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Ridotta la sospensione a Feltri

La vicenda paradossale di un giornalista fortunato. Solidarietà pelosa e ruolo dell’Ordine dei Giornalisti. Si può distruggere una persona e non pagare mai grazie ai cinque gradi di giudizio

di Adriano Todaro - mercoledì 17 novembre 2010 - 2910 letture

L’Ordine nazionale dei Giornalisti ha ridotto da sei a tre mesi, la sospensione inflitta dall’Ordine di Milano a Vittorio Feltri per il caso Boffo. Il consiglio, guidato da Enzo Iacopino, a maggioranza moderata, si è spaccato nettamente su Feltri: 66 voti per confermare i sei mesi di sospensione proposti dall’Ordine di Milano e 66 per la riduzione della sanzione. Come da regolamento, ha prevalso la soluzione più favorevole.

Queste sono le righe che apparivano nei comunicati delle agenzie di stampa sulla condanna di Vittorio Feltri, direttore editoriale de il Giornale. Una vicenda, quella di Feltri, abbastanza ingarbugliata che è meglio percorrere per punti.

Agosto 2009 – Il caso “scoppia” quando il Giornale dedica l’intera prima pagina a un “incidente sessuale” che vede per protagonista l’allora direttore dell’Avvenire, il quotidiano della Cei (Conferenza episcopale italiana), Dino Boffo. Cosa era avvenuto? Era avvenuto che il quotidiano cattolico da un po’ di tempo pubblicava articoli critici sulla “condotta morale” del presidente del Consiglio Berlusconi. Eravamo nel periodo delle rivelazioni di Patrizia D’Addario e così Feltri decide di attaccare il direttore Boffo con un tarocco mediatico che ha fatto scuola. Boffo, in pratica viene accusato di essere gay, quindi, di non poter avere tutte le carte in regola per criticare il presidente del Consiglio in quanto era stato lui stesso condannato per molestie sessuali.

Il 28 agosto 2009, Feltri scriveva: “Non lo affermiamo noi in base a chiacchiere raccolte in portineria… Il Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni, destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo aveva una relazione omosessuale”. Le fonti? Il tribunale di Terni e una “velina” anonima dove Boffo veniva indicato come “noto omosessuale già attenzionato dalla polizia di Stato”. La verifica delle fonti? Scherziamo! Queste sono cose da scuola di giornalismo, non di un “grande” giornalista come Vittorio Feltri.

Dicembre 2009 – Il 4 dicembre Feltri fa il classico salto della quaglia. Si scusa con Boffo e scrive che esso è: “giornalista prestigioso e apprezzato”, il quale ha tenuto “atteggiamento sobrio e dignitoso che non può che suscitare ammirazione… la ricostruzione dei fatti descritti nella nota, oggi posso dire, non corrisponde al contenuto degli atti processuali… Dino Boffo non risulta implicato in vicende omosessuali, tanto meno si parla di omosessuale attenzionato”. Solo due giorni prima, però, il 2 dicembre, Feltri così attaccava: “Però il molestatore (Boffo-Ndr) per favore, la smetta di negare e di strillare che il Giornale si è costruito in casa un dossier bugiardo. Finora qui di bugiardo c’è solo lui”.

Marzo 2010 – Dopo l’attacco giornalistico contro Boffo, la Società Pannunzio di Milano presenta un esposto all’Ordine dei Giornalisti di Milano contro Feltri perché ha diffamato una persona, ma soprattutto ha leso il diritto dei lettori a non essere turlupinati con un’affermazione falsa considerato che il dossier era tutto inventato, un vero killeraggio mediatico. Il 25 marzo l’Ordine di Milano discute e decide, a maggioranza, di sospendere Feltri dalla professione per 6 mesi. Scrive l’Ordine: “Feltri ha agito senza il necessario scrupolo richiesto dal dovere di verifica riguardo una notizia tanto delicata”. Il direttore e i giornalisti de il Giornalenon hanno verificato chiedendo formalmente di poter vedere gli atti del tribunale, né si sono preoccupati di sentire la parte indubbiamente chiamata in causa”. Ma l’Ordine lo bacchetta anche per il “pentimento” perché l’ha fatto “senza dare alla propria smentita quell’adeguato risalto che tutto il clamore registrato nei mesi precedenti avrebbe richiesto”.

