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Il mito di Sissi

Uno dei miti con cui il capitalismo conquista le masse passivizzandole ai “valori del capitalismo” è il mito di Sissi.

di Salvatore A. Bravo - giovedì 22 agosto 2024 - 360 letture

Il mito di Sissi

Il tempo del capitalismo è “tempo ordinario di miti e mitologie”. Uno dei veicoli più silenziosi e apparentemente innocenti con il quale il capitalismo consolida la sua egemonia culturale è la storia trasformata in mitologiche narrazioni che confermano valori e abitudini del tempo presente. Il passato è solo una anticipazione del presente. La diversità dei contesti storici è così aggredita in nome dell’eterno presente del capitale.

Il passato e il presente in tal modo si equiparano e le differenze si dileguano. Uno dei miti con cui il capitalismo conquista le masse passivizzandole ai “valori del capitalismo” è il mito di Sissi [1], l’imperatrice austriaca moglie dell’imperatore Francesco Giuseppe.

Finalità economiche e ideologiche si sovrappongono naturalmente nella costruzione dei miti, anzi i due elementi si rafforzano fino a fondersi. Il mito si consolida con il successo di pubblico che applaude all’eroina o all’eroe e nel contempo l’affare culturale porta i suoi frutti. Il mito dell’Imperatrice ribelle ed infelice ha consentito di produrre, film, libri, mostre e tour nei luoghi del mito. È stata trasformata in un modello speciale a cui devono attingere donne e anche gli uomini. Il corpo di Sissi è stato idolatrato. Le sue abitudini sono giudicate moderne, il suo mito si nutre della sua adorazione per la bellezza e per la ricerca dell’eterna giovinezza. Il culto ossessivo per la magrezza e il suo sfiancarsi in esercizi ginnici sono comparati alle “scelte esistenziali” comuni nella nostra epoca. Ella è uno di noi nella sua tensione sempre viva per la cura del suo corpo reso oggetto da manipolare alla ricerca della perfezione. Il corpo da essere il nucleo vivo delle relazioni diviene in tal modo un mezzo da esibire nel palcoscenico del mondo. La distanza è la cifra dell’individualismo incarnato da Sissi e a cui si guarda con ammirazione.

L’Imperatrice dall’alto del suo sangue blu ribelle conferma “la bontà dei nostri valori”, pertanto è usata come strumento pedagogico per ortopedizzare le nuove generazioni e non solo, all’individualismo frigido del capitalismo. Il modo di produzione capitalistico offre a tutti o a molti gli stessi valori che prima erano appannaggio delle classi privilegiate. L’Imperatrice ha anticipato ciò che oggi è la normalità conclamata. La patologia, Sissi anoressica e iperattiva nella sua solitudine, la rendono ancor più personaggio spendibile per psicologi e biografi.

L’anoressia patologia spiegabile con il sistema culturale e sociale fondato su rapporti relazionali distorti e in deficit di amore sfuma nel mito, diviene patologia avulsa dal contesto sociale. La realtà è rimossa in nome del mito, anzi quest’ultimo consente di perdonarle tutto e di attenuare le sue “mancanze reali”. Similmente nel nostro tempo si ride dinanzi agli eccessi dell’individualismo e all’incuria che ne consegue, perché in fondo l’essere umano è solo un individualista, per cui non bisogna giudicarlo ma comprenderlo.

L’Imperatrice fu pessima madre e perennemente transfuga dei suoi doveri imperiali; fu eterna turista sradicata da famiglia e corte. Tutto ciò è rappresentato solitamente come l’inizio di un lento processo di emancipazione delle donne dal ruolo di madre e di moglie. Si esalta la sua distanza dai ruoli socialmente imposti; Sissi ribelle è l’emblema delle donne libere, si tace sull’infelicità delle figlie e del marito. L’individualità astratta dai legami materiali ed affettivi diviene simbolo di libertà a cui bisogna guardare con venerazione. Il narcisismo dell’Imperatrice è trasformato in una virtù.

Ideologia del mito

I lettori semicolti del suo mito sono così educati a giudicare positivamente il narcisismo che rende il “corpo” spettacolo da esibire. La stabilità relazionale e famigliare sono così superate in nome dell’individualismo narcisistico. Naturalmente si occulta che mai rinunciò ai privilegi del suo ruolo. Adoratrice della bellezza, si pensi alla cura compulsiva per i suoi lunghi capelli e al timore delle cameriere di pettinarla e agli interminabili lavaggi, giacché si racconta che non fosse particolarmente docile verso le cameriere incapaci di curarle i capelli senza farli cadere o spezzare. Nessun giudizio sulla ribelle romantica che domina le subalterne compare nella narrazione delle sue biografie, anzi si guarda con tenerezza alle preoccupazioni estetiche dell’Imperatrice. Sembra quasi che in tal modo si dica alle giovanissime che il comando può tutto e consente ogni capriccio.

Fu viaggiatrice instancabile, anche in questo caso, si veicola il messaggio che viaggiare è segno di una superiore cultura. Il viaggiare di Sissi è lontanissimo per condizione materiale dal modo di viaggiare del turista medio, ma nel contempo ancora una volta, si palesa che il capitalismo permette a chiunque di vivere esperienze che un tempo erano per pochi.

