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Ius scholae e la didattica dei miracoli

Lo Ius scholae è una delle questioni che si presta al teatrino di fine estate. Si discute se dare la cittadinanza agli alunni figli di stranieri che abbiano frequentato 5 o 10 anni di scuola...

di Salvatore A. Bravo - sabato 31 agosto 2024 - 516 letture

Vi sono questioni politiche montate ad arte al fine di celare la verità ormai evidente che destra e sinistra sono sovrapponibili. Le divisioni fra destra e sinistra per lo ius scholae sono un ottimo paravento per nascondere l’impotenza della politica. Il monopartito unico asservito alle logiche delle oligarchie europee non ha potere decisionale alcuno. L’Italia è sempre stata dal 1945 una semicolonia a sovranità limitata statunitense-Nato, ora non è più una semicolonia è una colonia senza sovranità a guida Nato-Stati Uniti-Europa. Non a caso, le nuove generazioni sono formate all’anglo-italiano, sono cittadini di una patria che non c’è.

La patria è lingua, l’incuria della lingua nazionale svela “tutta la verità” sulla condizione di colonia in cui siamo. In questo clima storico, dunque, i professionisti della politica devono mantenere salda l’illusione che vi sia una destra e una sinistra e che le elezioni siano il fondamento della democrazia, in cui si “sceglie” lo schieramento politico che deve governare.

Lo Ius scholae è una delle questioni che si presta al teatrino di fine estate. Si discute se dare la cittadinanza agli alunni figli di stranieri che abbiano frequentato 5 o 10 anni di scuola. Ora inutile dire che anche senza cittadinanza i diritti ai minori sono assicurati, come è giusto che sia, ma vi è anche la legge 92 del 1991 che norma il diritto alla cittadinanza. Il teatrino è interessante, in quanto coloro che si battono il petto e propongono la cittadinanza dopo 5-10 anni di scuola, tempo che, secondo loro, è sufficiente per acquisire l’identità culturale e civile italiana, dimostrano di non conoscere la scuola pubblica italiana gestita in modo aziendalistico con risorse per le sole tecnologie, come piace ai mercati, e mai per la formazione umana.

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ius scholae

Prima di tutto non esiste il “migrante”, questa è un’astrazione utilizzata da coloro che vivono in un bozzolo di privilegi derealizzanti. Ogni migrante è una biografia, è portatore di una storia specifica e di peculiari difficoltà nell’acquisire la lingua italiana: un afgano non è paragonabile a un nigeriano. Le persone non sono contenitori vuoti in versare informazioni e contenuti. La scuola italiana è oberata da una miriade di problematiche e si regge su una classe docente che con poche risorse deve già somministrare la “didattica dei miracoli”. Essa non è attualmente nelle condizioni di rispondere ai bisogni dei singoli alunni stranieri che non sono, ripeto, entità generiche ma singole persone con una storia personale spesso drammatica e dolorosa.

Naturalmente una scuola senza mezzi e asservita al mercato e che promuove tutti indistintamente, in quanto così vuole la scuola-azienda (nuovo dogma del totalitarismo anti-solidale) altrimenti si chiude per mancanza di iscritti, non riesce a formare buoni cittadini, a prescindere dall’origine, pur volendo. In ogni classe sono presenti alunni BES, alunni PDP e, a volte, alunni con il docente di sostegno. In generale la programmata distruzione della comunità in nome dell’individualismo più sfrenato ha prodotto un numero notevole di alunni con disagio sociale e psichico.

La solitudine nella società di mercato è la causa principale del disastro antropologico. In sintesi nelle classi vi è un disagio ufficiale., a cui bisogna aggiungere il disagio non ufficiale. Le classi sono sovraffollate di alunni e problemi con docenti precari. Non c’è continuità didattica, la quale è fondamentale per la progettualità didattica. Da tutto questo brodo di deficit non può venir molto, malgrado i docenti facciano l’impossibile e siano sotto l’assedio dei genitori-alunni ormai clienti da accontentare. Lanciare riforme con annesse polemiche senza valutare le condizioni reali e materiali” non può che essere espressione della “Versailles” che ci governa.

Gli alunni di origine italiana hanno seri problemi con la lingua italiana e con la comprensione di testi argomentativi di media difficoltà anche nei licei. Si possono avere seri dubbi sulla possibilità di formare in questa cornice cittadini italiani di origine straniera, se naturalmente si associa alla parola “cittadinanza” profondità etica e culturale.

Lo scopo dello Ius scholae, forse, è di sollecitare con l’acquisizione più facile, e dunque anticipata della cittadinanza, l’arrivo di migranti per compensare il declino demografico. Anche in questo caso la logica è sempre uguale ottenere i numeri che consentono al sistema di riprodursi senza investimenti politici di nessun genere. La legge del 1991 può essere abrogata o riformata, ma se non ci sono massicci investimenti per favorire l’integrazione nel rispetto delle culture di appartenenza, ancora una volta assisteremo alla produzione in serie di certificati che attestano la cittadinanza a cui non corrisponde che burocratica formalità.

La verità è ormai sostituita dalla formalità senza contenuti. Il problema della cittadinanza sostanziale dovrebbe coinvolgerei n modo diverso e con una seria progettualità tutti gli alunni delle scuole italiane, giacché il primo elemento non contrattabile per sentirsi attivamente parte della patria è lo strumento linguistico, in questi anni la lingua italiana è stata la cenerentola, poiché la priorità è stata data alla lingua inglese in un mondo multipolare…pertanto sarebbe interessante, se si interpellassero i docenti per capire la fattibilità del progetto e le sue criticità. La politica degli alti scranni che formula proposte senza valutare la fattibilità del progetto dovrebbe dialogare con gli operatori e con i migranti.

La verità delle politiche finanziarie attate e i suoi effetti nelle istituzioni dovrebbe essere conosciuta dai parlamentari, ma sembra che essi confrontino con una dimensione altra rispetto a quella dei “comuni cittadini”. Il vero problema non colto dai rappresentanti politici è che non pochi italiani o stranieri, ormai, non si sentono parte della comunità italiana, perché non ci si sente sudditi del mercato.


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