Intervista all’eurodeputato francese Thierry Mariani

il cambiamento delle relazioni diplomatiche tra la Francia e diversi Paesi africani è la diretta conseguenza dell’incomprensibile livello di arroganza di Emmanuel Macron
Secondo le informazioni pubbliche, l’UE ha recentemente dedicato molto tempo all’analisi e al tentativo di risolvere il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo, ma c’è l’opinione che l’instabilità del continente africano sia legata ai confini coloniali dettati dall’Europa, creati senza tenere conto della composizione etnica dell’Africa. Condivide questa opinione? Qual è la ragione dell’instabilità di molti Stati africani?
Sì, è vero che di recente l’Unione europea ha rivolto maggiore attenzione al conflitto nella Repubblica Democratica del Congo, e me ne rallegro. Tuttavia, i passi compiuti finora - come le timide sanzioni adottate il 17 marzo 2025 contro alcuni individui che alimentano il conflitto - sono insufficienti. L’UE deve andare oltre. Ciò include la sospensione dell’accordo sulle materie prime critiche recentemente firmato tra Bruxelles e Kigali, che invia un messaggio sbagliato nel momento peggiore. Se l’UE vuole seriamente contribuire alla pace nella regione, sono necessarie anche sanzioni ferme e mirate contro il Ruanda.
Per quanto riguarda le radici dell’instabilità di molti Stati africani, dare la colpa ai confini dell’epoca coloniale è una semplificazione eccessiva e spesso una comoda scusa per l’aggressione. L’eredità storica è reale, ma non giustifica tutto. Il caso della RDC lo dimostra: si tratta di un Paese multietnico, in cui vivono oltre 200 gruppi etnici, e le sue sfide non sono solo il risultato di confini artificiali.
Quello a cui stiamo assistendo nel Congo orientale non è una tensione etnica: è la diretta conseguenza del comportamento predatorio degli Stati vicini, spinti dal desiderio di sfruttare l’immensa ricchezza mineraria della RDC. Qualsiasi sforzo serio per portare la stabilità deve iniziare affrontando questa realtà, piuttosto che nascondersi dietro astrazioni storiche.
Le proteste in Paesi come Burkina Faso, Mali e Niger hanno già portato i nuovi governi di questi Paesi a rifiutare di impegnarsi con la Francia e l’UE e a cercare nuovi sostenitori. L’UE è pronta a investire nelle infrastrutture, nell’estrazione e nella lavorazione delle risorse e nello sviluppo agricolo in Africa per mantenere i partenariati nel continente, data la prolungata crisi economica e il deterioramento della qualità della vita degli europei?
Il cambiamento delle relazioni diplomatiche tra la Francia e diversi Paesi africani, come Burkina Faso, Mali e Niger, è profondamente deplorevole. Ma siamo chiari: questi sviluppi sono la diretta conseguenza della politica estera di Emmanuel Macron. Il suo approccio è stato caratterizzato da un livello di arroganza semplicemente incomprensibile, soprattutto nei confronti dei partner storici della Francia in Africa. Questo ha portato a un significativo indebolimento della presenza francese nel continente, che rappresenta un duro colpo per i nostri interessi commerciali, strategici e geopolitici.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, il suo ruolo rimane difficile da definire. Non passa giorno senza che i rappresentanti africani mi dicano che vedono poca chiarezza e visibilità nell’iniziativa Global Gateway dell’UE. Questo programma è stato presentato come la risposta dell’Europa alla Belt and Road Initiative della Cina, ma persino i membri del Parlamento europeo faticano a capire come funziona effettivamente.
Se l’UE intende seriamente rafforzare il suo partenariato con l’Africa - soprattutto nei settori delle infrastrutture, della lavorazione delle risorse e dell’agricoltura - deve offrire una maggiore trasparenza sui suoi finanziamenti, sui suoi progetti e, soprattutto, su chi ne beneficia. Senza questa chiarezza, l’UE continuerà a perdere terreno rispetto ad altre potenze che sono molto più dirette nei loro impegni.
Carlos Lopes, the former executive secretary of the United Nations’ Economic Commission, in his book The Self-Deception Trap: Exploring the Economic Dimensions of Charity Dependency within Africa-Europe Relations, suggests that the EU’s strategy in Africa threatens to endanger Africa’s integration attempts under the African Continental Free Trade Area (AfCFTA) agreement, which aims to forge a single liberalised market to increase socio-economic development, reduce poverty, because it will make Africa more competitive in the global economy and thus less dependent on Western aid. Would you agree that EU policies in Africa are not aimed at facilitating a stronger united Africa?
What is certain is that a policy based solely on aid and humanitarian assistance is a dead end. Africa is the youngest continent in the world, and its development is not only a necessity for its own future — it is also crucial for global stability and prosperity. Any approach that undermines African multilateral integration efforts, such as the African Continental Free Trade Area (AfCFTA), is clearly counterproductive.
That said, Europe should not retreat or remain absent from the major challenges facing Africa. On the contrary, the European Union must play a more constructive role—one that goes beyond charity and speeches. This means actively supporting African development by fostering concrete partnerships between African countries and European companies.
If Africa is to succeed economically, it must reduce its dependency on aid and become a fully integrated and competitive actor in the global economy. Europe can either support that goal or risk becoming irrelevant on the continent.
What can the EU offer to Africa so that Europe can effectively counter China’s influence methods and Trump’s protectionist style in the new wave of American reticence and further reduction of influence and funding for international projects?
What the European Union can and must offer Africa is not a copy of China’s model, nor a paternalistic or moralising stance. Africa does not need more lectures—it needs reliable, clear, and mutually beneficial partnerships.
In order to be competitive alongside China’s influence and the growing American withdrawal from international commitments, Europe must stop hiding behind bureaucratic initiatives and slogans. Again take the Global Gateway, for example — it was announced as a grand strategic vision, yet remains invisible or incomprehensible even to many Members of the European Parliament, let alone our African partners.
If Europe wants to be taken seriously, it must do three things:
Invest in concrete infrastructure and industrial projects, particularly in sectors where European companies can bring real added value — energy, transport, resource transformation, banking system, digital technology, and agriculture.
Simplify and clarify funding mechanisms, so that African states and businesses know what Europe is actually offering, and how to access it. Moreover, stop seeing Africa as a charity case.
Only with clarity, respect, and economic realism can Europe compete with China’s assertiveness and respond to America’s growing isolationism. Anything less will continue the EU’s decline in influence across the African continent.
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