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Iraq: verso la spartizione

Washington ha già chiarito che il suo esercito resterà almeno fino al 2007. E avrà tutto l’agio per accendere le rivalità religiose irachene. Anzi, il processo è già cominciato...

di Simone Olla - giovedì 10 febbraio 2005 - 4431 letture

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Febbraio 1982. Oded Yinon, giornalista israeliano (ed ex agente del ministero degli esteri di Tel Aviv) scrive sulla rivista dell’Organizzazione Sionista Mondiale Kivunim ("Direttive") un articolo cruciale: "Strategia per Israele negli anni ’80". Tale strategia consisterà, profetizza Yinon, nello smembrare gli stati islamici circostanti secondo linee etnico-religiose, in modo da ridurli ad entità più piccole e innocue per Israele. E indica l’Irak come il primo candidato all’atomizzazione. "In Irak la divisione secondo linee etnico-religiose […] è possibile. Tre o più stati esisteranno attorno alle tre città maggiori, Bassora, Baghdad e Mossul, e le aree sciite nel sud separeranno sunniti e curdi al nord".

E’ questo il programma che l’occupazione americana persegue, nonostante (anzi a causa) delle elezioni irachene, e benché la parte vincitrice, gli sciiti, proclami di voler coinvolgere i sunniti nella futura sistemazione dell’Irak, su base nazionale e unitaria. Nessuno sarà tanto ingenuo da credere che i neocon lascino decidere il loro destino agli iracheni. O che la Casa Bianca rinunci al suo sogno, la fondazione di 16 basi militari sul più vasto campo petrolifero del pianeta dopo quello saudita.

"Un Irak sovrano e indipendente", ha scritto Noam Chomsky (1), inevitabilmente "tenderà a riprendere il suo posto naturale come potenza regionale, forse la potenza regionale, nel mondo arabo". Inevitabilmente, uno stato iracheno - anche sciita e democratico - "dovrà confrontarsi con il nemico regionale. E il nemico regionale è Israele". Da cui l’inevitabile riarmo dell’Irak, democratico o no; un riarmo che l’introito petrolifero renderebbe agevole e rapido. Ovviamente, "è impensabile che Washington lasci accadere tutto questo".

Infatti Washington ha già chiarito che il suo esercito resterà almeno fino al 2007. E avrà tutto l’agio per accendere le rivalità religiose irachene. Anzi, il processo è già cominciato. L’Alleanza Irachena Unita (AIU) la lista sciita benedetta da Al-Sistani che ha vinto le elezioni, ha rinunciato ufficialmente a chiedere un calendario preciso per il ritiro degli americani. Agli occhi dei sunniti, ciò è apparso come l’ammissione sciita di volersi far proteggere dagli americani.

E a torto o a ragione, la percezione di una complicità fra sciiti e americani rischia di erodere la legittimità dei primi. Il metro di giudizio su cui gli iracheni misurano i leader è il loro tasso di complicità con l’occupante: già Allawi ha ricevuto una grossa delusione elettorale proprio perché è visto come "il servo di Bush". E nella coalizione sciita, la componente di Muqtada Al-Sadr sarà lesta a denunciare ogni sospetta collusione con gli americani della fazione "moderata" di Al Sistani. "Obbediremo al nuovo governo", ha detto il portavoce del gruppo, "se servirà ai veri interessi degli iracheni. Se no. Saremo i suoi irriducibili nemici" (2). A complicare la situazione in casa sciita è che il numero uno della lista dell’AIU, Abdul Azizi al-Hakim, è stato per vent’anni il comandante delle Brigate Badr. Queste Brigate Badr erano addestrate e armate dal regime di Teheran per combattere gli iracheni nella lunga guerra contro l’Iran, e non c’è iracheno di sentimenti nazionali che non le consideri un fascio di traditori. Ora riciclatesi come partito (Organizzazione Badr), possono diventare un innesco di odii imprevedibili, se vengono usate dagli sciiti per combattere la resistenza sunnita.

Quanto a questa, certo l’insorgenza dei sunniti ha subíto, con le votazioni a cui si è opposta, un duro colpo alla propria legittimità. Almeno dal punto di vista propagandistico. Ma alla lunga, e tanto più quanto durerà l’occupazione Usa, la resistenza non farà che riapparire sempre più legittimata e giustificata.

L’anti-americanismo dei sunniti è limpido, privo delle ombre e dei sospetti che possono aleggiare sugli sciiti, e che squalificano i curdi (i quali cercano solo la secessione sotto la protezione delle baionette Usa); vivono in Irak centinaia di migliaia di funzionari del regime baathista oggi senza lavoro; l’aggravarsi della situazione economica (oggi a Baghdad mancano il kerosene e l’elettricità) crea di continuo nuovi malcontenti, per i quali l’insorgenza sunnita, laica o religiosa, sarà un naturale centro d’attrazione.

Già oggi la propaganda sunnita sottolinea che gli americani hanno usato milizie sciite contro i resistenti di Falluja, e i peshmerga curdi, miliziani collaborazionisti, contro gli arabi a Mossul; e ventila il paventato ritorno delle detestate Brigate Badr. I comandi Usa si ostinano a valutare le forze degli insorti in 7-20 mila uomini. Secondo il capo dei servizi segreti iracheno del governo Allawi, sarebbero 200 mila. Ora gli americani stanno addestrando truppe sciite (il "nuovo" esercito dell’Irak "liberato") da gettare contro i sunniti: il numero e la legittimità di questi rischia dunque di aumentare, e loro rischiano di essere il solo gruppo a volere l’Irak integro e unito.

Perché ci sono tutte le condizioni per una sanguinosa balkanizzazione; ciò che Israele vuole, e che la Casa Bianca obbediente cercherà di ottenere. L’Irak diviso in tre parti, con i campi petroliferi controllati dalla Halliburton, e le zone povere e desertiche abbandonate ai signori della guerra locali.

Note

1)Noam Chomsky. "The future of Irak and the US occupation", Counterpunch, 3 febbraio 2005.

2)Pepe Escobar, "Why the US will not leave Irak", Asia Times, 1 febbraio 2005.

Maurizio Blondet

www.effedieffe.com


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> Iraq: verso la spartizione
10 febbraio 2005, di : gio.sor

Condivido l’analisi fatta circa la strategia di occupazione USA in Iraq: gli USA, contrariamnete a molti giudizi, non sono privi di un obiettivo post bellico in Iraq; L’analisi dell’articolista si adatta perfettamente alle necessita USA e dell’Occidente e all’andamento dei fatti a tutt’oggi. Il pericolo ISLAM per tutto l’occidente ha solo quella soluzione: la meno dolorosa per tutti. La condivido.