L’alterità dell’altro nel mare del pensare
"Vagavo per i campi del Tennessee / (come vi ero arrivato chissà). / Non hai fiori bianchi per me? / Più veloci di aquile i miei sogni / attraversano il mare" (La cura, di Manlio Sgalambro e Franco Battiato)
Mi sono perso il convegno su Sgalambro a Catania. Nel clima di revanscismo della destra (culturale e politica) che dilaga l’atto politico - e di egemonia culturale - di “rileggere Sgalambro” approfittando della circostanza formale e accidentale, puramente arbitraria, della “celebrazione” (termine proprio che rimanda all’assunzione al cielo degli eletti, la loro vidimazione nell’Olimpo dei santi da parte del potere culturale e religioso costituito) per i cento anni dalla nascita. Quale migliore occasione per l’armata brancaleone della destra culturale di poter tentare la mobilitazione attorno a un altro tassello del proprio universo parallelo. Sgalambro come Nietzsche e Tolkien passando per Evola, de Benoist e quant’altri. La ricoagulazione della destra culturale attorno al potere (accademico e nel mondo dei media) lascia strascichi: l’invidia dei potenti precedenti che sono costretti a rosicare; ma anche l’impossibilità di alcuni della stessa destra a far parte del gioco: che rimangono isolati e osservano con disgusto la montante marea di menestrelli e cantori del nuovo/vecchio potere. Come sempre, da qualche decennio a questa parte, non pervenuti gli ex allocatori dell’egemonia del mondo reale su cui evidentemente grava non solo il non essere più a favor di vento ma anche l’intervenuta obsolescenza dell’età. Non verseremo certamente noi una lacrima per questo coacervo di mediocri adoratori del dio piddino. Ciò che mi preme qui osservare è tutt’altro. Sgalambro si collocava nel piano di fraglia del pensiero atipico, aristocratico e non allineato. Proveniva da un mondo tenebroso, cresciuto nell’accumulazione della rendita fondiaria parassitaria ma presto messo ai margini dai cambiamenti della storia.
Sapere di che pasta costituisce l’uomo rende complessa la lettura, non consente la strada facile né della definizione né dell’assoluzione. Sgalambro non è né assimilabile o diluibile - grazie addio -, né commestibile o strumentalizzabile. Né da me e dal mio mondo né tantomeno da questa contemporaneità. Irriducibile, un po’ come Costanzo Preve capace di ingraiana mossa del cavallo. Il suo nichilismo aristocratico alla fin fine era il suo antidoto esistenziale con cui tentava di rimanere a galla, non farsi ammaliare dalle sirene. Non a caso il mondo culturale mainstream lo “scopre” negli anni Ottanta. Sono, per l’Italia, anni di frattura. In cui il vecchio mondo (bipolare) cade a pezzi sotto il montante ideologico della nuova ristrutturazione capitalistica neoliberista (thatcheriana). L’inadeguatezza dei nostri -ismi fa tentare altre strade: persino il postmodernismo e il “pensiero debole”. La stessa sinistra (la cui egemonia è ormai all’epoca diventata accademia e vacilla) è alla ricerca di uno svecchiamento e si rivolge convulsamente “a destra e a sinistra” per trovare nuove fonti anche nei posti più peregrini. Un mondo che stava per annegare e che si dibatteva per non essere risucchiato. Sgalambro “scoperto” negli anni Ottanta è uno di questi tentativi - non a caso andrà a far coppia con Battiato, anche lui parte di questo movimento (ma nel settore musicale) che vede da una parte la crisi delle vecchie egemonie culturali e dall’altra un residuo di vitalità culturale che permette ancora estremi quanto disperati ultimi tentativi; prima dell’affondamento definitivo degli anni Novanta (dal bordo del Britannia è tutto [1]).
La destra di Sgalambro, per matrice e caratteristiche intrinseche, non è assimilabile alla destra del nuovo mondo uscito dalle convulsioni della storia recente. Sgalambro è una "tigna dura" che usa il linguaggio come scudo e il sarcasmo e l’ironia come martello pneumatico. La sua "sprezzatura". Lo vorranno e potranno utilizzarlo, ma sempre “qualcosa” rimarrà fuori, a costituire un amaro di cui non sapranno spiegare il motivo. Per questo Sgalambro sopravviverà persino ai tentativi dilettanteschi della nuova destra costruita a tavolino che oggi imperversa e che naturaliter cerca di utilizzare anche Sgalambro per tentare di costruire un apparato culturale auto-giustificativo. La destra di Sgalambro si colloca agli antipodi della destra caciottara che imperversa. Le destre sono tante, e sempre quello che si coagula nella zona cesarini del potere è qualcosa che (vogliamo sperare) non ha niente a che fare né con la destra né con la sinistra. Per questo Sgalambro poteva persino sorridere amaro e sprezzante, e cantare La mer, senza perdere la sua alterità di mal pensante (ogni allusione a quel che diceva Lucio Dalla dei marinai è puramente casuale [2]). Il suo era un mare diverso.
[1] 1992, dal bordo del transatlantico Britannia, Mario Draghi ratificò la vendita degli apparati produttivi italiani destinati alla "privatizzazione" neoliberista.
[2] 1978, Ma come fanno i marinai canzone di Francesco De Gregori e Lucio Dalla.
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