Incontro con Ferdinando Leonzio
L’autore di "Cento gocce di vita", Ferdinando Leonzio ci parla delle sue opere e della sua attività di storico.
In occasione dell’uscita del suo libro autobiografico, „Cento gocce di vita“, incontriamo Ferdinando Leonzio. L’autore, nato a Lentini il 2 gennaio 1939 è stato insegnante, politico a Lentini nelle file del PSI, ma soprattutto storico e scrittore. Le sue opere sono in via di ri-pubblicazione presso l’editore ZeroBook.
Sia nel tuo libro d’esordio (Una storia socialista) che soprattutto in questo ultimo (Cento gocce di vita), c’è una forte componente autobiografica. Cosa ti ha spinto a scriverli?
Coltivavo da tempo, specialmente dopo lo scioglimento del PSI (1994), l’idea di mettere per iscritto la storia della sezione del PSI di Lentini, in cui avevo militato dal 1957, ma l’idea mi spaventava: dove cercare i documenti necessari? Quante persone avrei dovuto disturbare? Come impostare gli indispensabili collegamenti con le vicende provinciali e con quelle nazionali?
L’impegno sarebbe stato notevole, ed io ero ancora in servizio... Ma anche quando andai in pensione non riuscivo a sbloccarmi, finché una mattina, ancora in dormiveglia, mi venne l’illuminazione. “Ma perché io devo scrivere di cose che non so? Partirò, invece, dalla mia vicenda personale, che conosco benissimo“. Tanto più che, quasi per un istinto storico primordiale, avevo conservato molti documenti. Lo stesso giorno cominciai a scrivere. Quando avevo un qualche vuoto di memoria, andavo a cercare la persona che di quel particolare o di quell’episodio ne sapeva più di me. Li conoscevo tutti i socialisti di Lentini, centinaia di persone; e mentre scrivevo, li vedevo sfilare davanti a me come in un sogno: Carlo Cicero, Gaetano Zarbano, Nino Giudice, Turi Sorbello, Delfo Pupillo, Mario Ferrauto, Sebastiano Centamore, Saro Ferrauto, Pippo Centamore, Santo Ragazzi, Delfo D’Anna, Alfio Mangiameli, Filippo Motta... Rivivevo i momenti belli e quelli brutti, le vittorie e le sconfitte. Mi resi subito conto che le mie vicende personali erano strettamente intrecciate con quelle collettive. E dunque mi documentai sulle vicende pubbliche locali e anche sui grandi fatti provinciali e nazionali. La documentazione era tuttavia prevalentemente basata sulle interviste.
Fu allora che imparai due cose: la prima era che, quando mi accingevo a intervistare qualcuno, dovevo prepararmi bene sull’argomento, in modo che da poter correggere involontari errori od omissioni degli intervistati; l’altra che, prima di riportare nel libro le informazioni acquisite con le interviste, erano indispensabili „controlli incrociati“, per evitare possibili grossolani strafalcioni. Mi aiutarono in molti, e fu un’esperienza esaltante. Ne venne fuori un libro, acerbo nella forma, vista la mia inesperienza di storico esordiente, ma denso di contenuti.La mia esperienza personale era ben inserita in quella collettiva della sezione e nel più ampio quadro provinciale e nazionale. Scelsi un titolo volutamente equivoco: Una storia socialista, una storia, cioè, che era quella mia personale, ma anche quella di un partito protagonista della storia cittadina, con puntate anche sugli altri partiti. Prefazione del poeta lentinese Pippo Cardello.
L’altro libro, Cento gocce di vita, il mio ultimo, lo scrissi soprattutto per fare un bilancio della mia vita, della mia esperienza, per trasmettere a chi verrà dopo di me i valori in cui ho creduto, nella speranza che i lettori potessero riconoscersi nella vicenda di un uomo comune. Lo impostai su due presupposti: raccontare le cose con verità, nella consapevolezza che la realtà, se la si sa leggere, può essere assai più affascinante della fantasia; scrivere non una cronologia di vicende personali, che sarebbe risultata dispersiva e probabilmente noiosa, ma per „gocce“, cioè per momenti o pensieri che potessero avere un valore universale. La copertina, realizzata appositamente dall’artista Carlo Maglitto, lentinese emigrato in Liguria, coglie in pieno questa scelta: le gocce raffigurate nel disegno assomigliano a gocce di acqua piovana, ma hanno la forma di omini, perché in realtà sono appunto... „gocce di vita“.
