Il corpo di Sakineh, l’infamia del potere
Ed è ingenuo credere che in questo il cristianesimo sia migliore del rigorismo ebraico e del fanatismo islamico.
Non so quale sarà il destino di Sakineh Mohammadi Shtiani, la donna iraniana frustata e condannata alla lapidazione per aver commesso adulterio. Ma so che l’essenza del potere è da sempre il controllo dei corpi e il dominio sui loro desideri. È quindi ingiustificata ogni nostra pretesa, nostra di cristiani europei o statunitensi, di essere diversi rispetto alla teocrazia che infesta l’Iran. La condanna a morte, l’isolamento sociale, l’angoscia psicologica costituiscono certo forme tra loro assai diverse di punizione e però hanno tutte a fondamento l’istituzione che più di ogni altra fa da tramite fra il potere e la persona: la famiglia. Quando essa è fondata su un contratto -civile o religioso che sia- e non sulla libera adesione di chi giorno per giorno sceglie di amare il proprio compagno o compagna, la famiglia diventa il luogo terrorizzante dell’oppressione che i maschi esercitano sulle donne. Tra tutte le religioni, i tre monoteismi del Libro sono le più maschiliste e sessuofobiche, sono delle autentiche macchine di infelicità, sono delle sadiche espressioni contro natura poiché naturale è il desiderio di cui i corpi sono fatti.
Ed è ingenuo credere che in questo il cristianesimo sia migliore del rigorismo ebraico e del fanatismo islamico. Anzi, nel Vangelo di Matteo si legge una frase che trasferisce il terrore (il cosiddetto “peccato”) dalle azioni esteriori alla psiche: «Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt, 5, 27-28). Che cosa c’è di più naturale del desiderio di un bel corpo? I Greci lo sapevano e lo accettavano; ebrei, cristiani e musulmani trasformano il desiderio in peccato. Lo conferma anche un altro brano evangelico, di solito addotto a testimonianza di clemenza. È vero, l’adultera non venne lapidata ma, rimasto solo con lei, Jeshu-ha-Notzri così le si rivolge: «“Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”» (Gv, 8, 10-11). Come se il desiderio e il piacere fossero peccato!
Contro la legge islamica ma anche contro quella mosaica, evangelica e civile, va detto con chiarezza che libertà è il poter disporre in modo incondizionato, sovrano e ininterrotto del proprio corpo, del corpo che si è, senza che il potere dei preti e dello stato intervenga a imporre la sua infamia.
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