Naturalmente il viaggio di massa è possibile grazie allo sfruttamento e all’indifferenza dei migranti che sulle navi da crociera o nei villaggi turistici sono legalmente sfruttati. Il mito trasforma Sissi in ognuno di noi. Fu amante dell’Antica Grecia e della lingua greca; il suo palazzo a Corfù, Achilleion, è parte del tour del suo mito; si nasconde il costo della costruzione dietro la quale c’era il lavoro e il sudore dei suoi sudditi. Si cela che pur amando la letteratura greca fu distante anni luce dalla misura e dal senso comunitario dei Greci. Non ne comprese lo spirito profondo dei Greci.

La sua vita nella narrazione ideologica ha preannunciato il nostro tempo di progresso ed emancipazione per tutti. La storia evapora così per lasciare il posto ad un personaggio astratto dal suo contesto e trasformato in un mito e dunque aspaziale e atemporale. La cultura e la storia divengono chiacchiere per signore e signori con aspirazioni colte ma senza alcuna cultura. La ragion critica si eclissa tra le chiacchiere del capitalismo con le quali il sistema si naturalizza e si presenta alle masse come “democratico dispensatore di possibilità che nel tempo passato erano per pochi”. Il modo con cui si ottiene tale risultato è abilmente occultato: gli sfruttati, i precari, i migranti oggi come al tempo di Sissi non compaiono, sono rimossi dalla visuale della storia, perché essi sono “la verità del sistema”.

Fu anche poetessa. Il suo pessimismo esistenziale e cosmico non favorisce certo la prassi.

La poesia dell’Imperatrice Alle anime del futuro è da leggere con interesse, in quanto è poesia che abiura alla responsabilità sociale e politica, è un inno all’atomistica delle solitudini che congela la storia e i popoli e di questo davvero non abbiamo bisogno:

Alle anime del futuro

“Solitaria vago in questo mondo,
alla gioia, alla vita da tempo ho voltato le spalle;
con nessuno condivido la mia vita,
mai vi fu alcuno che mi abbia capito.

Certo, negli anni di entusiasmo in gioventù
intrecciavo corone su qualche bel capo;
ma ahimè, ora che il tempo le ha sfrondate,
mi accorgo che di spirito e di anima eran privi!

Sono circondata da parenti,
ma soltanto al corpo e al sangue son vicini;
dieci volte è sprangata la mia interiorità
e ben chiuso è ogni accesso.

Veloce mi muovevo un tempo senza sosta,
anguste erano per me anche le distese della puszta,
il mare mi chiamava e con i miei desideri
giungevo sino ai verdi lidi di Erin.

Stavo quasi per perdere l’anima,
era una corsa senza pace e senza posa,
un altro spirito l’aveva prescelta,
da questo per sempre fu avvinta.

Il cavallo, il gioiello a me più caro,
dai celesti venne sostituito,
al suo posto apparve il destriero alato
e inebriata la mia anima ha volato.

Dal mondo son fuggita e dai suoi piaceri,
oggi gli uomini mi sono distanti;
la loro felicità e i loro dolori mi sono estranei;

Mi addolorava un tempo quel che mi è caro oggi,
lo star sola si è mutato in paradiso;
più libero può aprire le ali il mio spirito
estraneo mi è oggi ogni essere terreno!

Più stretto e più intimo è l’abbraccio ora
del mio spirito all’anima del maestro,
quando cerco di volare verso l’alta meta
indicata dal poeta amato.

Mi ha rapito con l’intento
di guidarmi nella natura eterna;
i suoi misteri egli mi indica
e senza posa seguo ora le sue tracce.

E la mia anima è così piena da scoppiare
non le basta il silenzioso meditare,
quel che la agita, deve mutarsi in versi,
li affido ora a questo diario.

Si conserveranno per generazioni
al sicuro da chi adesso non li può capire;
anni pieni di vicissitudini ci vorranno,
soltanto dopo, questi canti fioriranno.

Oh, possano raggiunger poi la meta del maestro,
essere un conforto al lamento e al vostro pianto
per chi lottando per la libertà è morto
e sul cui capo splende la corona del martirio!

O cari che vivete in tempi lontani a venire
e ai quali oggi parla l’anima mia,
spesso sarà in vostra compagnia:
rivivrà quando avrete letto una poesia”.

Ai miti che insegnano una aristocratica distanza decadente dobbiamo opporre l’esempio degli uomini e delle donne che hanno attraversato la storia donando se stessi, affinché alla loro morte l’esistenza della comunità fosse più umana e qualitativamente più libera. Per uscire da queste trappole ideologiche dovremmo immaginare le vite degli uomini e delle donne del suo tempo, e ancor più del nostro, con il loro carico di tragedie sociali e con la bellezza di coloro che stabiliscono legami famigliari e politici, in cui l’individualità diviene relazione e instaura comunità di lotta.

Il mito naturalmente occulta anche le tragedie della donna Sissi, poiché destoricizza e innalza la donna ad altezze astratte che rendono improbabile la ricostruzione storica reale. Il mito è ingiusto verso le figure oggetto di adulazione, in quanto le disumanizza. La sovrastruttura del capitalismo produce miti per gli strati semicolti della popolazione e per i ceti popolari.

A tale mitopoiesi è necessario opporre la destrutturazione critica di tali produzioni egemoniche, in modo da riportare i lettori e i fruitori passivi alla realtà concreta e materiale. Usciamo dunque dai miti e rientriamo nella storia, solo in tal modo fonderemo la libertà e la giustizia senza le quali l’esistenza è solo un lento rovinare nell’abisso.

 

[1] Elisabetta Amalia Eugenia di Baviera (Monaco di Baviera, 24 dicembre 1837– Ginevra, 10 settembre 1898).


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