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Il mondo che vogliamo

"La guerra non si può umanizzare. Si può solo abolire" (Albert Eistein)

di Piero Buscemi - martedì 29 marzo 2011 - 2807 letture

Non si dovrebbero avere mai dei dubbi, quando l’argomento di discussione è il nucleare. Qualsiasi sostantivo si provi ad accostare, dà sempre un risultato inquietante. Che sia guerra-nucleare, energia-nucleare o scoria-nucleare, ci si dovrebbe rendere conto facilmente dei limiti umani di fronte a questa materia.

Ed invece è l’arroganza, la componente principale di chi esprime il proprio parere sull’argomento. Non contano le smentite della storia, le contraddizioni delle conoscenze fino a quel momento acquisite, le vittime archiviate dei precedenti incidenti. Anche quando gli stessi erano stati scongiurati da menti esperte che avevano rassicurato il mondo del contrario.

Accade la stessa cosa, quando di parla di guerra, in senso più generalizzato. Quella usata come metodo infallibile ed inevitabile per qualsiasi controversia tra le varie nazioni mondiali. Anche in questo caso, non si fa esperienza con il passato di secoli di conflitti che hanno dimostrato la sua inutilità.

Vengono, con troppa superficialità, dimenticati i civili, molti dei quali bambini, uccisi o mutilati. Le abitazioni distrutte, le malattie infettive, l’incremento dello stato di povertà per le popolazioni che subiscono i conflitti. Le migliaia di profughi che abbandonano la loro terra per raggiungere luoghi, dove saranno sempre respinti e trattati con diffidenza.

Basterebbe riflettere su tutto questo, per considerare la guerra una soluzione crudele e vana per risolvere le contese tra i popoli, ma sono più le volte che si ricorre alle armi, che quelle che dovrebbero prevedere qualsiasi sforzo di diplomazia e dialogo.

E allora perché si fanno le guerre?

In modo semplicistico, si potrebbe rispondere: per finanziare l’industria bellica. Non è di questo avviso, Gino Strada, almeno non in maniera così riduttiva. Lo ha ribadito venerdì scorso, durante l’incontro pubblico che si è tenuto alle Ciminiere di Catania.

Nel rievocare i sedici anni di attività di Emergency, con più di quattro milioni di feriti da guerra curati, assistito da Maso Notarianni di PeaceReporter, in occasione della presentazione al pubblico catanese del progetto giornalistico "E", il nuovo mensile diretto dallo stesso Notarianni e da Gianni Mura, Gino Strada ha ribadito la sua idea di pace, sostenuta dalla sua attività di medico chirurgo nei zone di guerra del mondo, come l’Afganistan, la Sierra Leone o il Sudan.

Nel raccontarci la sua esperienza diretta, Gino Strada, ancora una volta, ha saputo dimostrarci con semplicità come l’istituzione in Italia di un Poliambulatorio a Palermo ed uno a Marghera, che garantiscono l’assistenza gratuita ai migranti, possa rappresentare la conferma che, mettendo da parte gli interessi economici delle multinazionali, un paese civile e moderno, quale impunemente viene definito l’Italia, dovrebbe far rientrare tra i propri obblighi istituzionali, l’assistenza medica a tutti i cittadini, senza tenere conto della loro condizione economica.

Il sogno di Gino Strada, che si auspicherebbe diventasse quello di tutti, è la realizzazione di una società che fondasse nell’eguaglianza, il principio cardine sul quale costruire il futuro. La solidarietà, il rispetto reciproco, l’equa distribuzione delle risorse, alcuni degli obiettivi che il progetto di Emergency si è prefissato, partono dal primo passo essenziale che la politica italiana dovrebbe mettere in pratica, trasformando un concetto più volte ribadito nelle piazze e contemplato dall’art. 11 della Costituzione, dove il verbo "ripudia" riferito alla guerra, come ha sottolineato Gino Strada l’altra sera, sia il miglior modo per esprimere un senso di contrarietà verso un sistema barbaro di gestire i rapporti umani.

Come ci ha ricordato Strada, l’esempio della Costa Rica che dal 1949 ha abolito l’esercito, cosa che ha consentito a questo stato del Centroamerica di poter convogliare le risorse economiche nella salvaguardia del territorio (un terzo di tutto il territorio nazionale è parco nazionale), ma sopratutto nella realizzazione di opere pubbliche e particolare non trascurabile, un servizio sanitario pubblico di ottimo livello, dimostra come lo sperpero di denaro destinato agli armamenti, sottrae ai bisogni quotidiani dei cittadini le risorse necessarie per trasformarli in diritti garantiti dalla stato.

La nuova ondata di violenza, che qualcuno non ha ancora il coraggio di chiamare "guerra", esplosa nel Mediterraneo e affidata, per l’ennesima volta, alla soluzione Onu e nell’immediato alla Nato, è la prova dello scarso interesse italiano di risolvere le questioni internazionali, oggi la Libia domani chissà, con mezzi più consoni alla civiltà, preferendo l’intervento armato in nome della solita democrazia da esportare.

Ma con certe scelte scellerate, saremo costretti a farne i conti. Gli sbarchi, strumentalizzati dalle diverse compagini politiche che soffrono irrimediabilmente di amnesie storiche, che vanno dalla partecipazione diretta o indiretta in Iraq, in Afganistan, ma anche nel Kossovo, sono solo un effetto collaterale delle scelte politiche del passato, che si ostinano ad essere impiegate anche nel presente.

Capire lo stato d’animo e la paura vissuta dalle popolazioni, costrette tutti i giorni a convivere con una guerra, è possibile solo vivendo la stessa esperienza. In questi giorni, siamo rimasti impressionati e spaventati dal rumore dei motori degli elicotteri e dei caccia in partenza dalle nostre basi militari. Nel tratto che va da Sigonella allo Stretto di Messina, affacciarsi alla finestra, vuol dire assistere agli spostamenti dei mezzi navali, messi a disposizione dell’intervento armato in Libia.

Tutto questo dovrebbe spaventarci, ma oggi la guerra si combatte in trasferta e i superstiti delle due guerre mondiali del secolo scorso sono rimasti pochi, per mantenere vivo il ricordo di questi esempi di follia umana.

Intanto, in attesa che ci si possa ravvedere da questi errori ed orrori, sabato 2 aprile a Roma, in Piazza San Giovanni e con inizio alle 15, è stata indetta una giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra che si sta combattendo in Libia.


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