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L’eredità di Mario Draghi

Articolo di Alessandro Lubello, giornalista di Internazionale

di Redazione - mercoledì 30 ottobre 2019 - 3063 letture

Il 24 ottobre Mario Draghi ha presieduto per l’ultima volta il consiglio direttivo della Banca centrale europea. Il prossimo 1 novembre, dopo otto anni di mandato, lascerà la presidenza dell’istituto a Christine Lagarde, ex direttrice del Fondo monetario internazionale (Fmi).

Nell’abituale conferenza stampa Draghi ha confermato la linea di politica monetaria decisa dalla Bce lo scorso 12 settembre, che prevede tra l’altro il costo del denaro ancora a zero, un tasso negativo (-0,50 per cento) per i depositi delle banche presso la Bce e la ripresa del programma di acquisto di titoli dal 1 novembre per un totale di venti miliardi di euro al mese.

Si tratta insomma della combinazione di misure straordinarie con cui a partire dal 2012 Draghi ha difeso l’euro e l’economia europea. Il 26 luglio di quell’anno, a Londra, il presidente della Bce dichiarò che l’istituto avrebbe fatto “whatever it takes”, tutto il necessario, per contrastare la speculazione sull’euro scatenata dalla crisi dei debiti pubblici. All’epoca erano bastate le sue parole per allontanare la tempesta, visto che il programma messo a punto per bloccare la speculazione, l’Outright monetary transactions (Omt, operazioni monetarie definitive, l’acquisto di titoli di stato dei paesi dell’eurozona già emessi e scambiati sui mercati), non è mai stato usato.

Quadro europeo poco rassicurante

Nel 2015 e nel 2016 la Bce ha varato altri due pacchetti di misure straordinarie, tra cui il quantitative easing (qe, l’acquisto di titoli di stato di nuova emissione e di altri titoli di debito) per scongiurare il pericolo della deflazione (una diminuzione generalizzata dei prezzi causata dallo stallo delle attività produttive e dei consumi) e riportare l’inflazione al 2 per cento, il livello previsto come obiettivo dallo statuto della Bce. Ora, dopo un parziale ritiro delle misure straordinarie attuato nell’ultimo anno, è arrivato un nuovo pacchetto, “pienamente giustificato”, ha spiegato Draghi, da un quadro poco rassicurante per l’economia europea, con una Germania quasi in recessione, le tensioni commerciali, il rallentamento di molte economie, tra cui quelle dei paesi emergenti e in particolare della Cina.

In questi anni Draghi si è guadagnato il titolo di “salvatore dell’euro”, ma è stato oggetto di frequenti attacchi nei paesi dell’Europa settentrionale, in particolare in Germania. Come ricorda Le Monde, all’inizio del suo mandato il tabloid tedesco Bild mise in prima pagina la foto di Draghi con un elmetto prussiano in testa e il titolo “So deutsch” (così tedesco), quasi a ricordargli che il tradizionale rigore finanziario tedesco doveva ispirare la sua azione.

A Draghi si rimprovera anche uno stile che ha lasciato poco spazio al dialogo e alla comunicazione

Evidentemente ha “tradito” queste attese, visto che a settembre la Bild lo ha raffigurato come “conte Draghila”, un vampiro che ha succhiato il sangue ai risparmiatori tedeschi per tenere in piedi i paesi indebitati dell’Europa meridionale. Tutti, in sostanza, riconoscono che senza Draghi l’euro non sarebbe sopravvissuto alla crisi, ma molti lo accusano di essere andato oltre il suo ruolo. Secondo il quotidiano olandese Nrc Handelsblad, “a causa della sua durata indefinita, sia pure frutto di condizioni economiche eccezionali, la politica della Bce è andata molto vicina al finanziamento dei disavanzi pubblici. È penetrata nel campo della politica”. Draghi, conclude Nrc, “ha permesso al veleno degli interessi nazionali dei paesi dell’euro di entrare nell’istituto”.

La politica del costo del denaro nullo, inoltre, avrebbe danneggiato i risparmiatori dei paesi con meno debiti. L’austriaco Wiener Zeitung parla di “esproprio dei risparmiatori attraverso i tassi nulli, l’inammissibile finanziamento degli stati del sud dell’Europa e l’aggiramento dei meccanismi di mercato. Una realtà contro la quale è improbabile che in futuro di imponga una maggioranza di stati favorevoli alla disciplina di bilancio”.

A Draghi si rimprovera anche uno stile che ha lasciato poco spazio al dialogo e alla comunicazione. Il quotidiano conservatore tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung (Faz) parla di “incredibile incapacità di comunicare da parte di Draghi che, preferendo rivolgersi ai mercati finanziari più che ai cittadini, ha perso fin dall’inizio la lotta per l’appoggio dell’opinione pubblica tedesca”. Alla fine del suo mandato, aggiunge la Faz, “lascia una Bce divisa al suo interno e sostanzialmente impotente, dato che la sua politica basata sui tassi nulli ha perso di efficacia. Lagarde dovrà riportare la Bce nel suo ruolo originario e prendere sul serio le critiche”.

L’indifferenza della politica

Questi attacchi sono spesso esagerati e tendono ad addossare alla Bce responsabilità che ricadono sui governi nazionali. Nel corso del suo mandato Draghi ha più volte ricordato che la Bce si occupa della politica monetaria dell’eurozona nel suo insieme, non può guardare agli interessi di singoli paesi. Come scrive il quotidiano progressista tedesco Süddeutsche Zeitung, “la politica monetaria è destinata a non mutare, anche se non piacerà a molti tedeschi. L’inflazione è troppo bassa, le guerre commerciali minacciano il benessere dell’Europa. Nell’eurozona il pil pro capite è ancora sotto i livelli registrati prima della crisi finanziaria”. Semmai, aggiunge la Süddeutsche Zeitung, Draghi è stato lasciato solo “da governi che non hanno fatto le riforme necessarie. E la Bce non aveva certo la possibilità di costringerli”. Nel frattempo, però, la sua politica monetaria ha “salvato molti posti di lavoro”.

Draghi ripete spesso che le politiche straordinarie della Bce non sarebbero necessarie se i governi attuassero adeguate politiche di bilancio, l’unica leva davvero in grado di risollevare le sorti dell’economia: quelli meno indebitati, soprattutto la Germania, dovrebbero spendere di più, mentre quelli più indebitato essere più prudenti. Nel discorso tenuto a Milano l’11 ottobre in occasione del conferimento di una laurea honoris causa all’università Cattolica, ha detto che “una politica fiscale più attiva nell’area dell’euro permetterebbe di modificare più celermente quelle politiche dei cui effetti negativi su alcune categorie di cittadini e intermediari siamo ben consapevoli”.

L’incapacità e la mancanza di coraggio dimostrate in alcune occasioni dalla politica hanno creato un grosso vuoto in cui la Bce è diventata un organismo agli occhi di molti troppo potente e ingombrante o un capro espiatorio a cui addossare l’origine di tutti i problemi.


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