La tua produzione come storico può essere divisa secondo due filoni principali. La storia (politica) della tua città, Lentini, e la storia del socialismo. Entrambi questi filoni nascono dalla tua biografia, ma direi che seguono due metodiche storiografiche differenti, se non altro per la diversa tipologia di fonti con cui hai avuto a che fare. Per la storia di Lentini ti sei molto servito delle fonti orali, ad esempio. Come fa uno storico a "fare storia" contemporanea, che difficoltà specifiche si incontrano?
In realtà lo storico non dovrebbe spingersi a scrivere di fatti risalenti a meno di cinquant’anni prima dell’epoca in cui opera. Quando si azzarda ad avventurarsi in un territorio ancora conteso tra Storia e Cronaca, allora corre molti „pericoli“, come è capitato a me coi miei primi scritti, che spesso parlavano di persone viventi, nel cui animo non erano ancore spente le fiamme delle passioni che li avevano avviluppati un tempo. Queste persone, anche fra loro avversarie o addirittura nemiche, sono unite da una convinzione, salda ed indiscutibile: di aver cioè avuto sempre e comunque ragione, mentre i loro rivali erano stati sempre nel torto marcio. Ma se lo storico vuol scrivere un libro di storia, un minimo di obiettività lo deve mantenere. Altra cosa sarebbe stata se avessi voluto scrivere un pamphlet, genere letterario rispettabile ed anche divertente, ma diverso dalla storia. Ma agli „interessati“ queste „sottigliezze“ non interessano. Essi, appena hanno il libro in mano, corrono alla fatidica pagina in cui si parla della loro vicenda e, se non vi trovano peste e corna del loro antagonista, se la prendono con... l’autore. A me è capitato più volte. Vediamo, ad esempio, il caso di Alchimie. È questo un libretto che scrissi basandomi su appunti che avevo preso così, senza uno scopo preciso, e sulle raccolte di giornali locali che ancora conservo. Vi avevo inserito i consiglieri comunali eletti all’inizio di una legislatura, elencandoli in un apposito specchietto in base al partito di appartenenza. Alla fine del libretto, che corrispondeva alla fine della legislatura, avevo ripetuto lo specchietto con tutti i consiglieri nella loro nuova collocazione politica. Nel mezzo tutti i loro „passaggi“ e anche le contorsioni di partiti e movimenti (alchimie, appunto): uno spettacolo! Mi divertivo allora a fare questi esercizi: di un politico arrivai a contare ben 17 „passaggi“. Il libretto, venduto ad un prezzo bassissimo, non ebbe fortuna (ma nella Biblioteca Comunale c’è, come tutti gli altri miei libri). Il perché me lo disse „latino-latino“ uno dell’ambiente: „Nessun politico ha interesse a far circolare un libro, che potrebbe farlo accusare di incoerenza, considerando tutte le sue... evoluzioni che ci sono elencate.
Il mio primo libro partiva, più o meno, dal 1955, anno della mia adesione ideale al socialismo. Dopo averlo dato alle stampe, una vocina dall’interno mi disse: „Ma prima del 1955 com’era il socialismo di questa città? Come ebbe origine? Chi erano i suoi uomini?“. Mi rimisi al „lavoro“. Questa volta le interviste non potevano esserci per l’impossibilità oggettiva di rispondere dei protagonisti, tutti compattamente deceduti. Imparai allora a cercare i libri giusti al posto giusto e a fare le ricerche d’archivio, naturalmente (ma non solo) all’Archivio Storico Comunale, dove ebbi la fortuna di incappare in un’équipe eccezionale, capitanata dall’ottimo archivista Stefano Bombaci. Giorni passati fra polverosi registri scritti a mano, letture faticose con la lente d’ingrandimento, ma tante soddisfazioni ed anche tanti spunti per i miei futuri articoli di carattere storico. Ed anche qualche colpo di fortuna fuori dell’Archivio, come l’accesso ai documenti di Delfo Nigro, segretario del PCI clandestino di Lentini o le memorie del noto antifascista Natale Vella (documenti depositati in copia all’Istituto Gramsci di Palermo). Ne venne fuori anche qualche curiosità: come quella, ad esempio, che Mussolini era cittadino onorario di Lentini. La brillante prefazione di Vicende politiche- Lentini 1892-1956 porta la firma del mio fraterno amico e compagno di partito avvocato Pippo Centamore.
