pagati: domestiche e operaie, badanti e inservienti, le insegnanti che resistono con il lavoro volontario all’abbrutimento della scuola, le operatrici ospedaliere che resistono al peggioramento del servizio sanitario, le impiegate degli sportelli pubblici mortificate dal nuovo modello aziendalista e tutte quelle che non posso nominare qui, ma che per me sono visibili, sempre.
Voglio le donne competenti, certo, ma anche quelle che hanno saputo dire di no a certe carriere, alle cooptazioni compiacenti, alle complicità sorridenti, che hanno esercitato la competenza per conservare la propria dignità anche nella solitudine, nell’emarginazione senza perdere mai la relazione con le altre donne.
Vorrei che questa nostra lunga storia, quella di chi è stata cancellata, ma ha continuato a vivere, praticando forme di resistenza, le mille forme di resistenza che creativamente immettono nella vita ciò che la politica in Italia ha ferocemente cancellato, fossero finalmente rappresentate.
Sono disponibile al dialogo, com’è stato per tutta la mia vita, ma non sono disposta a tacere se vedo la mistificazione, se ascolto belle parole che contraddicono scelte e pratiche di vita politica. Non sono disposta a tacere perché non ho niente da perdere. Quello che io ho già perso l’abbiamo perso in moltissime e sul piano della dignità è stato sottratto a tutte.
Non posso avere dignità se ci sono donne accanto a me che non hanno nessun diritto.
Molte di noi sanno usare le parole, le ho imparate anch’io, per questo ne conosco il potere deformante, la capacità di manipolazione della realtà, per questo il femminismo è stato prima di tutto un pensiero situato, un pensiero che nasce lì dov’è il mio corpo e lo rende visibile con tutta la sua storia.
Ricordiamoci che le donne non tornano mai a casa, è una menzogna che ha deformato la storia, non sono mai tornate a casa le partigiane e nemmeno noi, generazione del femminismo, la verità è che ci hanno cancellate, ci hanno oscurate, derise, disprezzate, considerate reperti archeologici, ma noi siamo qui, accanto alle donne che si affacciano oggi alla vita e, come noi abbiamo fatto tanti anni fa, si chiedono dove sono le donne che hanno lottato perché il mondo fosse più accogliente anche per loro.
Noi siamo qui perché non ce ne siamo mai andate e possiamo costruire un altro pezzo di strada insieme.
4. Ho già lottato per la parità, ora si tratta di affermarla, ma non basta essere donne per volere un mondo migliore di questo. Io voglio di più, voglio la giustizia, quella che abbiamo chiamato pari opportunità e che deve cominciare con la nascita.
Questo non è un paese per donne perché è un paese per pochi uomini e per le poche donne che ricavano privilegi dal sostenerli.
Tutti gli altri, uomini e donne che li guardano come rappresentanti anche dei loro interessi, sono vittime di un sogno, un brutto sogno venduto dalla disinformazione e dalla rete di piccole grandi complicità che hanno sottratto a questo paese il valore della dignità.
Vorrei da ognuna di noi un gesto, visibile lì dove la sua storia l’ha collocata, che dia un segnale chiaro e inequivocabile della scelta di un libero patto che oggi insieme possiamo cominciare a costruire.
So che è un cammino ancora lungo, ma vorrei prendessimo fiato e questo pezzo potremmo farlo di corsa.
La storia non è un percorso piano e lineare, vorrei che noi oggi segnassimo l’imprevisto.
Nota di redazione: questo articolo è stato pubblicato originariamente in Primopiano, e poi spostato all’interno del Dossier "Se non ora quando?" il 2 giugno 2012.
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