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"Il signor Rossi e la Costituzione".

In scena al Metropolitan di Catania, il nuovo spettacolo registra il tutto esaurito con un’enorme partecipazione di pubblico. Un’adunata popolare di delirio organizzato...

di Lisa Luca - mercoledì 10 marzo 2004 - 8768 letture

Giovedì sera è andato in scena al Metropolitan di Catania, "Il signor Rossi e la Costituzione" di Paolo Rossi. Tutto esaurito. Un teatro strapieno può generare di certo due effetti perversi: infastidire o esaltare. Molti di noi erano esaltati. Ho cominciato a chiedermi il perchè prima ancora che iniziasse lo spettacolo e mi sono data una risposta: condivisione, condivisione di un momento che tutti sapevamo essere, almeno per adesso, irripetibile, condivisione di un momento diversamente non fruibile; sembravamo essere tutti pronti alla lotta, o pronti e basta come corridori sulla linea di partenza. Insomma sapevamo di andare contro la censura di chi non vuole che si dica...che si ascolti. Questo preambolo può risultare ai più bizzarro, ma fa d’uopo per giustificare la clemenza con cui abbiamo accolto "Il signor Rossi e la Costituzione". Paolo Rossi ci prende a braccetto e fa la gincana tra i più importanti articoli della nostra Costituzione, i primi dodici sui principi fondamentali su cui si fonda la nostra Repubblica e gli altri affidandone la scelta alla sorte. E ricordandoci amaramente che nel nostro paese il concetto di rappresentazione si è sostituito a quello di rappresentanza, si accompagna ad un orchestra (che fa da contrappunto alle ormai nauseabonde Demo Morselli’s band...) e ad un banditore pugliese, che armato di megafono invita il pubblico a partecipare. L’idea è quella di considerare lo spazio scenico come pretesto per dar vita ad una "adunata popolare di delirio organizzato", dove ognuno può intervenire regalando un proprio contributo. L’idea è di uno spazio dove fare le leggi, o proporne. E lo spunto è senza dubbio molto stimolante e provocatorio, se non fosse che in parte durante lo spettacolo se ne perdono i pezzi a vantaggio della costruzione di piccoli quadretti per ogni personaggio citato. Silvio diventa Gigetto (italiano di nascita e svizzero di contocorrente) con turbe di megalomania che danno vita al tormentone "Anch’io...!" su tutto quello che accade sul pianeta, e Gigetto ruba la professione di comico a Rossi, che decide così di diventare costituzionalista investito dal mandato del popolo. Spassosima la rassegna delle più eclatanti gaffes del Premiere come quella del padre partigiano reduce in Svizzera...Rossi salta da un registro ad un altro passando dalla favola del lupo e dell’agnello al brano della Tirannide di Alfieri, da Tucidide alla gara del miglior inno per rappresentare l’Italia; un altalena che tenta (e a mio avviso riesce) di educare col sorriso, di far riflettere tra una risata e un’altra come nella più grande tradizione della "comedìa" greca. Sul palco per tutto lo spettacolo campeggia la scritta "Il popolo è sovrano", un promemoria per chi crede di vivere in una società dove è destinato a subire le decisioni di altri, in cui l’impunità per chi comanda diventa la regola. Un augurio forse, di certo non una verità, come lo stesso Rossi dice. E se è vero che alcuni (pochi a onor del vero) sono rimasti delusi dalla mancanza di una satira più feroce e pungente o da alcune imprecisioni nell’impianto narrativo dello spettacolo, la clemenza di cui sopra sta tutta qui. Perché è vero anche che l’intento principale era forse quello di ricordare a tutti noi quanto sia importante affermare i propri diritti per essere in grado di capire quando vengono violati; di proteggere la nostra Carta Costituzionale, la più bella e poeticamente sociale che l’Europa conosca; di partecipare alla vita pubblica del nostro paese, perché rappresenta l’unica strada possibile per far crescere una nazione. "Un uomo che non si interessa dello Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile". Le parole di Pericle escono dalla bocca di Paolo Rossi e non c’è retorica, demagogia o populismo, ma un appello contro la distrazione, un appello che emerge chiaro, passando per Gigetto (e se in un drammatico futuro diventasse Pier-Gigetto?), Scompagnini e Scampagnetti, la De Filippi a capo del Senato (Casini ce lo teniamo che fa più figo...) e la fuga del cervello di Buttiglione...


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