All’interno della tua produzione un posto importante è dato da Il culto e la memoria. Cosa ti ha spinto a scriverlo e quali sono le caratteristiche più importanti di quest’opera?
Piuttosto di „che cosa“ mi abbia spinto a scriverlo, è giusto dire „chi“. Perché ha un nome e un cognome: Saro Mangiameli, lentinese professore di Storia Contemporanea all’Università di Catania, che fu anche l’autore della dotta prefazione. Mangiameli aveva letto il libro Vicende politiche e si era soffermato sulle due pagine che parlavano dei protestanti di Lentini durante il fascismo, e delle vessazioni che il regime aveva inflitto alla loro chiesa. Dunque mi telefonò una sera, mi fece – bontà sua – i complimenti per il libro che aveva appena letto e mi propose di fare uno studio più completo e approfondito sulle chiese protestanti della nostra Città. Fui riluttante, anche se lusingato, ad accettare, perché sapevo molto poco di quelle realtà e intuivo che sarebbe stato un lavoro lungo e faticoso. Non mi sbagliavo. La prima botta l’ebbi quando appresi che le chiese in questione non erano le quattro-cinque che credevo, ma ben diciassette. Le frequentai tutte, per mesi. Imparai la loro storia e il loro culto, conobbi decine di persone che mi aiutarono con libri e con una montagna di giornali e di opuscoli, ormai rari.Credo sia la mia opera meglio riuscita, certo la più apprezzata. Ne ho tratto un enorme arricchimento umano e culturale, che mi servì anche per aiutare dei laureandi con tesi sull’argomento e per un’intervista su RAI 2. L’insegnamento principale che ne ho tratto è la consapevolezza del grande apporto culturale dei protestanti in una città come Lentini, in passato con altissime percentuali di analfabeti. Infatti il loro principio dell’interpretazione diretta della Bibbia, senza cioè l’intermediazione dei sacerdoti, comportava per gli aderenti, la capacità di leggere, per cui i pastori si prodigavano nell’insegnamento ai loro fedeli. I quali, una volta acquisita tale capacità liberatoria, non si limitavano a leggere i libri di chiesa, ma qualunque cosa, diventando così essi stessi veicolo di cultura nella Città.
Parlami delle altre tue opere.
Una delle più riuscite è Intervista a Enzo Nicotra, nata d’intesa con l’ex deputato nel corso di un incontro occasionale. Mentre realizzavo la lunghissima intervista, durata diversi giorni, mi resi conto che il comune lettore non avrebbe potuto afferrare l’intimo significato di certi riferimenti, senza conoscere la situazione del partito in cui aveva operato Nicotra, la DC. Decisi dunque di arricchire il libro con una storia della DC lentinese, dagli inizi, appena dopo la Liberazione, all’ultimo rappresentante ufficiale di quel partito a Lentini, prima dello scioglimento, Salvatore Martines. Al momento essa è l’unica ricostruzione storica esistente sull’argomento. Anche qui fonti scritte ed orali in abbondanza. Anche stavolta nell’ambiente della parte della DC ostile a Nicotra ci fu qualche mugugno, ma la presentazione del libro, organizzata dal Lions Club di Lentini ed alla quale intervenne mezza DC siciliana, a partire dall’ex presidente della Regione Santi Nicita, fu un vero trionfo. Voglio qui ribadire una cosa che allora apprezzai molto: l’onorevole Nicotra non solo non si sottrasse a nessuna delle mie domande, ma mi mise a totale disposizione il suo fornitissimo archivio, ricco di documenti e di fotografie. Io stesso gli consigliai di farne dono all’Istituto Luigi Sturzo.
