Il popolo è minorenne...

“Il popolo è minorenne, la città malata. Ad altri il compito di
educare, a noi quello di reprimere! La repressione è il nostro vaccino.
Repressione è civiltà!”
“Bravo, dottore!”
“Con modestia, con modestia, al lavoro!”.
Con quel viso duro, quell’eleganza astrusa per incutere timore: è il personaggio di Gian Maria Volonté in quell’ineguagliabile film che Elio Petri girò nel 1970: “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”.
La sua attualità ci tocca, ci investe come un turbine. Erano anni diversi, certo: l’incubo del terrorismo, la minaccia di golpe, l’ instabilità dei governi e tumulti di piazza. I fermenti c’erano, e pure tanti, creativi e di avanguardia. Oggi siamo più prudenti, circospetti, narcotizzati, malgrado l’instabilità e la precarietà siano il metro di misura della quotidianità, quella economica in particolare.
Per l’economista Joachim Spangenberg (Istituto di Ricerca Sostenibile), “nei paesi ricchi il consumo consiste in persone che spendono soldi che non hanno, per comprare beni che non vogliono, per impressionare persone che non amano”.
E così si assiste al balletto delle beffe, prima economiche (con spot edulcorati) e poi politiche da parte dei parlamenti, gli stessi che, fallendo il proprio compito, hanno abdicato verso un nuovo governo “tecnico”. C’è ancora un Umberto Bossi che sbraita, lo stesso che, nel suo libro del 1995 “Tutta la verità”, sostenne quanto ha poi smentito nel balletto delle circostanze opportunistiche di questi anni. Ecco cosa scriveva: “Si può chiamare democratico un paese nel quale una delle parti in causa dispone del sostanziale monopolio dell’informazione televisiva e partecipa all’oligopolio di quella stampata? In tutti i paesi europei la risposta è no; in qualche paese sudamericano, neppure in tutti, la risposta è sì. Oggi l’Italia si colloca lì, fra il Brasile e la Colombia”.
Abbiamo osato avvicinare tre parametri di comparazione della nostra contemporaneità: la democrazia, la precarietà economica, e la propaganda. Su tutto questo aleggia il rischio di un “non ritorno”, della possibilità di una eccessiva massificazione che non darà mai più spazio (o ne darà sempre meno) alla creatività e al gusto, possibilmente in una dimensione più orizzontale, lineare e quindi (davvero) democratica.
Ed ancora su tutto, aleggerà il rischio (ma tanto non farà più effetto) di dover rieleggere nelle inevitabili elezioni, persone che hanno pendenze giudiziarie, con le regole immutate. La scrittrice Patrizia Valduca ne pubblica un elenco: “I trascorsi giudiziari – scrive – di Berlusconi, di Dell’Utri e Scajola li ho soltanto scorsi, e perché risaputi e perché troppo lunghi. Ho quindi trovato Umberto Bossi condannato per tangenti, Vincenzo Visco condannato per abusivismo edilizio, Alfredo Vito condannato per tangenti, Vito Bonsignore condannato per tentata corruzione; ho trovato che Fabrizio Cicchitto era nella P2, che Alfredo Biondi ha evaso il fisco, che Lino Jannuzzi ha preso cinque milioni (di lire, spero) da un boss di Cosa Nostra, che Massimo D’Alema ne ha presi venti da un malavitoso, che Vittorio Sgarbi è stato condannato per truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato...Non posso, non riesco a crederci”.
Un appassionato appello al buon senso, in una modernità che si tinge di colori ed atmosfere che disorientano, nel tentativo di abbassare il nostro livello di guardia contro la banalizzazione dell’esistenza. Sarà un anno duro anche questo.
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