Il tiramisù di "Loli" Linguanotto

Muore a 81 anni Roberto Linguanotto, il cuoco pasticciere considerato l’inventore del moderno Tiramisù.

di Sergej - lunedì 29 luglio 2024 - 804 letture

Ho sempre avuto riguardo al tiramisù un rapporto bipolare. A volte lo trovavo buonissimo e ne mangiavo quantità pantagrueliche, a volte assolutamente riprovevole, nauseante, da tenere il più possibile lontano. Credo fosse agli inizi degli anni Settanta del Novecento. Probabilmente mia nonna (materna), siciliana ma ambientata da decenni a Roma. Più sporadicamente in anni successivi forse mia madre, ma su questo non potrei giurare. Quasi sicuramente, nel prosieguo degli anni Settanta e poi Ottanta, il tiramisù appariva di tanto in tanto, in qualche festa o mangiata tra parenti siciliani. Con variazioni di ricetta o di interpretazione: forse era questo che me lo rendeva gradevole o detestabile. A seconda delle simpatie verso i parenti del momento o per la leggera differenza di qualità sui materiali impiegato per confezionarlo.

Ha lasciato scritto, sul sito web (probabilmente sviluppato in questi ultimi anni, sull’onda della diffusione del "made in Italy alimentare"), Roberto Linguanotto, parlando in prima persona:

"Sono Roberto Linguanotto chiamato Loli, nato a Treviso nel 1943. Il mio lavoro, una grande passione, ha determinato uno stimolo continuo a provare sempre cose nuove, ho maturato la mia esperienza come cuoco pasticciere per i primi 15 anni, poi come maestro gelatiere. Lavorare nel prestigioso ristorante "LE BECCHERIE" a Treviso è stata la spinta per mettermi alla prova, dimostrando che, anche con semplici ingredienti e senza rinunciare alla tradizione, può nascere qualche cosa di magico, il Tiramesù!

Diventato maestro gelatiere, ho continuamente provato e ricercato, con una unica meta, raggiungere la soddisfazione del cliente. Ho lavorato per grandi aziende, la NORTONGATE—PREGEL e PERNIGOTTI, con mansioni di tecnico dimostratore soprattutto all’estero, in tutta Europa area del Mediterraneo e Cina, orgoglioso di trasmettere e diffondere il Made in Italy ed il Made in Treviso.

Gratificato di tutto quello che ho potuto imparare."

E ancora (il capitolo: Le Origini):

"Il mio arrivo al ristorante Le Beccherie di Treviso della famiglia Campeol è datato 1970, ho lavorato da subito fianco a fianco della titolare signora Alba Campeol che mi invitava a tentare nuove combinazioni dolciarie con semplicità e nel rispetto della tradizione trevigiana.

In cucina si discuteva sempre di proporre dolci che potessero incontrare il gradimento di tutti, bambini ed adulti.

Volevo sin dall’inizio ricambiare la fiducia datami dalla famiglia Campeol dimostrando di essere all’altezza del ruolo assegnatomi.

E così un giorno, mettendo insieme degli elementi noti e semplici e ricercandone la migliore "porzionabilità", è nato il dolce che è stato subito chiamato Tiramesù !

Ho sempre cercato che gli ingredienti, pur semplici, fossero di prima qualità’, dal caffe’ ai savoiardi, dal mascarpone alle uova. La convinzione di aver indovinato un dolce perfetto, era data dalla grande quantità di porzioni servite, ma soprattutto dai molti che richiedevano sempre il "bis".

Il resto è storia..., il Tiramesù che è stato poi rinominato Tiramisù è il dolce Italiano più conosciuto mangiato ed apprezzato al Mondo.

Ancora oggi, al ristorante Le Beccherie di Treviso, lo si prepara come all’ora, con la sua originale forma circolare."

Al capitolo "Ricetta":

"Negli anni il Tiramesu’ ha subito delle evoluzioni – alcuni ingredienti sono stati sostituiti ed altri ne sono stati aggiunti

Io stesso, a meta’ anni 70, nella mia gelateria “Glacia Shop” di Mestre (Ve) ho sostituito i savoiardi con il pan di spagna perche’ avevo una richiesta ed un consumo molto alto di Tiramesu’ che mi obbligava , per lavorare al meglio, a prepararlo su dei vassoi molto grandi che bene si prestavano a formare ed essere suddivisi in fette quadrate.

Con il tempo e grazie alla loro industrializzazione , alcune pasticcerie e ristoranti hanno preferito all’uso delle uova fresche le rosse d’uova “pastorizzate” che danno una maggiore tranquilllita’ sotto l’aspetto di igene."

Siamo davanti a un caso tipico di "tradizione recente" ovvero uno di quei piatti o preparazioni che sono possibili, nella storia italica, solo quando il Paese esce fuori dalla fame atavica e dalla carenza di risorse, e comincia ad assaggiare l’opulenza. Dai primi anni Sessanta del secolo scorso. Un libro recente come quello di Alberto Grandi e Daniele Soffiati (La cucina italiana non esiste, Mondadori 2024) con acribia sottolinea molto bene questo aspetto. Perché nella costruzione della retorica e dello storytelling del "made in Italy", negli ultimi decenni, spesso e volentieri si è fatto ricorso con troppa superficialità e con voluta furbizia sull’assunto che la "tradizione" riguardi (nel settore del cibo ma non solo) una supposta "eccellenza" che sarebbe tutta particolare riguardo al cibo "italiano".