I precedenti – In più, Feltri è aggravato di altri 2 mesi per la questione che riguarda Renato Farina alias “Betulla”, lo spione retribuito dai Servizi per depistare alcune vicende. Oggi senatore del Pdl, Farina è stato rinviato a giudizio per l’inchiesta sul rapimento dell’ex Imam di Milano, Abu Omar. Il 16 febbraio 2007 si è dichiarato colpevole e ha patteggiato la pena di sei mesi di reclusione commutata, poi, in 6.800 euro di multa. L’Ordine dei Giornalisti radia Farina e quindi questi non può far più parte, organicamente, della redazione. Una misura, quella nei confronti di “Betulla” che viene vanificata dal fatto che Feltri lo utilizza non solo come commentatore, ma come inviato e, come scrive la Società Pannunzio, “da resocontista nei convegni”. Quindi ai 6 mesi di sospensione, è necessario aggiungerne altri 2. Ma l’Ordine lombardo fa uno sconto: Feltri è sospeso per 6 mesi mentre è assolto per un altro esposto che riguardava un articolo del settembre 2009 in cui Feltri minaccia la pubblicazione di un “dossier a luci rosse riguardante personaggi di Alleanza Nazionale”. Ricordo che Renato Farina, lo spione “Betulla” che prendeva soldi dai Servizi, aveva fatto alcune “inchieste” sulle volontarie Simona Pari e Simona Torretta da lui definite “Vispe Terese”, sul rapimento di Giuliana Sgrena dipinta come fiancheggiatrice dei tagliagole iracheni, rapita, scrive, “dai suoi amici terroristi” e sul rapimento di Enzo Baldoni da lui definito un “pirlacchione”.

La sentenza romana – Come suo diritto, Feltri ricorre all’Ordine nazionale contro la sospensione. Per discutere, la commissione ricorsi dell’Ordine si riunisce il 23 settembre. Il 24, poche ore dopo la riunione, Feltri passa il testimone da direttore ad Antonio Sallusti anche lui sotto procedimento dell’Ordine lombardo sempre per la questione Farina. L’Ordine decide il rinvio per il 10 novembre. Sentenza: tre mesi di sospensione senza stipendio. Se si dovesse appurare che anche la campagna contro Fini è sorta per motivi infondati, Feltri dovrebbe (o potrebbe) essere radiato dall’Albo.

Un giornalista fortunato – Mentre piccole testate e giornalisti pagati pochissimo, sono subissati da richieste milionarie per aver scritto contro le malefatte di questo o quel potente, Vittorio Feltri se la cava sempre. Il 29 settembre 2009, Feltri pubblica su Libero, che in quel momento dirige, otto fotografie ricavate da un sito di pedofili russi con scene di violenza su bambini che l’Ordine ritiene contrarie al buon costume perché illustrano “particolari raccapriccianti e impressionanti”. L’Ordine si esprime per la radiazione dall’Albo. Le carte vanno sia al Tribunale di Monza competente per territorio e sia all’Ordine nazionale. Quest’ultimo, a maggioranza, trasforma la radiazione in censura. Libero esce con “Feltri assolto”. E’ un’altra balla: in Tribunale Feltri aveva patteggiato una pena di due mesi di reclusione, trasformati in pena pecuniaria.

Solidarietà – A Feltri, nei giorni precedenti la sentenza dell’Ordine nazionale, sono arrivati numerosi messaggi di solidarietà. Un’ottantina di parlamentari hanno descritto Feltri come il campione della libertà di stampa. Nessuno però ha dichiarato che l’articolo di Feltri era falso e che quello che aveva scritto non era suffragato da nessuna prova certa. Per Vittoria Brambilla se l’Ordine confermasse i 6 mesi di sospensione “si porrebbe un gravissimo problema con la forza esclusione dal dibattito quotidiano di una voce libera e di un giornalista di razza”. Chissà se alla signora Brambilla gli scappava da ridere nel pronunciare queste frasi. Anche perché il Giornale del suo principale, continuerà ad uscire. Per l‘immarcescibile Capezzone, la sinistra dovrebbe difendere Feltri considerato che in Italia vale il principio dei due pesi e delle due misure: “Chi è sospettabile di vicinanza politica, culturale, civile, al centrodestra berlusconiano è per ciò stesso un bersaglio”. Ivana Beccalossi, invece, va sul concreto: “Chi ha deciso di farlo diventare un ‘disoccupato per 3 mesi’ ha calpestato la dignità e l’opinione di migliaia di cittadini che, come me, continueranno comunque ad acquistare il Giornale apprezzando la linea editoriale di un maestro del giornalismo quale Vittorio Feltri”. Le altre dichiarazioni ve le risparmio.

