1. L’arrivo
Kourenivazne skodi Vam i lidem ve Vasem okoli
Koureni v tehotenstvi skodi zdravi Vaseho ditete
(Due avvertenze su un pacchetto di sigarette)
L’arrivo
Una città che ha qualcosa di Bologna, di Paris e di un paesino tedesco placido e periferico. Praha ha conosciuto la modernizzazione a colpi di defenestrazioni, a singhiozzi. La città asburgica è sempre stata poco tollerata nonostante abbia cercato di comprare i praghesi con l’opulenza. La Vltava scorre sotto i ponti e sotto i dominatori. Piazza Vaclav è piena dei megastores occidentali. Quelli italiani vi fanno arrivare la merce che non è più di moda. In attesa del diluvio di negozi di telefonini, qui qualche libreria ancora resiste. Praha è città intasata di turisti. Nel silenzio del traffico costituiscono l’unica nota di movimento. Un movimento ordinato, colorato, puntiforme. I ceki sembrano accettarli come hanno deciso di accettare quest’Europa occidentalizzata: con ironia sobria. Rispetto a Paris, sporca e incontrollata nei suoi allargamenti etnici, Praha si contiene. C’è stata l’euforia dei grandi raduni del 1989, quando allo stadio Spartau e a piazza Vaclav si riunirono milioni di persone. Havel, uno dei padri della buona Europa, ha saputo evitare gli eccidi jugoslavi. Oggi la provvisoria Repubblica Ceka si muove con andante moderato verso l’Europa della moneta unica, le è stato concesso il tempo dell’allenamento, della gradualità. Ma è un tempo che ormai sta per scadere.
Siamo giunti a Praha il 5 agosto 2004. L’aereo permette di tagliare in maniera netta lo sguardo dal quotidiano paesaggio siciliano, per ritrovarsi nell’inedito paesaggio ceko così come si fa cambiando canale con il televisore: due ore di aereo sono scivolate via quasi senza accorgersene.
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