Laddove la disponibilità delle risorse è per noi, Paese povero per secoli, molto recente. E ha riguardato un numero ristretto di alimenti. Si pensi al numero di funghi di cui dispone la cucina delle regioni cinesi (migliaia) rispetto al numero di varietà coltivate o rinvenibili nei nostri territori (poche decine). L’Italia, giunta tardi al boom economico, si rivela anche nel settore del cibo un’ottima assemblatrice di parti già esistenti; con un’occhio molto orientato ai gusti dei diversi occupanti della penisola, soprattutto agli Stati Uniti.

Se nel settore industriale riusciamo a semplificare l’auto (si pensi all’assenza del cambio automatico, o dei gadget tipici che invece si trovano nelle coeve automobili statunitensi o d’oltralpe) per poter affrontare una automobilizzazione di massa a partire proprio dai primi anni Sessanta (del Novecento), a offrire la linea del bianco (lavatrici, lavastoviglie ecc_), l’utilizzo della plastica (moplen, chi si ricorda le pubblicità in tv di Gino Bramieri?) ecc_ alle nuove famiglie nate con il boom economico. Proprio la diffusione del frigorifero è la vera rivoluzione (tra le tante), che permette alla linea del freddo di arrivare nelle case: attraverso i frighi delle putie, le medicine; attraverso i frighi in casa, i supermercati e la progressiva scomparsa delle putie (dopo la crisi del 1972-75) a favore della grande distribuzione, resa del resto possibile anche dall’auto, che permette di allungare l’accesso ai luoghi in cui viene offerta la vendita dei prodotti alimentari.

L’Italia assemblava di tutto, sfruttando la manodopera a basso costo del Sud trasferita al Nord: vespe, cinquecento, frigoriferi, macchine da scrivere... usando per risparmiare il minimo degli ingredienti, semplificando al massimo ma aggiungendo (dopo una fase di copiatura iniziale) una "estetica" modernista. Facevamo doping (come oggi rimproveriamo ai cinesi), truffavamo, ma pensavamo che stavamo costruendo qualcosa per le nostre famiglie, di avere un futuro. Il miracolo italiano di quegli anni fu proprio nell’assemblaggio di pochi elementi, e nell’uso di una estetica che univa Bauhaus e aerodinamica (d’altra parte, quei giovani designer, industriali e operai erano tutti usciti dalla fronda del fascismo). Così anche nel cibo, non solo nel design industriale: pochi elementi, ma gratificando l’occhio oltre che le papille gustative rimaste ancora in debito di calorie e affamate dalla guerra appena attraversata.

Una ricetta come quella del tiramisù (il Tiramesù di "Loli" Linguanotto) [1] è possibile solo se esiste la catena del freddo, che permette di conservare adeguatamente un alimento che altrimenti non sarebbe neppure proponibile; e se esiste una catena di distruzione di alimenti standardizzati industrialmente: savoiardi e mascarpone sono possibili, in tutta la penisola solo all’interno di una società di consumo che non è più regionalizzata o cittadinalizzata, ma che è "nazionale". Prima del tiramisù, sostanzialmente, nel meridione, mai nessuno aveva sentito parlare di "mascarpone" - o almeno non nella mia famiglia. Il tiramisù è tra i primi prodotti alimentari non solo della civiltà dei consumi italiani, ma di un’Italia che per la prima volta - grazie anche alla televisione, e alla lingua che si comincia a parlare e imporre - forma una borghesia diffusa e diventa "nazionale". Nazional-popolare, ovvero pop.

Nell’ambivalenza di quel che provavo in quegli anni verso non solo la stretta cerchia di amici e parenti, ma verso la società stessa di cui cominciavo a percepire caratteristiche e dimensioni, potevo così provare attrazione e repulsione nello stesso tempo per questo prodotto "del nostro tempo".

Negli anni Ottanta il tiramisù da prodotto familiare, prodotto e consumato sostanzialmente nelle famiglie (nei giorni e occasioni delle feste), diventa anche prodotto industriale: appare nei ristoranti, offerto alla fine del pasto - nella sequenza dei diversi alimenti che si succedono, secondo la consuetudine franco-italiana delle portate. L’ulteriore miglioramento dei sistemi di conservazione (della catena del freddo e dei conservanti, l’uso della chimica) permette questo ulteriore piccolo passo. Negli anni Novanta cominciano ad apparire le esigenze "salutiste" o integraliste" sull’uso dei componenti anche del tiramisù... ma questo testimonia ancora una volta come questo alimento continui ad affiancarsi alle abitudini alimentari degli italiani.


Ingredienti per fare il tiramisù (dal sito https://www.tiramesu.it/):

12 tuorli d’uova
½ kilo di zucchero
1 kg di mascarpone
60 savoiardi
caffè quanto basta
cacao in polvere

Preparazione:

Preparare il caffè e lasciarlo raffreddare;

Montare a spuma 12 tuorli d’uova con mezzo chilo di zucchero ed incorporarvi un kilo di mascarpone ottenendo così una crema morbida;

Bagnare 30 savoiardi con caffè facendo attenzione a non inzupparli troppo e disporli in fila al centro di un piatto circolare;

Spalmare sui savoiardi metà della crema e poi sovrapporre un altro strato di 30 savoiardi bagnati con il caffè’, spalmare poi la superficie con la rimanente crema di mascarpone;

Cospargere il mascarpone con del cacao magro setacciato

Passare in frigo sino al momento di servire

La forma del Tiramesù legittimo alle Beccherie è circolare.


[1] Sulle controversie di attribuzione e sulle "origini" del tiramisù, si legga tanto per iniziare su Wikipedia. Il tiramisù fa parte di una serie di creme e "dolci da cucchiaio" di cui fa parte ad esempio anche la "zuppa inglese" e altri dolici simili.


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