Il lavoro corto

L’idea della settimana corta sta andando avanti in diversi Paesi: da quelli lontani come la Nuova Zelanda ai nostri vicini Belgio, Germania, Spagna e Regno Unito...
L’idea della settimana corta sta andando avanti in diversi Paesi: da quelli lontani come la Nuova Zelanda ai nostri vicini Belgio, Germania, Spagna e Regno Unito, dove è stato stilato un primo bilancio positivo dell’esperimento di orario ridotto e concentrato.
Anche nel nostro Paese l’idea si sta facendo strada in particolare nella Cgil con dei confronti con le categorie maggiormente interessate. Pure nella Cisl e Uil c’è del fermento per arrivare ad una proposta unitaria da servire al confronto con la parte datoriale e il governo. Il governo ha dichiarato d’essere disponibile al confronto, mentre la Confindustria ci sta pensando per la definizione di un protocollo d’intesa essendo una materia complessa.
Quando tirano fuori la complessità vogliono capire se c’è da sborsare qualche euro. Sempre così come la storia della non crescita dei salari rispetto ad altri Paesi europei. Se l’idea ha una sua validità non resta che mettersi attorno ad un tavolo per approdare ad un risultato.
L’interessante che non si gioca come con la vicenda del salario minimo e quella della rappresentanza. Intese che avrebbero dovuto essere messe sui tavoli dei governi passati e oggi su quello attuale senza perdita di tempo.
Si deve capire, non sempre, che l’idea di liberare tempo per la persona sta penetrando nelle loro coscienze e si diffonde. Esse avvertono il bisogno che la loro realizzazione non si esaurisca nell’attività lavorativa. Ci sono le relazioni sociali, la famiglia e il tempo per vivere in libertà in base alle esigenze individuali e i desideri. Non dimenticando la cura dei nostri anziani in un Paese che invecchia con il passare dei giorni. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario che si concentra in quattro giorni non può estendersi a tutte le aziende per la natura del nostro apparato produttivo e dei servizi formato prevalentemente da piccole e medie aziende. In alcune aziende medio grandi lo stanno sperimentato, in attesa che le parti avviano la discussione per arrivare ad un disegno di legge da portare in Parlamento per l’approvazione, senza perdere del tempo come altri provvedimenti sul lavoro. Che porta questo nostro Paese ad essere il fanalino di coda in Europa sul piano normativo e salariale.
Nell’attesa degli incontri le parti farebbero bene a dare un’occhiata alla riforma del lavoro del governo Sanchez in Spagna, che ha fermato la precarietà con maggiore tutele e aumentato il salario minimo da 745 euro, ad inizio di legislatura, a 1.080 al mese per 14 mensilità. Soprattutto il risultato di maggiore rilevanza, oltre all’aumento del salario, è stato quello delle assunzioni a tempo indeterminato che sono passate dal 10 al 44% del totale, per quasi 1,6 milioni di lavoratori stabili in più. Merito dei limiti agli impieghi temporanei. Che nel nostro Paese dilagano senza che ci si mette mano e che vengono inseriti come occupati, anche per un giorno, se capitano nella settimana di rilevamento Istat.
Mentre in molti Paesi Europei sul tema dei lavori si va avanti, anche per l’introduzione delle nuove tecnologie e la necessità di nuove professionalità, da noi restiamo al passo in attesa che i sindacati si sveglino per irrompere nella vita sociale e politica, per migliorare le condizioni di lavoro e di vita di chi la mattina si alza per portare avanti la famiglia e contribuire con le tasse questo diseguale Paese.
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