Io, in questo posto, non sono un turista
Un racconto, un immersione nell’Urbino di dieci anni fa, una città che adesso non c’è più...
Fugacemente terminiamo di gusto. Porto il vassoio mentre saluto e ringrazio le signore. Tento di posarlo nel carrello, mi cade. Gran fragore. Applauso di mensa. Non troppo potente. Raccolgo, chiedo scusa, poggio il vassoio, lo assicuro al carrello, saluto ancora. Scendiamo, risaliamo piegandoci le caviglie sulle Piola S. Filippo. Di nuovo il sole in faccia, sudo.
Amlo mi precede, ci dirigiamo al circolo per un caffè. Seguo lui e penso che dopo voglio andare a casa; che “stasera brodino”; che ho sto pensiero che m’assilla. A Casa avrò modo di capire. Perché la verità vince ed è universale e io so che sto per afferrare l’inafferrabile di pugno; il tempo voglio mettere a misura, a presa piena, in piena disponibilità.
Entriamo, subito li, qualcuno parla di Toto, distoglie lo sguardo dal videogioco: “Ieri al Club Toto è venuto con la sciarpa pitonata, tutto truccato” e sogghignando mentre spinge il pulsantino fragorosamente aggiunge. “…quello da quando va al Coco si sta infrocendo”.
Io fuggo verso il bancone. E poi ieri sera ho provato quella brutta sensazione da straniero in vacanza. Mentre rimugino mi sale l’olezzo della serata, “mistosudoreimprofumatoalcolizzato”, mi sale la scorza di limone e il sale della Tequila in offerta. Le offerte del Club ’83, 3 x 2 a diecimila lire a bevuta, che risparmio. Il Club 83 era aperto ogni sera da anni. Aveva preso il posto, mi dicevano, del Fantasio. Si sviluppava, sottoterra. L’ingresso lo aveva da un portoncino, anonimo, di fronte all’attuale Morgana. Dopo la discesa, ad angolo, superato il guardaroba con la signorina dietro le sbarre, 4 tunnel, tre sale da ballo e una per il bar. Arcate a mattoncini anneriti e consunti, antiche cantine del centro. Un posto dove vai quando non sai che fare. Per alcuni un piccolo paradiso rubato al sottosuolo come l’inferno. Una discotechina per studenti, e non studenti. La risposta urbinate alla tendenza della Riviera. Divanetti, palle specchiate sulla pista, due consolle. Dj locali.
Cocktail in offerta, solita gente, solite sbornie. Il Club ’83 sembrava una balerina di un villaggio vacanza, dove ti senti sempre turista. Ma oggi ho un pensiero che mi assilla. Arrivo al bancone del cir colo. Mi sento a casa, vedere la Maria dietro il bancone è come trovare un italiano in Alaska.
Saluto la Maria che ricambia affettuosamente e dice: caffè? Mi basta il suo sguardo, dritto negli occhi, per afferrare di pugno quel pensiero che da ieri mi assilla e scappa come una anguilla sfugge alla padella. Di getto sentenzio ad alta voce: “In questa città siamo profughi o turisti, a seconda dei soldi che possiamo spendere. La gente ci sorride perché sa che siamo di passaggio. Questa Città sembra una sala d’attesa di una stazione senza treno.
Il nostro pensiero non è importante qui, Maria”. Piccola pausa, guardo fuori, prendo fiato e aggiungo solenne: “Ho riflettuto Maria - io qui non sono di passaggio”. Altro sospiro e chiudo il monologo così: “anche quando me ne andrò saprò di non essere mai stato solo di passaggio in questo posto”. La Maria ha davanti a se una pila di tazze, con una mano porge il mazzo di carte a un ragazzo, con l’altra serve un caffè al mio vicino, senza alzare lo sguardo dal lavandino in piena attività mi risponde: “Ha fatto le ore piccole ieri, Signor turista?”.
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