Il ruolo dell’Ordine – La sentenza prevede, come detto, la sospensione dello stipendio e il divieto di firmare il quotidiano come responsabile. Quindi per Feltri nessun problema considerato che non è più direttore responsabile ma editoriale, figura ibrida, non obbligatoria per la legge e che ha, o dovrebbe avere, il ruolo di seguire la fattura del giornale dal punto di vista dell’editore. Penso sia importante discutere del ruolo dell’Ordine e se oggi è ancora attuale. Prima però, dobbiamo avere ben chiaro quali sono le sanzioni per i giornalisti se contravvengono alle varie Carte e alla deontologia professionale. L’ordine regionale può comminare quattro diverse sanzioni: 1) l’avvertimento che è un richiamo orale che non può essere impugnato presso il Consiglio nazionale, ma l’iscritto – se non lo condivide – può chiedere, entro 30 giorni, di essere sottoposto al vero e proprio procedimento disciplinare; 2) la censura è subita notificata, ma non produce conseguenze professionali; 3) la sospensione, inflitta quando “l’iscritto con la sua condotta abbia compromesso la dignità professionale”. Va per un tempo non inferiore a due mesi e non superiori ad un anno; 4) la radiazione comporta l’espulsione dell’iscritto dall’Albo e il divieto di esercitare l’attività e di usare il titolo di giornalista. Dopo cinque anni dall’allontanamento, l’Ordine può accettare un’eventuale reiscrizione in modo discrezionale.

Ma serve l’Ordine? L’Ordine esiste dal 31 dicembre 1925. Dopo la Liberazione si pensava di eliminare questo istituto e invece, dopo molte discussioni, si è deciso di mantenere l’Ordine confermato dal Parlamento il 3 febbraio 1963. E’ innegabile che senza questo istituto le cose potrebbero andare peggio. Le assunzioni, ad esempio, nei giornali li farebbero solo gli editori; risulterebbe abolita la deontologia professionale fissata dall’articolo 2 della legge professionale; non ci sarebbero più vincoli del segreto professionale sulla fonte delle notizie. Ci potrebbe essere, dunque, meno autonomia professionale. Detto questo, però, non si può negare che spesso l’Ordine ha protetto troppo quella che viene chiamata “la casta” dei giornalisti. Una sorta di appartenenza che per molti (vedi Feltri e compagnia) ha significato anche impunità. Se uno che scrive il falso, che distrugge una persona, alla fine è condannato solo a 3 mesi di sospensione, beh allora significa che c’è qualcosa che non va.

La falla sta tutta all’interno della funzione disciplinare dell’Ordine dei Giornalisti a cominciare dal numero elefantiaco del Consiglio nazionale oggi formato da ben 150 persone. In secondo luogo, dalla normativa che prevede cinque gradi di giudizio che debbono svolgersi in un tempo massimo di 7 anni e 6 mesi, pena la prescrizione. Relativamente veloce sono i giudizi del primo grado (Consiglio regionale) e secondo grado (Consiglio nazionale). Ma diventano lunghi quando s’invoca il Tribunale, la Corte d’Appello, la Cassazione. E così qualunque giornalista inquisito, continua a presentare ricorsi su ricorsi fin quando il giudizio che lo riguarda cade in prescrizione. Inoltre, sui procedimenti disciplinari aleggia sempre un giudizio politico.

Per andare avanti è necessario cambiare e cambiare profondamente. Sottrarre anche questo istituto dalle pastoie delle segreterie politiche, riformulare i contenuti, cambiare le regole per l’accesso alla professione considerati i nuovi mezzi di comunicazione perché in caso contrario i giornalisti saranno sempre più un corpo estraneo alla società. Come diceva Giuseppe Fava, il giornalista che non fa il proprio dovere porta sulle sue spalle tutti i guai del mondo. E non è fare il proprio dovere diffondere disinformazioni, ricostruzioni palesemente false e strumentali, costruire verità mediatiche che configgono con quella umana, deviare il corso delle inchieste. Non è un caso che esiste una crescente sfiducia del pubblico verso i giornali percepiti come superficiali, scorretti, in una parola, inaffidabili.

I giornalisti italiani hanno le loro responsabilità e debbono fare ammenda. Non possono continuare a fare come gli struzzi ed autoassolversi.


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