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L’Africa in Italia: razzismo, cittadinanza e ostacoli all’integrazione

Per la Giornata Internazionale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali, Amref presenta alcuni dati dell’indagine Ipsos su razzismo

di Amref Italia - mercoledì 27 marzo 2024 - 688 letture

Secondo sette italiani su dieci, in Italia, gli africani sono soggetti ad episodi di razzismo e discriminazione molto spesso (per il 22%) o abbastanza spesso (per il 48%). Lo riporta la terza edizione dell’indagine curata da Ipsos per Amref-Italia, dal titolo "Africa e Salute: l’opinione degli italiani", svolta ad ottobre 2023, su un campione rappresentativo di 800. Nel capitolo "L’Africa in Italia" - mai pubblicato prima - oltre al razzismo si affrontano anche altri temi, quali gli ostacoli all’integrazione e la legge di cittadinanza. Amref Italia presenta questi dati in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione delle discriminazioni razziali. Il 21 marzo è stata scelta come data, per ricordare i tragici fatti di Sharpeville quando, nel 1960, in Sudafrica, in piena apartheid, la polizia aprì il fuoco su un gruppo di dimostranti neri uccidendone 69 e ferendone 180.

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Razzismo e discriminazione

Secondo il rapporto “Being black in the EU” (FRA/EU, 2018), il 39% delle persone Nere e afrodiscendenti che vive in Europa vive alti livelli di esclusione socio-economica, e sono state vittime di stereotipi negativi, atti di violenza e incitamento all’odio.

"Prendiamo atto che spesso, nostro malgrado, il linguaggio, addirittura lo sguardo vanno a consolidare un razzismo sistemico, che pervade il nostro Paese" afferma Roberta Rughetti, Vicedirettrice di Amref Italia "dobbiamo rimuovere insieme quegli ostacoli che spingono le persone razzializzate e gli afrodiscendenti verso una marginalizzazione, che ha effetti sia nella sfera privata, che in quella sociale. Questa indagine ci aiuta a fotografare alcune idee presenti nella società italiana, e ci sprona ancora di più a promuovere azioni di sensibilizzazioni che favoriscano l’interlocuzione con le persone razzializzate e il protagonismo degli africani. Per contrastare il razzismo antinero, l’afrofobia e ogni forma di discriminazione razziale".

Nell’indagine di Ipsos per Amref, nel capitolo "L’Africa in Italia", si rileva che solo un italiano su dieci (11%) ha la percezione corretta di quanti siano gli africani residenti oggi in Italia (circa 1,2 milioni). Il 71% del campione ne sottostima la presenza e il restante 18% la sovrastima. Se però chiediamo su 100 cittadini stranieri quanti sono africani, è un italiano su tre (34%) a sovrastimarne la presenza e solo il 7% dà la risposta esatta (tra 20 e 25).

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Ostacoli integrazione

Al di là del numero esatto, il 53% dei rispondenti dichiara che i cittadini africani residenti in Italia sono comunque troppi e non sempre amalgamati con gli italiani. Un ulteriore 53% li considera poco o per nulla integrati nel nostro Paese. Cosa preclude questa integrazione? Come nel 2021, la prima causa (41%) risiede nel fatto che "le imprese italiane vedono gli immigrati africani solo come manodopera a basso costo. Segue al secondo posto "la scarsa voglia di accettare gli usi e le consuetudini italiane da parte degli africani (31%)", poi il fatto che "in Italia non ci sono adeguati programmi di integrazione (30%)". Il 16% ritiene che un ostacolo all’integrazione sia che "gli italiani sono razzisti".

Una nuova legge di cittadinanza aiuterebbe a costruire migliori percorsi di giustizia sociale. Così come prevista oggi, la legge per la concessione della cittadinanza italiana per stranieri piace al 64% dei rispondenti. Attualmente la legge italiana prevede la concessione della cittadinanza a chi non è figlio di cittadini italiani solo in alcuni casi specifici (dopo il compimento della maggiore età e dopo 10 anni di permanenza ininterrotta nel nostro Paese, oppure per matrimonio) e in assenza di procedimenti penali. Più gradita l’opzione di concessione della cittadinanza italiana a figli di immigrati stranieri, nati in Italia o arrivati entro i 12 anni e che abbiano frequentato regolarmente le scuole nel nostro Paese per almeno 5 anni (75%).


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