Un altro lavoro mi è rimasto impresso. Proprio mentre stavo scrivendo la biografia di Filadelfo Castro, sindaco di Lentini prima del fascismo e dopo la fine della guerra, mi giunse una telefonata del noto storico ed archeologo lentinese Franco Valenti. Egli mi chiese, nella sua qualità di presidente pro-tempore del Kiwanis Club di Lentini di tenere una conferenza proprio su Castro. Accettai ben volentieri e il club fece stampare in libretto il mio saggio, per poi distribuirlo gratuitamente al pubblico della conferenza e ai soci. Credo che la conferenza, la mia prima, abbia avuto successo, tanto che poi fui chiamato da vari enti ed associazioni a tenerne altre su altri temi storici.
Lentini vota può considerarsi un manuale in cui sono elencati tutti i risultati elettorali di Lentini, dal 1946 fino all’uscita del libro (giugno 2006) e tutti gli assessori e i collegamenti storici fra una votazione e l’altra. Qui si presentò una difficoltà imprevista. Nel momento in cui l’Ufficio Elettorale del Comune si era trasferito, credo negli anni ’80, dalla vecchia sede di Piazza Duomo ai nuovi uffici di Palazzo Scammacca, il suo archivio, contenente i risultati elettorali precedenti, era stato portato, credo per ragioni di spazio, in un deposito comunale. Interessai più di un assessore alla cultura, ma i documenti rimasero lí, sepolti sotto una montagna di carte. Dovetti dunque spostare la ricerca verso i periodici dell’epoca e verso altre pubbliche istituzioni.
Il libro 13 storie leontine lo considero un errore mio. Nel senso che esso contiene „storie“ assai diverse una dall’altra, che avrebbero potuto dar luogo a 3-4 diversi libri. Comunque esso contiene contributi storici importanti, quali la storia completa della Destra a Lentini, nonché quella del PCI, le biografie di uomini politici come Nello Arena e Otello Marilli, nonché quella del filantropo ingegnere Manzitto, la storia dell’Unione Sportiva Leontina, durata ben cinquant’anni e quella del Liceo Classico. Sono perciò contento di aver consegnato alla Storia personaggi e vicende, che altrimenti sarebbero stati rapidamente e ingiustamente cancellati dalla memoria collettiva.
I libri successivi segnarono il mio passaggio dalla microstoria lentinese alla macrostoria. Socialismo – l’orgia delle scissioni, fu più che altro un esercizio di erudizione; Segretari e leader del socialismo italiano è una ricerca condotta nella sterminata bibliografia sulla storia del socialismo italiano, che contiene informazioni non dico inedite, ma certamente rare; Donne del socialismo rappresenta un doveroso omaggio al contributo che le donne hanno dato non solo all’emancipazione, non ancora ultimata, del loro genere, ma anche al riscatto dell’intera umanità. La ricerca partí dalle due che erano più note agli anziani di Lentini (i giovani ne sanno poco o niente): Maria Giudice e Bianca Bianchi, poi seguirono tante altre, italiane e non, ma tutte eroine dell’emancipazione dell’umanità.
La diaspora del socialismo italiano racconta la vicenda dei socialisti italiani successiva allo scioglimento del PSI, che ha avuto un’ottima accoglienza, forse perché vi è trattato per la prima volta tale argomento. Di questi libri sul socialismo mi preme sottolineare una cosa. È risaputo che sulla storia del socialismo italiano c’è una letteratura vastissima, per cui volersi cimentare in un’opera ripetitiva o addirittura plagiante sarebbe stato impresa non solo stupida, ma anche inutile: scendere sul terreno di storici del calibro di Corrado Barbagallo, Gaetano Arfé, Giuseppe Micciché, Giuseppe Tamburrano, Franco Catalano, Giorgio Galli, Antonio Landolfi, ecc. ecc. mi avrebbe reso semplicemente ridicolo. Io, come sempre del resto, ho preferito percorrere strade inesplorate, cioè argomenti mai trattati da altri. Che si tratti di buoni o cattivi libri non spetta a me dirlo, ma ai lettori (se ce ne sono); ma io mi sento di rivendicare un merito: delle cose di cui ho scritto io non si era mai occupato nessuno.
