L’angelo, di Rainer-Maria Rilke
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Nell’estate 1906, dopo gli screzi e la rottura, nel mese di maggio, del rapporto di lavoro e di amicizia con Auguste Rodin, Rilke scrive due poesie sull’angelo, inserite nella raccolta Neue Gedichte. La prima è ”L’angelo della meridiana”, quella figura sorridente che, alta su un angolo della cattedrale di Chartres, ammicca a chi la guarda, a chi guarda la meridiana che nelle sue mani raccoglie le ore del nostro vivere diurno. Rilke gli chiede se quel sorriso rimane per le ore che l’altra faccia della meridiana a noi nasconde.
Il secondo angelo è figura ben più severa, che non tollera il confidare quando in esso si celi la carente iniziativa, perché è lui il lato notturno, misterioso, che può sorprendere impensatamente il tuo ingenuo approccio, per rinnovarti dalle fondamenta.
Due angeli, due scultoree figure, la feminea e la maschia, create da Rilke con la materia prima che è la lingua, a imitazione di quelle che Rodin traeva dalla pietra.
Tutta la suggestione che da esse deriva mi pare sfumi in parte se non ci si arrischia ad associarle al canto-incanto della metrica. Per questo, appellandomi alla vostra ospitalità, mi permetto di sottoporre a voi le mie due inedite versioni.
L’ANGE DU MÉRIDIEN
Nel turbine, che sul duomo possente
s’ostina, come spirito che nega,
il tuo sorriso, improvvisamente,
ci fa più miti e verso te ci piega,
angelo sorridente, percettiva
forma, bocca che è cento bocche insieme:
non scorgi le ore nostre? un flusso lene
oltre il colmo quadrante che le univa
queste cifre del dì, tutte reali,
presenti tutte, in equilibrio stabile,
fatte in ricchezza e frutto tutte uguali.
Di nostre vite tu, pietra, che sai?
Forse con volto ancora più ineffabile
all’ima notte il disco porgerai?
L’ANGELO
Solo che egli con la fronte accenni,
ogni legame e limite scompare
chè un varco è il cuore suo all’eccelso andare
di ciò che viene in orbite perenni.
Nei cieli può una folla di figure
gridare “0h, vieni e riconosci!” a lui,
ma non porre dei pesi tuoi neppure
uno in sue mani lievi: sol che abbui
verrebbero esse per vieppiù provarti
di stanza in stanza, con foga irritata,
afferrandoti poi, quasi a crearti
di strappo dalla tua forma squarciata.
Grazie per l’omaggio a Rilke.
marmar