Il quadro della settimana: “La conversione della Maddalena” di Guido Cagnacci

1650-1658.
Olio su tela.
Ubicato al Museum of Art, Norton Simon Foundation, di Pasadena.
Due volti si affrontano ed esprimono due diversi modi di intendere la vita. Maria Maddalena, tutta dedita ai piaceri terreni, è quella distesa sul pavimento e con il volto in ombra, come la sua anima. L’altra, inondata di luce, è la sorella Marta che si adopera per convincerla. Guido sfrutta la luce “caravaggesca” con la
consueta abilità, caricandola di significati ulteriori. La collana di perle smembrata a terra e gli altri monili abbandonati sono il segno che le parole di Marta stanno avendo il loro effetto. Il pittore, al contempo, coglie l’attimo del conflitto tra l’angelo (armato di una verga) e il diavolo (nudo e nerboruto) e anche in questo caso l’angelo sembra che stia per avere la meglio.
Guido Cagnacci (Santarcangelo di Romagna, 19 gennaio 1601 – Vienna, 1663) Non sappiamo chi sia stato il suo primo maestro, ma tra il 1618 e il 1621 è mantenuto dal padre a Bologna per apprendere l’arte della pittura, probabilmente presso Ludovico Carracci o un artista della sua cerchia. Importanti furono anche due soggiorni romani, nel secondo dei quali, tra il 1621 e il 1622, lo troviamo a fianco del Guercino. I suoi primi dipinti documentati sono le due tele che ornano la Cappella del Santissimo Sacramento nella Parrocchiale di Saludecio, del 1627. Dal 1623 al 1648 la sua attività si svolge soprattutto in Romagna, un periodo che vede l’affermarsi della fama dell’artista, ma che è anche segnato da avvenimenti turbolenti, come un tentativo di fuga con una giovane e chiacchierata vedova della nobile famiglia Stivivi, Teodora, per il quale nel 1628 Guido è bandito da Rimini.
A Santarcangelo gode della protezione di Monsignor Bettini, che nel 1635 gli commissiona la pala con San Giuseppe e Sant’Egidio per la Confraternita dei falegnami e dei fabbri, opera che segna lo spartiacque tra la fase giovanile dell’artista e la maturità, che lo vedrà rivolgersi soprattutto verso i grandi maestri emiliani, e in particolare Guido Reni e il Guercino. Nel 1643 lavora ai dipinti del duomo di Forlì con San Valeriano e San Mercuriale, lavori a cui non sono estrenei né la prospettiva né i colori di Melozzo, mentre nel 1647 è a Faenza, in relazione con la potente famiglia Spada. Proprio per quel che può aver assorbito da Melozzo, a Roma e a Forlì, e per quel che ha colto dall’ambiente culturale forlivese, è stato messo in relazione con la scuola pittorica forlivese.
Con il 1648 termina l’attività romagnola del pittore, che si stabilisce a Venezia con il nuovo nome di "Guido Canlassi da Bologna". A questo punto si datano molti dei suoi dipinti con figure femminili e soggetti profani. Su invito dell’imperatore Leopoldo I, verso il 1660 si trasferisce a Vienna, dove muore nel 1663.
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