Per concludere dirò una parola su altri due miei lavori. Il primo è Breve storia della socialdemocrazia slovacca. È il primo, e credo finora unico, libro scritto da un non slovacco sull’argomento: una vicenda poco nota, ma meritevole di essere conosciuta, se si pensa che, nella precedente legislatura, quello slovacco era l’unico governo monocolore socialdemocratico in Europa. Questo lavoro è stato pubblicato anche a puntate sul giornale slovacco in lingua italiana Buongiorno Slovacchia e sulla rivista specializzata Slavia (2/2014). Per le edizioni ZeroBook è stato poi da me aggiornato fino al 2016.
Infine l’ultimo lavoro, figlio degenere di uno storico annoiato: La scommessa, una raccolta di novelle che io stesso ho definito eroticomiche. Mi trovavo in Slovacchia ed attraversavo un momento di stasi, non avendo a disposizione fonti scritte italiane, cui poter accedere per le mie ricerche; non potevo perciò soddisfare la mia voglia di scrivere, divenuta oramai il mio principale modo di comunicare. Bisognava quindi trovare qualcosa da scrivere senza bisogno di fonti che non fossero dentro me stesso. E vennero fuori sette novelle, una dopo l’altra, senza sforzo, lontane dal mio solito impegno culturale, tutte giocate sull’equivoco, sul doppio senso, in cui, come scrissi nell’introduzione, „quel poco di erotismo che c’è, è stemperato da un fresco venticello d’ironia“, con l’intento di strappare al lettore una risata o almeno un sorriso. Dapprima alcune novelle furono pubblicate da giornali locali e poi tutte e sette inserite in una raccolta, che era appunto una scommessa con me stesso, che con esse, mi ero cimentato in un insolito terreno. La migliore, a detta di molti, è quella intitolata Accadde all’ospedale.
Cento gocce di vita non è solo un libro biografico, ma un libro filosofico in un certo senso, un libro quasi ultimativo in cui affronti alcuni temi molto forti, come la morte, la vecchiaia, la sofferenza...
Sì, ma ci sono anche argomenti più leggeri come Sexisocialismo o La saggezza nel vespasiano. Non è una biografia vera e propria, il racconto di una vita. Direi piuttosto che è il tentativo di comunicare agli altri, attraverso la forma autobiografica, il succo della mia esistenza e anche quello di suscitare confronti, riflessioni… in fondo è un guardarmi allo specchio, un offrirmi agli altri, nella speranza che ci trovino qualcosa di utile su cui riflettere, che si possano avvalere, in qualche modo, della mia esperienza per evitare i miei errori: è un’offerta di esperienza, ecco. Ma mio nonno diceva: „L’esperienza si fa quando non serve più...“.
Tu hai vissuto tanti anni sia a Lentini, in Sicilia, che a Bratislava, in Slovacchia. Che differenze culturali ti sei trovato a vivere?
Soprattutto linguistiche. Non parlare la lingua del posto è un ostacolo difficile da superare: qualunque cosa vuoi fare, hai sempre bisogno dell’interprete. In un certo senso dunque non sei libero di fare quello che vuoi: non puoi andare al cinema, né a teatro, né leggere i giornali, ma solo visitare le mostre d’arte o culinarie o etnologiche e ascoltare i concerti. Il nemico da vincere è la noia. Le cose che mi piacciono di più in Slovacchia? Il perfetto funzionamento delle Poste e l’ottimo e puntuale servizio di trasporti. Chi vuole saperne di più legga la „goccia“ Bratislava. Per il resto tutto il mondo è paese.
Trovate qui i libri di Ferdinando Leonzio pubblicati da ZeroBook.
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