Il quadro della settimana: “Morte di Giacinto” di Giambattista Tiepolo
1752-1753
Olio su tela,
cm. 287 x 232
Ubicato al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.
Il poeta latino Ovidio racconta nelle sue “Metamorfosi” di come il bellissimo giovinetto Giacinto fosse conteso sia da Zefiro che dal dio Apollo. Quest’ultimo, durante una gara di lancio col disco, colpisce, uccidendolo, Giacinto (il disco lanciato dal dio era stato deviato dal geloso Zefiro). Addolorato per la crudele perdita, Apollo volle eternare il ricordo del giovane trasformando il sangue sgorgato dalla sua ferita nel fiore profumato che da lui prese il nome.
Questa tela, che illustra l’episodio mitologico, fu dipinta dal Tiepolo in età matura, quand’era all’apice della notorietà. Ravvisiamo contrasti di colore, perfezione delle forme e una tecnica molto sapiente: viene raffigurato un mondo di splendore e luce, in cui la realtà si trasforma in sogno e la natura in arte. Il dato contemporaneo, come la racchetta e le palline in primo piano, vicino al corpo esanime del giovane, che alludono a un gioco molto in voga nella Venezia del XVIII secolo, non riesce a turbare l’atmosfera di un mondo illusorio, diverso e lontano da quello reale, dove può esistere un ideale di bellezza incorruttibile.
La scena è organizzata su due piani e divisa da una diagonale che scende dal cielo in alto a destra fino al pavimento libero in basso a sinistra. Il primo piano è occupato dal corpo morto del bellissimo Giacinto e dal suo amante Apollo, colto in un gesto di violento dolore. Davanti a loro Tiepolo, in modo spregiudicato, sostituisce il disco della gara con una racchetta e delle palle da tennis. Accanto alla racchetta, due elegantissimi giacinti ricordano la fine della storia. Sulla sinistra, il secondo piano è occupato da un gruppo di personaggi guidati dal re di Sparta Amicle, padre di Giacinto.
Giambattista nasce a Venezia il 5 marzo da Domenico e Orsetta Marangon. Viene battezzato il 16 di aprile nella chiesa di San Pietro di Castello. Si forma nella bottega di Gregorio Lazzarini, uno degli artisti più apprezzati a Venezia in quel momento, dove rimane dal 1710 al 1717, anno in cui è registrato nella fraglia dei pittori veneziani. Tra le sue opere d’esordio vi sono nel 1715-1716 i cinque soprarchi della chiesa dell’Ospedaletto di Venezia, in cui appare vicino ai modi dei pittori “tenebrosi” contemporanei, il Piazzetta e Federico Bencovich. Il 21 novembre 1719 sposa con rito segreto Cecilia Guardi sorella dei pittori Antonio e Francesco.
Tiepolo si dimostra da subito capace di muoversi in molteplici direzioni stilistiche: nel Martirio di san Bartolomeo per la chiesa veneziana di San Stae sono presenti ancora citazioni tratte dal Piazzetta, mentre per i suoi primi affreschi per palazzo Sandi (1725-1726) il punto di riferimento diventa Sebastiano Ricci e la lettura da lui operata di Paolo Veronese. Il cambiamento in direzione di un naturalismo più accattivante e di uno schiarimento della tavolozza si riscontra anche negli affreschi del palazzo arcivescovile di Udine. Prosegue nelle decorazioni dei palazzi milanesi Archinto (distrutto) e Dugnani, utilizzando nelle composizioni un’impostazione scenografica e illusionistica. Ricercato dalla committenza nobiliare, di cui esprime con leggerezza tutta rococò le aspirazioni, esegue anche soggetti sacri, tra cui il soffitto della chiesa dei Gesuati a Venezia. Parallelamente realizza dipinti da cavalletto, tra i quali il famoso Alessandro e Campaspe nello studio di Apelle (Montreal, Museum of Fine Arts) che fa riferimento alla sua attività di pittore, e alcuni ritratti.
Dopo aver affrescato ancora palazzo Clerici a Milano e palazzo Labia a Venezia e aver dato alle stampe una serie di bizzarri Capricci (1743), nel 1750 è chiamato a Würzburg dal principe vescovo Carlo Filippo di Greiffenklau per la grandiosa decorazione della Residenz, conclusa nel 1753. Tornato in Italia riceve altre commissioni per residenze nobiliari (villa Valmarana a Vicenza, Ca3 Rezzonico a Venezia, villa Pisani a Stra) e quindi nel 1762 riparte alla volta della Spagna, dove rimarrà fino alla morte lavorando per Carlo III alle decorazioni del Palazzo reale. Espressione della cultura laica settecentesca, la sua pittura magniloquente e spettacolare recupera le matrici venete del classicismo cinquecentesco e le amplifica in ardite soluzioni illusionistiche, alleggerite da un’illuminazione chiara e leggera. Muore improvvisamente il 27 marzo 1770 viene sepolto nella chiesa di San Martin a Madrid, poi distrutta.
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