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Il vento del cambiamento

Credevo che McCain appartenesse anche lui a quella cultura secondo la quale non si augura la morte a nessuno, neanche ad un avversario. Che abbia ipotizzato la morte di Fidel è gia di per sé un atto sgradevole, ma dichiararlo è stato un grave errore, probabilmente dovuto alle vicissitudini di una campagna elettorale assai impegnativa...

di Thierry Abdon AVI - martedì 18 marzo 2008 - 2318 letture

Il ritiro obbligato di Fidel Castro avvenuto il mese scorso e l’avvicinarsi della fine dell’era Bush fanno già sentire i loro effetti combinati e di conseguenza si avverte, non solo sulle Americhe, ma sul mondo intero, il vento del cambiamento. Soffia già sull’isola di Cuba stessa, dove ci si accorge che l’uscita di scena di Fidel, anche se il Líder máximo è stato sostituito dal fratello di poco più giovane di lui, ha dato l’avvio ad un cambiamento vero. Tutti gli osservatori lo hanno notato: benché recente, questo cambiamento è sempre più percettibile da parte degli abitanti dell’Isola e, simultaneamente, da parte di due milioni di cubani che sono emigrati a gruppi, in tappe diverse, per installarsi negli Stati Uniti.

Credevo che McCain appartenesse anche lui a quella cultura secondo la quale non si augura la morte a nessuno, neanche ad un avversario. Che abbia ipotizzato la morte di Fidel è gia di per sé un atto sgradevole, ma dichiararlo è stato un grave errore, probabilmente dovuto alle vicissitudini di una campagna elettorale assai impegnativa... Riferisco quest’incidente ed evoco la campagna elettorale americana e la designazione del candidato dei due partiti che è ormai nella fase decisiva per prevedere che siamo, a parere mio, ad una svolta della storia.

L’embargo economico imposto dai dieci presidenti americani che si sono succeduti dal 1960, ha cominciato a perdere, anche in Florida, i sostegni di cui beneficiava; non sopravviverà a lungo dopo l’amministrazione di George W. Bush, e la decisione di abrogarlo, più che probabile, nel 2009 o 2010, sconvolgerà completamente le relazioni tra gli Stati Uniti e le altre nazioni.

Barack Obama ha osato annunciare, prima ancora di essere designato, che se sarà eletto presidente, negozierà senza condizioni con i dirigenti cubani per poi allargare il campo del negoziato senza condizioni agli altri avversari o nemici degli Stati Uniti. “Ne sono persuaso: è molto importante per gli Stati Uniti discutere non soltanto con i suoi amici ed alleati, ma anche con i suoi nemici”, ha dichiarato, prima di aggiungere: “È nelle discussioni con i nemici che la diplomazia è più produttiva”. Gli altri due successori possibili di George W. Bush sono meno netti, ma, in ogni caso, il cattivo operato di quest’ultimo, protrattosi per quasi otto anni, sta ormai arrivando al suo epilogo. E lo avvertiamo bene: il dopo-Bush è già in preparazione.

E chissà se la Corea del Nord, l’Iran, o addirittura la Siria, faranno lo sforzo di cercare un compromesso con Bush prima della sua partenza dalla Casa Bianca… Chi scommetterebbe ancora su Pervez Musharraf, Hamid Karzaï o Mahmoud Abbas Mazen? Non si sa neppure se questi tre riusciranno ad andare oltre la fine dell’era Bush. Chi, oltre a Tony Blair, crede che il negoziato Israelo-palestinese, iniziato sotto l’egida di Bush ad Annapolis quasi tre mesi fa, produrrà un risultato tangibile da qui all’inizio del 2009? In Russia, come del resto in Cina, in India ed in Brasile, per citare soltanto questi grandi paesi, nessuno si preoccupa di ciò che è ancora possibile fare con Bush prima della fine del suo mandato presidenziale, ma tutti si preparano a ciò che sarà possibile mettere in atto con il suo successore. Lo stesso clima regna all’ONU e nelle sue agenzie, come pure al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale ed all’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), ecc..

È dunque, ironia della storia, a queste vestigia del comunismo, rappresentate da Fidel Castro, che è toccato dare il segnale di un grande cambiamento; la sua decisione di ritirarsi (anche se imposta dall’età e dalla malattia) e l’idea di renderla pubblica il 18 febbraio scorso, hanno ovviamente aperto un’era nuova.

A questo punto, salvo l’arrivo di un evento eccezionale, il resto dell’anno 2008 appare come cancellato; in ogni caso, sembra essersi riportato verso una transizione “indolore”, e quindi ci troviamo, già dall’inizio di questo mese di marzo 2008, proiettati verso il primo trimestre dell’anno prossimo: tra un anno, "il cambiamento"…

Il cambiamento, è forse la fine o l’inizio della fine di questa "guerra mondiale contro il terrorismo" iniziata appositamente da George W. Bush e Dick Cheney e che ha avuto per principale risultato finora quello di offrire a questo terrorismo terreni di sperimentazione e reclute. Il concetto stesso è messo in dubbio dai tre candidati americani alla presidenza, e più chiaramente ancora dalla maggior parte dei futuri collaboratori di quello (o quella) di loro che verrà eletto (a).

In Iraq, in Afghanistan, in Pakistan, come nei conflitti Israelo-palestinesi ed Israelo-arabi, “le carte ed alcuni giocatori” potrebbero, con molta probabilità cambiare. Il discorso è valido anche per quanto riguarda il problema della proliferazione nucleare, per la lotta contro il riscaldamento del pianeta, per il corso del dollaro rispetto a quelli delle altre principali valute, per il prezzo del barile di petrolio...

Che arrivi presto il 2009! E, nel frattempo, che regga l’economia e che Dio ci guardi dagli ultimi errori dell’amministrazione Bush!


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