“Julieta” di Pedro Almodòvar
Un film di Pedro Almodóvar. Con Emma Suarèz, Adriana Ugarte, Daniel Grao, Inma Cuesta, Darío Grandinetti.
Dopo la parentesi de “Gli Amanti Passeggeri” Almodovar torna al ritratto femminile, stavolta intriso di fato e crudele destino, quello che scandisce le giornate di Julieta, la protagonista (interpretata dalla bellissima Adriana Ugarte, da giovane, e poi da Emma Suarez) e via via anche quelli della madre (ammalata e segregata in casa dal padre che nel frattempo se la intende con la giovane badante), della figlia Antia, di Beatriz (l’amica della figlia), di Ava, artista ed ex amante di Xoan, il primo compagno di Julieta e padre di Antìa (il tenebroso Daniel Grao) e perfino di una vendicativa governante interpretata da Rossy De Palma.
Un film molto al femminile ove i personaggi sono quasi sempre vittime, consapevoli o non, e si portano dietro un rimorso, un dolore, pronti a colpevolizzarsi per non aver fatto abbastanza. Julieta è una donna matura ed ha preso una decisione importante, quella di lasciare Madrid per trasferirsi assieme a Lorenzo, il suo nuovo compagno, in Portogallo. Ella nasconde qualcosa di importante, c’è un pezzo enorme della sua vita messo a tacere, Lorenzo lo avverte ma rispetta i suoi silenzi.
Julieta, infatti, ha una figlia, Antìa, la cui esistenza ha tenuto nascosta a tanti, ormai grande, che non vede da dodici anni, da quando durante una vacanza maturò l’idea di compiere un percorso di vita lontano dalla madre e da Madrid (misticismo? Fuggire da un amore difficile? Sensi di colpa per la morte del padre avvenuta mentre lei era in gita scolastica?) e non fece più ritorno a casa. Per tre anni Julieta ha perfino comprato una torta nel giorno del suo compleanno ma della figlia solo bigliettini di auguri prestampati senza l’indicazione di uno straccio di mittente e di indirizzo. Ma un giorno il caso fa incontrare Julieta con Beatriz, la migliore amica di Antìa, che sostiene di averla incontrata in Italia coi suoi tre figlioletti.
Julieta, che sia pur con difficoltà aveva messo a tacere le velleità di riabbracciare la figlia, scossa dalla rivelazione ricevuta, cambia idea, non parte più per il Portogallo, lascia il compagno e prende casa nello stesso palazzo ove aveva vissuto i tempi belli con Antìa. Da qui inizia a scrivere la sua e la loro storia in un lungo flashback che la conduce dall’iniziale incontro in treno con l’uomo che diverrà il padre di Antìa, poi morto in mezzo al mare in tempesta durante una battuta di pesca, fino ai saluti che precedettero la partenza di Antìa per una vacanza, figlia che non ha più rivisto.
Il rosso, come spesso accade nei lavori di Almodòvar, è il colore dominante del film che si apre con lo schermo riempito di un drappo rosso che sembra respirare, drappo rosso che poi vedremo addosso alla Julieta cinquantenne, così come rossa è una torta di compleanno, candeline annesse e come certi vini rossi che presentano evidenti tannini ma che non sono astringenti anzi sono eleganti e vellutati sia pur presenti allo stesso modo il film è sì intriso di drammaticità (si fanno i conti con depressioni, morte, dolore, ospedali, rancori, gelosie, solitudini e sensi di colpa) ma che non è mai invasiva, non conduce alla lacrima facile, anzi in alcuni frangenti ha le sembianze di un thriller i cui tasselli si mettono a posto man mano che le rivelazioni dei personaggi si susseguono.
Un Almodòvar oseremmo dire più maturo: meno leggerezze e trasgressioni, più contatto con la realtà con un messaggio molto chiaro che emerge dal finale del film: “non puoi capire cosa vuol dire essere madre, finché non lo diventerai anche tu…”
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